ANGELI DI GORLA
“Quel giorno avevamo fatto una pagina di
D maiuscole”
IL BOMBARDAMENTO DI GORLA
L’uso dell’aviazione in campo militare nasce
soprattutto come finalizzato all’osservazione aerea. Si tratta, quindi,
all’inizio, di un mezzo per sorvegliare e scrutare i movimenti del nemico al
fine di prevederne le mosse e pararne i colpi. Solo in seguito si intuirà
che se il nemico lo si osserva dall’alto, da tale posizione privilegiata lo
si può anche colpire e nascerà così il bombardamento aereo che, in
principio, sarà fatto con mezzi rudimentali i quali andranno, però, man mano
evolvendosi nel corso del primo conflitto mondiale.
Tra le due guerre mondiali, sarà l’italiano
Giulio Douhet a teorizzare l’uso di masse di bombardieri per fiaccare prima
l’avversario, colpendone le città, le industrie, i porti e le vie di
comunicazione e per distruggerlo, poi, costringendolo alla resa.
Douhet teorizza che l’arma principale è
quella aerea, mentre tutte le altre divengono a questa sussidiarie. La sua
guerra prevede l’impiego massicce formazioni di bombardieri da impiegarsi
contro le retrovie, prima che al fronte, in modo tale da annichilire la
possibilità offensiva dell’avversario privandolo della sua struttura
logistica. Quindi, secondo lo studioso italiano di strategia aerea, è
necessario conquistare “il dominio dell’aria “ per colpire
l’avversario mortalmente nelle sue risorse logistiche e civili, prima che
nelle sue forze militari, conseguendo così una vittoria totale. Sarà il
Douhet stesso a scrivere: ”l’avvenire non può
smentirmi: che la guerra nell’aria costituirà l’essenziale dei futuri
conflitti e che, di conseguenza, non soltanto l’importanza delle armate
aeree andrà rapidissimamente crescendo, ma, corrispondentemente andrà
rapidissimamente decrescendo l’importanza degli eserciti e delle
marine…(…)…Gli eserciti e le marine costituivano la protezione materiale e
morale delle nazioni in lotta. L’arma dello spazio cambia completamente le
condizioni di fatto. Essa offre la possibilità nuova di attaccare
direttamente le resistenze materiali e morali dell’avversario, di attaccarle
laddove si presentano più deboli e più vulnerabili."
“…non vi è confronto tra
l’efficacia dell’azione distruttiva diretta e quella indiretta, contro le
resistenze vitali di una nazione. Allorché queste potevano presentare contro
i colpi nemici la forte e salda corazza rappresentata dagli Eserciti e dalle
Marine, i colpi giungevano sui corpi delle nazioni fortemente attutiti, per
lungo tempo quasi inavvertiti. I colpi nemici venivano incassati – come si
dice- da enti fortemente organizzati, fortemente disciplinati , fortemente
resistenti materialmente e moralmente, capaci di azione e di reazione contro
entità molto meno organizzate, molto meno disciplinate, molto meno
resistenti, completamente incapaci di azioni e reazioni, cadranno i colpi
dell’arma dello spazio. Il collasso materiale e morale, fatalmente si
preciserà più presto e con maggiore facilità".
Douhet riassumerà le sue teorie sulla guerra
aerea, che assume nella sua visione un connotazione apocalittica, nel suo
volume “Il dominio dell’aria” che, pubblicato per la prima
volta nel 1921, sarà oggetto di numerosissime ristampe in Italia, ma
soprattutto all’estero. Amedeo Mecozzi, il suo principale avversario per
quanto riguarda la teoria dell’impiego dell’arma aerea, lo accuserà di
“voler fare la guerra agli inermi” ma, fatto sta che Douhet ha
capito pienamente le possibilità dell’aviazione da bombardamento e se
“la guerra è guerra”, non si può non ammettere che egli ha ragione,
come poi i fatti dimostreranno.
Benché Giulio Douhet sia italiano e benché siano proprio gli italiani ad effettuare in Libia, negli anni venti, i primi bombardamenti di tipo terroristico, sebbene con mezzi molto rudimentali, sarà proprio in Italia che le teorie Douhettiane, troveranno minor impiego nel secondo conflitto mondiale. E’ bene precisare che ciò, a mio avviso, va ampiamente ad onore e decoro degli uomini della Regia Aeronautica. Differentemente, l’aviazione tedesca, americana e inglese faranno tesoro di quanto preconizzato dallo stratega italiano, dimostrando di essere in grado di radere al suolo intere città, in modo tale da fiaccare la volontà di resistenza della nazione avversaria, nel tentativo di far crollare il fronte interno e, con questo, il dispositivo militare. Sarà, effettivamente, la guerra agli inermi e a farne le spese saranno bambini, vecchi e donne che nulla hanno da opporre al terrore che arriva dal cielo. Saranno le popolazioni di Londra, Berlino, Rotterdam, Dresda, Belgrado ecc. a dover sopportare questo modo barbaro di contrastarsi in quel conflitto, ma anche le città italiane saranno duramente colpite dall’alto sin dall’inizio della guerra. Il 12 giugno 1940 viene bombardata Torino, il 16 e il 18 seguente è la volta di Milano, il 2/3 settembre è colpita Genova. Nel novembre seguente, poi, Torino sarà colpita nei giorni 8, 24 e 26. Nel corso del conflitto città come Napoli, Genova, Torino, Foggia vengono martoriate dai bombardamenti nemici. Alla fine della guerra, nella motivazione della medaglia d’oro concessa alla città di Napoli si potrà leggere di 20.000 morti nel corso dei bombardamenti. Il numero dei caduti, sebbene secondo alcuni sia esagerato, serve ampiamente a far capire al lettore di quale entità siano stati gli attacchi portati alla città.
