CHE COSA UNISCE E CHE COSA DIVIDE
IL NEW DEAL E IL FASCISMO SE É IL CONFRONTO CHE CONVINCE
di Filippo Giannini
Il mondo
economico-finanziario così come lo conosciamo oggi, poggia su due pilastri:
liberale in politica e liberista in economia. Il
liberismo
(o
liberismo economico) è una teoria economica, filosofica e politica
che prevede la libera iniziativa e il libero commercio, mentre l’intervento
dello Stato si limita al massimo alla costruzione di adeguate infrastrutture
(strade, ferrovie ecc) che possano favorire il commercio. Questo il concetto di
liberismo secondo
Wikipedia.
Adam Smith (1723-1790) generalmente ritenuto il padre dell’economia politica
moderna, considera come fine di tutta l’attività economica l’interesse
personale. Per Adam Smith principio essenziale è nessun intervento dello Stato
in campo economico. Lo Stato
deve
lasciar fare,
lasciar
passare.
Questi essenziali
concetti illustrano la sostanziale differenza con il nazionalfascismo che
patrocinava la nuova concezione del
lavoro
e dell’economia,
concetti che si stavano espandendo in tutto il globo sulla scia del fascismo
italiano e del nazionalsocialismo germanico, in mortale contrasto con il
liberismo dei Paesi democratici, principalmente della Gran Bretagna, della
Francia e, soprattutto di quel Paese dove i concetti di Adam Smith, partorirono
la
grande crisi del 1929, gli Stati Uniti d’America. Può sembrare un
paradosso, eppure proprio questo Paese dovette accettare i concetti degli
Stati totalitari per
uscire dalla
grande
crisi.
I principi
fondamentali dello
Stato
Corporativo nascono dalla
Carta del
Carnaro promulgata l’8 settembre 1920 da Alceste De Ambris e da
Gabriele D’Annunzio. E sufficiente leggere gli articoli VI e IX della
Carta del
Carnaro per acquisire le profonde differenze che la separano dai
concetti di Adam Smith. Art. VI:
«La
Repubblica (la
Carta del
Carnaro
fu
concepita nel corso dell’impresa di Fiume, nda) considera la proprietà come una
funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò
il solo titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di
scambio è il lavoro che rende la proprietà stessa fruttifera a beneficio
dell’economia generale». Art. IX, definitivamente corretto da
D’Annunzio:
«Lo Stato
non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sulla cosa, ma
la considera come la più utile delle funzioni sociali. Nessuna proprietà può
essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può essere lecito
che tal proprietario infingardo la lasci inerte o la disponga malamente, ad
esclusione di ogni altro».
Riteniamo che la
Carta
del Carnaro costituisca il documento fondamentale del
Corporativismo moderno originato dalle concezioni storiche di
Mazzini e di Toniolo sostenitori della
superiorità
della morale sull’economia, principi basilari della politica
mussoliniana.
Altra tappa
basilare della formulazione corporativa fu l’enunciazione, presentata il 21
aprile 1927, della
Carta del
Lavoro con la quale, per la prima volta nel mondo, venivano fissati
i cardini del rapporto fra lavoro, produzione ed economia nazionale, nella
formula
lavoro
protagonista e capitale strumento.
Mentre nei Paesi
ad economia liberale i suicidi a causa della grave crisi del 1929 si contavano a
decine, l’Italia stava superando la congiuntura senza eccessivi drammi. Franklin
D. Roosevelt era stato eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933,
periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato ed esattamente nel
momento in cui in Italia veniva concepito l’IRI (l’IMI fu costituita nel 1931)
sotto la guida di Alberto Beneduce. Con la nascita dell’IRI vennero gettate le
premesse dello Stato imprenditore e con questo furono definite le linee di
demarcazione tra l’area pubblica e quella privata.
Torniamo a
Roosevelt. Questi aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del
New Deal,
ossia ad un vasto intervento statale in campo economico, ossia proponendo
un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto Roosevelt (e questo
nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò, nel 1934, in Italia Rexford
Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del
Brain Trust
per studiare il
miracolo
italiano.
E allora, per
tornare al titolo di questo
pezzo
e di Sergio Romano
Che cosa
unisce e cosa divide il New Deal e il Fascismo, riprendiamo uno
stralcio del lavoro di Lucio Villari:
«Tugwell e Moley, incaricati alla
ricerca
di un
metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza
distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e
trasformasse il
mercato
capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle
leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva».
Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da
vicino le miracolose realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda
il fatto tratto dal diario inedito di Rexford Tugwell in data 22 ottobre 1934
(Anche l’Economia
Italiana tra le due Guerre, ne riporta alcune parti; pag. 123):
«Mi
dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e
intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’amministrazione
italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di
macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso… Ma ho qualche domanda
da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no».
Mussolini, a sua
volta, inviò a Washington il Ministro delle Finanze Guido Jung il quale
incontrato il Presidente americano gli fece dono di due Codici di Virgilio e di
Orazio e, nel contesto consegnò a Roosevelt una lettera del Duce. Il documento
relativo a questo contatto Mussolini-Roosevelt, ci fa sapere Villari, è
custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito
di Tugwell, si trova nella Roosevelt Library.
Tra i
liberals
d’America le opinioni erano divise: una rivista come
The Nation,
fortemente conservatrice, era duramente antifascista. Gli economisti
pianificatori del
New Deal
vedevano nel corporativismo il coordinamento economico statale necessario
davanti alla bancarotta del
lassez-faire liberista. Così nel 1933 Roosevelt firmò il
First New
Deal, e il
Second New
Deal venne firmato nel 1934-1936. Quindi fu Franklin D. Roosevelt ad
istituire il
Social
Security Act, una legge che introduceva, nell’ambito del
New Deal,
indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente
nacque anche il programma
Aid to
Family with Dependent Children (aiuto alle famiglie con figli a
carico), tutti provvedimenti che avevano già visto la luce in Italia nel
Ventennio fascista. Subito dopo la Corte Costituzionale degli Usa, decretò
l’incostituzionalità di alcuni provvedimenti. E Sergio Romano chiude il suo
intervento con queste parole:
«Da questo
momento l’Italia e l’America presero, non solo economicamente, strade diverse».
Noi non crediamo
di poter chiudere con queste parole, ma con quelle di Bernhar Shaw nel 1937:
«Le
cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con
il capitalismo».
Non si dovranno
attendere molti anni prima che la profezia dello scrittore americano si
avverasse.
Non a caso di fronte
alla confermata crisi del liberismo e del marxismo, un autorevole personaggio
democratico inglese Michael Shanks, economista di vasta esperienza
internazionale, già direttore della
Commissione
Europea degli Affari Sociali, nonché
Presidente
del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro
What is the
wrong with the modern World? Lo Stato Corporativo di Mussolini come
l’unico metodo per uscire dalla contrapposizione violenta delle parti sociali.
«Non c’è alternativa», ammonisce l’economista inglese:
«O lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato».
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