I bombardamenti sul suolo italiano, già
durissimi fino all’8 settembre 1943, invece di diminuire di intensità, si
acuiscono a partire dalla data di proclamazione dell’armistizio. Dopo l’8
settembre, un raid aereo raderà al suolo la cittadina laziale di Frascati
nel tentativo di colpire Villa Aldobrandini, ove è ubicato il comando di
Kesselring. Alla fine del bombardamento la villa e il generale tedesco
saranno illesi ma si conteranno 600 italiani morti. Nei soli mesi di
novembre e dicembre ‘43 la MAAF - Mediterranean Allied Air Forces – farà
cadere sull’italia oltre 17 tonnellate di bombe, in un crescendo di
parossismo distruttivo che, fino alla fine del conflitto vedrà attaccate
dall’alto numerosi centri abitati tra i quali Ferrara, Ravenna, Orte,
Pescara, Mestre, Padova, Bolzano, Frosinone, Grosseto, Chiusi, Fano, Prato,
Parma, Bologna, l’Aquila, Terni, Empoli, Pistoia e Perugia. Che gli attacchi
si intensifichino dopo l’8 settembre 1943 è un dato di fatto e a confermarlo
basta citare le statistiche pubblicate nel 1957. Secondo queste ultime i
morti in Italia, in seguito ai bombardamenti aerei, saranno nel corso del
conflitto 64.354 tra civili e militari, dei quali solo 20.052 saranno
precedenti al’8 settembre, mentre i restanti 43.402 si verificheranno dopo
la data dell’armistizio.
I BOMBARDAMENTI SU MILANO
Tra le città italiane colpite dai bombardieri
alleati vi sarà anche Milano che, nel corso della guerra, subirà ben 60
incursioni aeree che causeranno circa 2000 morti.
Nel solo secondo semestre del 1940 a
Milano ci saranno 8 incursioni aeree (15/16 giugno, 16/17 giugno, 13/14
agosto, 15/16 agosto, 18/19 agosto, 24/25 agosto, 26/27 agosto, 18/19
dicembre) le quali, però, causeranno lievi danni. Dopo un anno di stasi nel
’41, le incursioni sulla città lombarda riprenderanno nel ‘42 (14/15
febbraio e 7/8 agosto) causando danni gravi. Nel 1943 i bombardieri sulla
città ambrosiana arriveranno in febbraio (14/15 febbraio) e in agosto (7/8 –
12/13 – 14/15 -15/16 agosto). Anche se, come detto, i bombardamenti a Milano
iniziano già nel 1940, è con il 1943 che la città incomincia ad essere
duramente colpita, iniziando così ad incidere sul morale della popolazione
civile. Dalla lettura di un supplemento alla rivista “Milano”
del marzo 1943, dal titolo “Sul cielo di Milano è passata la RA.F.”,
si ha chiaro quale possa essere lo stato d’animo di chi è costretto a vivere
sotto l’incubo delle bombe. Nell’introduzione al citato supplemento, redatta
a cura di G.G. Gallarati Scotti, si legge infatti:
“Per non dimenticare! Si per non dimenticare mai più, per
documentare ai nostri figli, ai figli dei nostri figli, quanto gli
anglosassoni hanno fatto alla nostra Milano…..Si legge sul frontale di
questo fascicolo che il cielo di Milano è stato violato per lanciare del
panico, mettere lo scompiglio fra il saldo popolo milanese.
Come Torino, Genova, Napoli, Palermo,
Messina e altre città italiane, Milano ha subito l’aggressione delle ali
rapaci dei quadrimotori angloamericani.
Colpite sono state le nostre chiese, gli
ospedali, le case, le scuole, i musei….Colpite sono state le nostre donne, i
nostri vecchi, i nostri figlioli più piccoli, perfino i nostri morti
composti nell’ultimo sonno. Milano e i Milanesi hanno incassato il duro
colpo con l’animo forte. Accompagnati per la sepoltura al Campo dei Caduti i
loro morti, spenti gli incendi, riassettati alla meglio gli ingombri delle
macerie delle case diroccate e sconvolte dalla violenza delle bombe nemiche,
la città ha ripreso all’indomani di ogni incursione il suo ritmo di lavoro,
la sua fisionomia di ogni giorno.”
Ad attestare che è solo con il 1943 che
inizia il vero attacco alla città di Milano è anche il noto studioso Achille
Rastelli, il quale tenta anche di spiegare tale scelta del nemico. E’ il
Rastelli a scrivere: “ Per quasi due anni di
guerra Milano venne poco considerata dal Bomber Command, mentre altre città
erano prese di mira: questa scelta non era certo umanitaria, ma soltanto
tattica e strategica. La difficoltà di raggiungere l’obiettivo con un
consistente numero di bombardieri era il motivo tattico, L’attenzione
prioritaria a bersagli ritenuti militarmente più importanti era quello
strategico.”
Anche per Milano, come per molte altre città
del nord, il biennio 1944/45 sarà il peggiore, tant’è che nel 1944 ci
saranno ben 18 bombardamenti aerei, mentre nei primi quattro mesi del ’45 ve
ne saranno altri 26. Per rendersi conto della pressione alla quale è
sottoposta la città, che di fatto è la capitale morale della Repubblica
Sociale Italiana, negli ultimi quattro mesi di guerra, basta evidenziare
come nel mese di gennaio ’45 la città venga bombardata praticamente a giorni
alterni, subendo ben 13 incursioni aeree.
Con il passare del tempo, la memoria, anche
quella collettiva, tende a rimuovere episodi spiacevoli per la vita di una
comunità, quali possono essere, per l’appunto, quelli dei bombardamenti.
Risultano inutili tentativi, come quelli fatti di G.G. Gallarati Scotti, di
scrivere qualche cosa “Per non dimenticare! e per documentare ai
nostri figli, ai figli dei nostri figli, quanto gli anglosassoni hanno
fatto”. Inevitabilmente, si finisce per obliare fatti che risultano
fonte di dolore per un’intera comunità. Benché si tenda, naturalmente, a
perdere il ricordo, è da dire però che il bombardamento effettuato dai
velivoli americani il 20 ottobre 1944 sulla città di Milano, rimane
prepotentemente vivo nella memoria, a denunciare la brutalità della guerra.
La motivazione dell’indelebilità di tale ricordo è da ricercarsi non tanto
nei 614 morti e nei numerosi feriti causati dall’attacco dal cielo, quanto
in considerazione di quello che il bombardamento del 20 ottobre causa nel
quartiere di Gorla.
Sui fatti di Gorla si è scritto tanto (e mai
troppo per la verità), ma molti degli autori da me consultati hanno
preferito raccontare sommariamente i fatti, tralasciando spesso la reale
meccanica degli avvenimenti, e giocare, invece, sul fatto emozionale,
tentando così di accattivarsi l’attenzione del lettore. Bisogna tentare,
invece, di raccontare, con precisione, che cosa succede nella tarda
mattinata di venerdì 20 ottobre 1944 in questo quartiere di Milano.
E’ una bella giornata, forse anche troppo
bella per essere una giornata di un ottobre ormai avanzato, e benché la
guerra sia in corso ormai da qualche anno, i generi alimentari siano
razionati e la città sia stata già varie volte colpita dai bombardieri
nemici, a Milano si tenta di continuare a vivere in una maniera quanto più
normale è possibile. Alle 11.14 suona il piccolo allarme che viene seguito
alle 11,24 dal grande allarme. Sui due termini bisogna fare qualche
precisazione, anche per far rendere conto al lettore di come funzioni il
servizio di avvistamento aereo e contraereo italiano: il piccolo allarme
viene suonato non appena si avvistano i velivoli in arrivo sulla regione,
mentre il grande allarme viene suonato quando si è certi che quei velivoli
si stanno dirigendo a bombardare una città in particolar modo. Il sistema
dei due allarmi distanziati tra di loro serve a dare alla gente la
possibilità di portarsi nei rifugi antiaerei. Questi ultimi, il più delle
volte, non sono strutture in cemento armato costruite appositamente per la
bisogna, ma sono in realtà solo gli scantinati o le cantine degli stabili
che, puntellati con travi di legno, si spera resistano alle bombe.
Dal momento in cui è suonato il piccolo
allarme, al momento in cui vengono sganciate le prime bombe (ore 11,27) e
che queste incominciano a cadere al suolo (ore 11,29) passano appena 15
minuti. In questo quarto d’ora i civili dovrebbero lasciare le occupazioni
alle quali sono intenti e mettersi al sicuro. Per esempio, il gestore un
negozio deve provvedere a chiudere la sua attività e raggiungere il più
vicino rifugio. La stessa cosa vale non solo per commercianti e
imprenditori, ma anche per gli operai e le comune massaie che devono riunire
gli oggetti di valore che hanno in casa, chiudere casa e con i figli al
collo o per mano correre al più vicino rifugio. Come il lettore capirà, si
tratta di una serie di attività che il ristretto tempo a disposizione non
sempre permette di fare.
Nel quartiere milanese di Gorla c’è la scuola
elementare Francesco Crispi e al momento del piccolo allarme gran parte
delle maestre si affrettano a preparare i 250 bambini del turno della
mattina (altri 250 frequentano il turno pomeridiano) a scendere in rifugio,
altre insegnanti, invece, tentano di informarsi se quella sirena indichi il
piccolo o il grande allarme, in quanto hanno il timore di non aver udito una
eventuale prima sirena. Benchè 250 bambini siano tanti, le maestre devono
essere veramente in gamba e in pochissimo tempo, a partire dal suono del
piccolo allarme, i bambini della scuola sono tutti sulle scale dell’edificio
e si stanno dirigendo verso il rifugio. Purtroppo, non solo il tempo
concesso dal destino per tentare di mettersi in salvo è pochissimo, ma una
bomba che si infila nella tromba delle scale causerà la distruzione di
un’intera ala dell’edificio, facendo crollare le scale sulle quali si
trovano parte degli scolari e il rifugio nel quale è entrato la restante
parte. La Francesco Crispi non sarà l’unica scuola di Milano ad essere
colpita e nello steso bombardamento un ordigno piovuto dal cielo colpirà,
nel quartiere di Precotto, un asilo infantile distruggendolo. La differenza
tra Gorla e Precotto è che mentre a Precotto al momento dello scoppio i
bambini saranno tutti nel rifugio e si salveranno, dalle macerie della
scuola Crispi di Gorla saranno estratti soprattutto cadaveri.
Il bombardamento, quindi, colpisce anche altri
quartieri della città ma in considerazione della particolarità
dell’obiettivo centrato a Gorla, gran parte dei soccorsi si concentrano
sulle macerie della scuola Crispi. Purtroppo, come già detto, i Vigili del
Fuoco, i Militi dell’Unione Nazionale Protezione Antiaerea, della Muti,
della Guardia Nazionale Repubblicana e i numerosi civili accorsi a dare una
mano, dalle macerie della scuola tireranno fuori i cadaveri di 184 scolari
più quelli della direttrice, Tagliabue Isabella Ved. Castelnuovo e di tutte
le insegnanti e dei bidelli, per un totale di altre 19 persone. Tra i
maestri e i collaboratori, si salverà solo la segretaria della scuola,
Rosalba Buratti Musolini. Ai 184 scolari vanno poi aggiunti altri 18
bambini, tra i 2 e i 22 mesi, periti nello stesso bombardamento assieme ai
genitori che, udita la sirena dell’allarme, si sono portati a scuola per
riprendere i propri figli.
E’ impossibile descrivere con poche parole e
in poche pagine l’orrore che quel giorno si disegnerà a Piazza Redipuglia
sulla quale si affaccia l’elementare “Crispi”. Non si può raccontare al
lettore lo strazio delle madri e dei padri che si vedranno privati di un
figlio, talvolta anche di due, che loro stessi in mattinata hanno affidato,
spesso accompagnandocelo di persona, ad un luogo sicuro quale è la scuola.
Come si può raccontare la storia di quel
Garlaschini, caposquadra dei pompieri della Caserma di via Benedetto
Marcello, che si ritroverà a recuperare il corpo del figlio Riccardo di 6
anni.
Mai è poi mai si sarebbe pensato che
avrebbero colpito una scuola. E, soprattutto, in una bella giornata come
quella, ci si sarebbe aspettato che a causa della perfetta visibilità i
bombardieri avrebbero mirato mirare bene sui loro bersagli, evitando di fare
quello che si spera sia stato un errore. A descrivere l’orrore ci proverà,
tra i tanti, un giornalista de “La Repubblica Fascista” che la domenica
seguente pubblicherà un articolo dal titolo “L’innocenza sepolta”
nel quale si potrà leggere: “la bomba ha
attraversato i tre piani della scuola ed è scoppiata all’altezza del livello
stradale provocando il crollo dell’edificio dando luogo alla terribile
sepoltura di centinaia di bimbi. Gli scolari avevano lasciato le aule e si
affollavano verso il cantinato. Unitamente ai bambini sono rimasti travolti
e sepolti gli insegnanti – oltre una decina- compresa la direttrice
didattica Castelnuovo”…(..)…“ Incolume, per miracolo, la segretaria e,
perché momentaneamente assente, il bidello. Morti quasi tutti gli altri,
pochi o feriti” …(..)…“Ora il terreno è cosparso di oggetti scolastici che
nulla recano in se a ricordare gli ordigni micidiali della guerra. Ovunque
si intravedono giocattoli, indumenti ed un’infinità di piccole cose tipiche
della vita infantile. Scorgo in un’aula squarciata a metà, una fila di
banchi su cui sono rimasti intatti i calamai e ancora aperti i quaderni;
vedo appesi alle pareti vistose tavole sui teatri d’operazione, quadri di
eroi, riproduzioni di episodi storici, visioni di civiltà e di paesi
lontani….” …(..)… “le salme affiorano lentamente. Tenere braccia bianche
rivolte verso il cielo, confuse fra brani di libro e fogli di quaderno,
piccoli caduti di una guerra combattuta con mostruosa malvagità. Innocenza
colpita alle spalle come nelle storie paurose dei maghi che si raccontano ai
bambini per insegnare loro ad odiare gli uomini cattivi”…(..)… “Piazza
Redipuglia è ormai un centro macabro di dolore e di lacrime. Tutto
all’interno, dove prima i fanciulli correvano festanti, appare divelto,
frantumato, intriso di fango”
Il raccapriccio di quel giorno resterà
impresso nella memoria dei sopravvissuti in maniera indelebile e coloro i
quali (pochi) verranno estratti dalle macerie o riusciranno a sottrarsi alle
bombe per un puro caso di fortuna non lo dimenticheranno più. Questo lavoro
nasce anche grazie alla signora “Graziella Ghisalberti Savoia” la quale, nel
raccontarmi quella sua indimenticabile giornata, ha esordito con la frase
“la maestra ci aveva fatto fare una pagina di D
maiuscole, allora si badava molto alla bella grafia ed io le avevo fatte
così bene che mi aveva mandato in segreteria per farle vedere alla
segretaria.”
La signora Ghisalberti si salverà perché non
andrà nel rifugio della scuola ma scapperà di corsa verso casa venendo
sorpresa dal bombardamento in strada. Arrivata all’altezza di via Pozzi sarà
tirata dentro l’androne di un palazzo da una portinaia che, evidentemente,
avrà pena a veder correre per strada una bimba in quel frangente.
Anche lo scolaro Giorgio Bettini, all’udire la
sirena d’allarme, assieme al fratello Mario farà quello che la mamma gli ha
sempre raccomandato di fare. I due scapperanno dalla scuola come lepri verso
casa ed avranno salva la vita. Il Bettini in una sua testimonianza narrerà
che la mattina, all’entrata a scuola, il suo amico Antonio, raccontandogli
di un film musicale visto la sera prima in un cinema a viale Monza e che lo
ha tanto divertito, gli ha detto “E’ stato troppo bello, finché avrò
vita non lo dimenticherò mai”. Il piccolo Antonio non avrà molto
tempo per ricordare perché la sua vita, a partire da quel momento, durerà
ancora solo poche ore.
Walter Filippi, che poi diverrà
sacerdote, narrerà a Famiglia Cristiana, nel 1974, di come, benché sepolto
dalle macerie, sia riuscito a salvarsi: ”Alle 11,15 suona il piccolo
allarme : ci eravamo abituati. Poi arriva il grande allarme. Cominciamo a
scendere le scale. Mi sentii volare. Come certe volte capita in sogno . Poi
niente. Quando rinvenni ero nel buio, incastrato, con una mano bloccata in
alto. Eravamo in tre o quattro vicini. Parlavamo, ci scambiavamo le
sensazioni, dicevamo: “Chi sa che cosa pensano mamma e papà”. Riuscimmo
anche a pregare. Io cerco di muovermi, ma un altro compagno mi chiedeva di
star fermo perché muovendomi gli facevo male. Bombelli si lamentava, stava
peggio, però, ad un certo punto mi disse di dire alla mamma che non aveva
sofferto. E morì. C’erano laggiù con me Sergio Mattusi, Antonio Recli, un
altro che si chiamava Andrea e un altro ancora del quale non ricordo nulla.
Alle 13 circa scavando, un pompiere mi percorse con la pala le due dita
della mano. Le mossi, si accorse che ero ancora vivo. Dopo un pò ci tirarono
fuori. io ero rimasto senza abiti, avevo solo una scarpa“. Una volta
tirato fuori dalle macerie lo scolaro Filippi sarà portato al Niguarda e in
serata, avendo solo poche escoriazioni, sarà rimandato a casa accompagnato
da un’infermiera. Sull’autobus che lo riporta a casa un uomo, accorgendosi
che il bambino è in pigiama senza scarpe, toglierà alla figlia un paltoncino
rosso e glielo metterà addosso, mentre un’altra signora gli regalerà un
pezzo di grana. Anche il Sergio Mattusi e l’Antonio Recli, ricordati dal
Filippi, lasceranno una testimonanzia sul come, sepolti vivi, sono poi
ritornati alla luce, Mattusi dirà: Mi ricordo
che eravamo al secondo piano e mentre la maestra e i miei compagni
scendevano le scale, io e gli altri tre amici, Valter Filippi, Recli e
Ceccato , restammo per ultimi e ci fermammo a giocare sul pianerottolo. Ad
un tratto si sentirono dei boati. Guardai fuori dalle finestre e vidi
alzarsi dalle case colonne altissime multicolori, che si aprivano come
fossero dei ventagli. E quasi contemporaneamente tutti i vetri delle nostre
finestre si ruppero Questa fu l’ultima visione e poi più nulla. Quando
ripresi conoscenza non mi rendevo conto di dove fossi. Le macerie mi
avvolgevano come una ruvida coperta. Solo la testa e la mano sinistra erano
libere. Poi seppi che una putrella della scala si era mesa di traverso e mi
proteggeva la testa. Ero in posizione strana, seminudo con una gamba flessa
all’indietro. Sentivano di lontano dei bambini che piangevano e gridavano
aiuto. Cercai di muovermi. Senza esito. Respiravo a fatica e quando mi
muovevo sentivo molto distintamente dei lamenti. Era il mio amico Recli che
mi supplicava di stare fermo: forse perché muovendomi le macerie premevano
maggiormente sul suo corpo. ..(.). ..ad un certo punto sentii una sensazione
di freso al viso: erano le macerie che venivano bagnate dall’esterno Sentivo
con piacere quella frescura e ingoiavo con sollievo i calcinaci bagnati che
mi davano la sensazione di respirare meglio. ..(…).. Un altro ricordo
indelebile è questo. Con la mano sinistra riuscivo a compiere un piccolo
movimento e pizzicavo una gamba che appoggiava sulla mia spalla destra. Era
fredda ma io non mi rendevo conto che era di un bambino morto e insistevo,
forse perché in quel momento era l’unico contatto umano che avevo .
trascorsero circa tre ore (mi è stato riferito che rimasi sotto le macerie
fino alle tre del pomeriggio). Ad un tratto sentii delle voci sopra la mia
testa. Poco dopo provai la meravigliosa sensazione: l’aria.”
Altri bambini si salveranno invece, per
puro caso. Alcuni avranno marinato la scuola per andare a giocare a pallone,
come Giovanni Smidili che ricorderà “Con i miei
amici Giulio, Lillino e Bruno mi avviai verso la Scuola, e, non so spiegarmi
la ragione, arrivati davanti al portone decidemmo di bigiare, forse perché
era una splendida giornata e avevamo tanta voglia di giocare al
pallone…(…)…ricordo aver portato la cartella a casa e di aver cambiato le
scarpe per evitare che, al ritorno da lavoro, la mamma si accorgesse che
avevo bigiato. Mentre giocavamo felici nel prato gli aerei volavano nel
cielo azzurro, ricordo la sirena d’allarme e, mentre le bombe venivano
sganciate sopra il quartiere colpendo la scuola, suonava la sirena del
cessato allarme. Rimanemmo terrorizzati…”
Altri ancora, avendo udito l’allarme,
invece di recarsi al rifugio scapperanno dalla scuola, qualcuno addirittura
sgaiattolando attraverso le gambe del bidello che si è messo di traverso
sulla porta. Racconterà, infatti, Ester Faccetti Colombo:
“I bambini gridavano e il bidello per tenerli a bada, teneva
le braccia e le gambe aperte proprio sulla porta vetrata cercando di non far
uscire alcun bambino.
Feci uno scatto folle, passai tra le
gambe del bidello e sgaiattolai sulla strada, trascinando con me anche una
mia amica, Luigia Magni, che abitava nella mia stessa via Fu una corsa
all’impazzata e, a distanza di pochi secondi, la bomba asasina,
attraversando i due piani dell’edificio scolastico fini sulla scala.”
Una quinta elementare, riuscirà a salvarsi al
completo perché si trova al primo piano.
Le testimonianze sopra riportate sono riprese
dal volume “20 ottobre 1944 - Il Bombardamento: Gorla ricorda e
racconta” (Editing Giovanna Apostolo – 2002) scritto da scolari
cinque superstiti e dall’ottimo volume di Achille Rastelli, dal titolo
“Bombe sulla città”, edito da Mursia. Consiglio al lettore,
interessato all’argomento e che volesse conoscere di più su quella giornata,
attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta, di leggere proprio la
citata opera del ricercatore Rastelli. Il volume “Bombe sulla città”,
oltre che essere interessante da un punto di vista tecnico, riportando con
piglio scientifico in merito agli attacchi angloamericani sulla città di
Milano, costituisce un documento di rara umanità per le numerosissime
testimonianze raccolte tra i superstiti di quel tragico 20 ottobre.
I funerali che seguiranno saranno estremamente
spartani e le piccole bare, caricate su autocarri militari, saranno condotte
alla tumulazione. Nella giornata del 26 successivo sarà dichiarato il lutto
cittadino e alle ore 8,00, in Duomo, il cardinale Schuster celebrerà una
solenne messa funebre.
L’OPERAZIONE DI BOMBARDAMENTO
Avendo trattato degli effetti del
bombardamento risulta indispensabile, a questo punto, descrivere al lettore
la storia della missione aerea che causerà la tragedia di cui si è detto
sopra.
Nella prima mattinata del 20 ottobre, tra le
6,30 e le 7,24, in esecuzione dell’ordine operativo 754A del giorno
precedente, dagli aeroporti pugliesi decollano i bombardieri B 24 del 49°
Bomb Wing diretti su Milano. Il 49° BW, che è inserito nell’ambito della 15°
Air Force della M.A.A.F., è articolato su tre Bomb Group: il 451° BG, il
461°BG e il 484° BG.
Gli americani hanno scelto la strada del
bombardamento diurno, a differenza degli inglesi che effettuano
bombardamenti solo di notte per limitare al massimo le proprie perdite. Il
motivo della scelta americana è da individuarsi anche nella fiducia che
questi hanno nel loro sistema di puntamento Norden. Il bombardamento diurno,
effettivamente, pur presentando maggiori rischi, consente una maggiore
precisione nell’individuazione dell’obiettivo e pertanto anche minori
possibilità di fare errori colpendo bersagli civili.
Per dare dei numeri più precisi è bene
evidenziare che a decollare, quella mattina, sono 41 velivoli B24 del 461°
Group, 34 velivoli B24 del 484° Group e 36 B 24 del 451° Group. Il 451°
Group ha come obiettivo la Breda di Sesto San Giovanni, il 461° Group
l’Isotta Fraschini e il 484° Group l’Alfa Romeo. Alle tre industrie milanesi
è destinato un notevole carico di esplosivo, in considerazione del fatto che
ogni aereo trasporta dieci bombe da 500 libre. In realtà però, è da dire
subito che non tutti gli aerei sganceranno poi effettivamente sulla città
lombarda in quanto, dopo il decollo, torneranno indietro per noie meccaniche
un B 24 del 451°, tre del 461° e cinque del 484°.
I bombardieri americani sono privi di scorta
caccia perché chi ha organizzato la missione sa benissimo che sull’Italia
del nord il contrasto che questi possono trovare in cielo è estremamente
limitato se non nullo. Verso la fine del ’44 la Luftflotte 2° viene
completamente trasferita in Germania in quanto i bombardamenti
angloamericani sul suolo tedesco rendono indispensabile la presenza in
Patria di ogni velivolo per impiegarlo a difesa dei cieli del Reich. In
Italia, dove non resta che qualche ricognitore strategico Ju88, e qualche
caccia Fw. 190, i piloti dell’Aviazione Nazionale Repubblicana si ritrovano
da soli a difendere i cieli delle proprie città sottoposte all’attacco
quotidiano dei bombardieri nemici. In considerazione del fatto che
l’Aviazione Nazionale Repubblica dispone, a difesa della pianura padana, di
due gruppi caccia e di un terzo gruppo incompleto è facile capire come quel
20 ottobre ’44 a difesa del cielo di Milano non interverrà alcun aereo
italiano o tedesco che sia.
I bombardieri, presumibilmente, dopo un volo
sull’adriatico, all’altezza della Romagna virano su Milano dove si
presentano, come di consueto con formazioni molto compatte come è d’uso
nella tecnica d’attacco americana. La missione del 461° e del 484° si svolge
senza eccessivi problemi e gli obiettivi vengono colpiti, anche se qualche
ordigno cade su abitazioni civili causando numerose vittime.
Differente è la storia, invece, dell’azione
svolta dal 451° Group che prende tutt’altra piega. Il 451° vola in due
formazioni a freccia, ognuna composta da tre box di sei velivoli ciascuno,
disposti anch’essi a freccia. I box, è bene dirlo per chi non lo sapesse,
non sono altro che gruppi compatti di velivoli che si forniscono aiuto
reciproco con le mitragliatrici di bordo in caso di attacco da parte della
caccia avversaria.
La prima formazione di 18 velivoli del 451°,
comandata dal Comandante di Gruppo, capitano P.J. Collins, arriva a quello
che, definito come Initial Point, non è altro che un punto del terreno
sottostante, a quattro chilometri ad ovest dall’obiettivo, che essendo
rilevante è facilmente individuabile dall’alto. E’, quindi, un punto di
partenza, facilmente rilevabile dall’alto, disposto ad una distanza
conosciuta dall’obiettivo, e serve ad individuare il bersaglio.
Accortosi di essere prossimi al bersaglio il
velivolo leader del box centrale, a causa di un corto circuito
all’interruttore di lancio, sgancia subito dopo l’initial point. La prassi
concordata prevede che gli altri velivoli, dopo essere stati avvertiti di
essere vicini all’obiettivo, mediante segnalazione ottica, sgancino ad
imitazione del velivolo leader. Sganceranno così anche tutti gli altri
velivoli dello stesso Box, con l’esclusione di uno, e tutti quelli del box
che vola a quota più elevata. Ne conseguirà che le bombe cadranno
sparpagliate in campagna. Solo il terzo box della prima formazione
d’attacco, che è quello che vola a quota più bassa, riuscirà a sganciare in
prossimità della Breda, colpendo anche il vicino stabilimento Pirelli.
La tragedia si verifica con l’entrata in scena
dei 17 velivoli dei tre box di B24 della seconda formazione d’attacco che ha
come leader il tenente W.W. Coleman. Questa seconda ondata, che segue ad una
certa distanza dalla prima, si ritrova con un errore di rotta di 22° sulla
rotta da seguire. Il capo formazione, accortosi che non è possibile tornare
indietro per correggere la rotta in quanto non può ritornare sull’initial
point e rifare la rotta d’attacco, capisce che ha due sole possibilità: può
allontanarsi e sganciare in aperta campagna, oppure decidere di sganciare a
sud est del bersaglio, ben sapendo che sotto di lui non ci sono né fabbriche
né concentramenti di truppe.
Deciderà in quest’ultimo senso, scaricando le
sue bombe sul quartiere di Gorla, benché sia una bellissima giornata e
l’aria tersa e limpida gli consenta di vedere bene che cosa c’è al suolo.
A termine del bombardamento, nella primo
pomeriggio della stessa giornata, ad un velivolo del 15° Squadron PRU verrà
affidato il compito di un volo di ricognizione sulla città di Milano. Un
altro volo di ricognizione sarà eseguito nei giorni successivi. Gli
americani dovranno ordinare i voli di ricognizione perché a loro,
chiaramente, non arriverà il fonogramma n. 991 con il quale, nella serata
del 20.10.1944, la prefettura di Milano comunicherà al Ministero
dell’interno, che è a Maderno, quanto segue: “Oggi 20 ottobre ore
11/14 è stato dato il segnale di limitato pericolo. Alle ore 11/24 è stato
dato allarme per numerose formazione aeree nemiche provenienti da nord
ovest. Alle 11/29 si è avuto il primo sgancio di bombe alla periferia di
Milano con conseguenze gravi agli stabilimenti industriali, alle strade,
agli impianti elettrici, alle linee tramviarie, all’acquedotto comunale, al
gas, alle linee telefoniche. Sono state colpite scuole e case civile, si
sono avute perdite notevoli in morti e feriti tra le popolazioni civili e
tra le maestranze degli stabilimenti industriali. Sono stati immediatamente
organizzati i soccorsi con mezzi disponibili. E’ stato colpito con numerose
bombe di grosse calibro lo stabilimento Pirelli della Biocca con la
distruzione completa del reparto lavorazione coperture auto, soprattutto per
i danni alle macchine. Distrutto il reparto cavi, colpita la centrale
caldaie e vapore, colpita la mensa operai, gravi danni a numerosi altri
reparti. Morti finora accertati 35, feriti circa 100 (già con il
fonogramma n. 995 del 22.10.1994 il numero dei morti accertato è aumentato
in quanto il Prefetto comunica: “le vittime accertate sono salite al
nr. Di : morti 451, feriti 413. Sono tuttora in corso operazioni di
salvataggio e recupero salme” n.d.a.) .
A Precotto alcune bombe dirompenti hanno colpito tre reparti della società
di fibra vulcanizzata. Pure a Precotto una bomba dirompente di medio calibro
ha colpito un asilo distruggendolo. I bambini, tutti in rifugio si sono
salvati. Due morti civili estranei all’asilo ed alcuni feriti. A Gorla, in
via Re di Puglia (sic!) una bomba entrata nella tromba delle scale della
scuola ha provocato il crollo del rifugio detenendo l’intera scolaresca et
alcuni genitori che si erano recati a ritirare i bambini.”
Il linguaggio ministeriale della prefettura di
Milano è freddo ma serve, ampiamente, a dare il quadro della tragedia
delineatasi. In particolare, è nella frase burocratica: “una bomba
entrata nella tromba delle scale della scuola ha provocato il crollo del
rifugio detenendo l’intera scolaresca et alcuni genitori che si erano recati
a ritirare i bambini.” che si racchiude l’intera tragedia di quel
giorno a Milano.
CONCLUSIONI
La strage di Gorla sarà usata dalla propaganda
della R.S.I. e amplificata a dismisura per descrivere la barbarie degli
angloamericani, ma da come è stata descritta l’operazione di bombardamento
sembra certo che gli aviatori americani non abbiano nei loro obiettivi
iniziali la scuola di Gorla e che questa venga colpita solo per caso. Anche
se è tacito che gli americani a Gorla non intenderanno attaccare dei
bambini, è altrettanto vero che in una miriade di altre occasioni, invece,
di proposito attaccheranno degli inermi civili. In più di un’occasione i
cacciabombardieri dei “liberatori” si abbasseranno al suolo ad attaccare
autocorriere, treni in transito e si sprecheranno a mitragliare anche
singoli ciclisti o ignari contadini intenti a lavorare.
Nino Arena, trattando del misterioso
aereo e disturbatore, da tutti chiamato Pippo, scriverà :
“Ma chi ha vissuto il ciclo storico della RSI, non può
dimenticarlo poiché non c'era notte in cui il nostro misterioso disturbatore
non facesse la sua apparizione lasciando ovunque il suo biglietto da visita:
18 luglio '44 - bombe su Varazze, 19 agosto - un autocarro mitragliato
vicino Busalla, 12 settembre - sul ponte dell'Orco scoppia una bomba nei
pressi di Chivasso, 20 novembre-autoveicolo in fiamme fra Susegana e
Conegliano, 16 gennaio 1945 - bombe su Brescia vicino alla Wuhrer, Cinisello
Balsamo e Mantova, 28 marzo - camion mitragliato nottetempo vicino Codigoro,
6 aprile - attacco notturno ad una corriera vicino Fidenza, tanto per citare
alcuni casi delle numerose malefatte attribuite a "Pippo"”
Il 25 settembre ’44, sul lago Maggiore, due
aerei inglesi sganceranno alcune di bombe su un gruppo di case di Intra
provocando 11 morti e numerosi feriti. I prodi aviatori, non contenti dei
risultati ottenuti, dopo poco, di fronte a Baveno, mitraglieranno il
battello “Genova” che ha a bordo solo civili, in prevalenza donne e bambini.
L’attacco causerà l’incendio del battello con molti morti e feriti. Il
giorno seguente, probabilmente gli stessi aviatori del giorno prima,
ritorneranno sul lago Maggiore e attaccheranno il battello "Milano" carico
di sfollati che, imbarcatisi a Laveno, si dirigono verso la sponda
piemontese del lago. Solo per puro caso a bordo c'è anche un reparto del
battaglione "M" Venezia Giulia che sta tornando alla scuola di Varese della
G.N.R. Il battello “Milano” si incendierà e, dopo essere andato alla deriva
di fronte a Punta Castagnola di Verbania, affonderà. Periranno 10 militi dei
battaglione “M” e numerosi civili. Il numero di questi ultimi è imprecisato
perché il battello non è mai stato recuperato
Tali ultimi attacchi aerei non saranno causati
da errori di guerra ma saranno, invece, proditori e terroristici contro la
popolazione civile, portati li dove è la parte più debole del nemico per
fiaccarlo ed esasperarlo.
Non mi si dica che l’aviatore che si abbassa a
mitragliare i battelli “Milano” e “Genova” o quel pilota che il lunedì di
Pasqua del 1944 mitraglierà una giostra carica di bambini in una città
toscana non si accorgerà, nel farlo, che non si tratta di obiettivi
militari.
La strage di Gorla avrà uno strascico di tipo
aneddotico che reputo sia il caso di raccontare: l’1 Maggio 1946, alla
serata di inaugurazione della Scala, finalmente fatta risorgere dopo i
bombardamenti della guerra, per il concerto di inaugurazione è prevista la
direzione di Arturo Toscanini. Qualcuno penserà bene di inviare al maestro
un cesto fiori enorme, il più bello di tutti, ma con sopra un biglietto che
dice “I morti di Gorla”. Evidentemente chi ha inviato quell’omaggio
floreale intende rimproverare a Toscanini il suo esilio in America. Qualcuno
farà sparire il biglietto, in modo tale che Toscanini non lo legga. La
serata è troppo importante perché il vecchio maestro, turbato da una cosi
cruda protesta nei suoi confronti, possa decidere di non dirigere.
Oggi, a ricordare quella che è stata
definita “la strage degli innocenti”, in Piazza Piccoli Martiri, che è poi
la piazza Redipuglia, dove all’epoca sorgeva la Scuola elementare Crispi,
esiste un monumento ossario il cui bozzetto è dovuto allo scultore Remo
Brioschi. Alla fine della guerra il comune di Milano metterà in vendita il
terreno dove sorgeva la scuola per la cifra di sei milioni. I genitori delle
vittime, scandalizzati da tale scelta, chiederanno di essere ricevuti a
Palazzo Marino, dove uno di loro i domanderà seccamente al sindaco di
Milano: “Ma la vita dei nostri figli vale dunque così poco?” e
il sindaco, avvocato Antonio Greppi, non potrà fare altro che rispondere
“sono padre anch’io ….fate del terreno quello
che volete”
Il monumento in questione, sul quale campeggia
una madre che solleva il corpo di un figlio inanimato, sarà poi costruito
grazie ad offerte pubbliche e private.
Il lettore, facilmente si chiederà perché mai
ho voluto trattare, a sessant’anni di distanza, l’episodio di Gorla che,
tutto sommato, in una guerra che ha visto intere città rase al suolo
potrebbe sembrare irrilevante. Ebbene, sono dell’avviso che la giornata del
20 ottobre ’44 è una di quelle che si imprimono nella memoria di un popolo
quasi come un marchio a fuoco nella carne. Si trattò indubbiamente di un
errore ma è assurto a simbolo degli innumerevoli casi di terrorismo aereo
che il popolo italiano ha subito e per i quali non c’è stata nessuna
Norimberga.
Daniele Lembo
BIBLIOGRAFIA
1.
Achille Rastelli – Bombe sulla
città – Mursia – Milano, 2000;
2.
AA.VV. – l’Italia del 20°
secolo, volume 3 – Rizzoli, 1977;
3.
AA.VV. – 20 ottobre 1944
“Dicevano che la guerra era finita” il Bombardamento: Gorla ricorda e
racconta - Editing Giovanna Apostolo - 2002
RIVISTE CONSULTATE
1.
Paolo Cattaneo – Come ridevano
quel mattino i bimbi di Gorla –Historia n. 83 otobre 1964;
2.
Luigi Cazzadori – Sul cielo di
Milano è passata la RAF –Storia del XX Secolo n. 41 ottobre 1989 –
3.
Luigi Cazzadori – Gorla 20
ottobre 1944, la strage degli innocenti –Storia del XX Secolo n. 47 maggio
1999
4.
Nino Arena - Vi presentiamo "Pippo" Il misterioso aereo notturno sulla
R.S.I. –Storia del XX Secolo N. 36 Maggio 1998;
Nessun commento:
Posta un commento