"Presto
tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà esaminato anche il
problema della terra e della casa perché tutti i lavoratori devono
possedere la loro terra e la loro casa…"
Nicola Bombacci
Seguì il Duce nella cattiva sorte,
quando altri fuggivano
o rinnegavano, lui morì gridando
"Viva l'Italia! Viva il
Socialismo!"
Nicola Bombacci
(Civitella di Romagna, 24 ottobre 1879 -
Dongo, 28 aprile 1945)
Dirigente socialista durante la prima Guerra Mondiale e il primo
dopoguerra, fu uno dei fondatori del Partito Comunista d'Italia nel
1921. Negli anni trenta si avvicinò al fascismo, dirigendo la rivista
“La Verità”. Partecipò alla Repubblica Sociale Italiana e fu fucilato
con Mussolini nell'aprile del 1945.Dongo, 28 aprile 1945)
Il 29 aprile '45 furono passati per le armi i gerarchi fascisti per mano dei partigiani comunisti. Cosa curiosa, fra questi c'era una delle massime figure del comunismo italiano, né più né meno che Nicola Bombacci, il fondatore del Partito Comunista Italiano (PCI), amico personale di Lenin, col quale stette in URSS durante la Rivoluzione d'Ottobre. Soprannominato il "Papa Rosso" e, finalmente, incondizionato sostenitore di Mussolini al quale si unì negli ultimi mesi del suo regime. La sua vita fu la storia di una conversione o di una tradizione? O fu per caso, l'evoluzione naturale di un nazional-bolscevismo? La pubblicazione in Italia di una biografia di Bombacci ha riaperto il dibattito sulla ideologia rivoluzionaria del fascismo mussoliniano".
Nicola Bombacci nacque in seno ad una famiglia cattolica della
Romagna il 24 ottobre 1879, a pochi chilometri da Predappio, ove
nascerà, pochi anni dopo, quello che sarebbe stato il fondatore del
fascismo, in una regione in cui la lotta operaia si distinse per la sua
durezza. Entra in gioventù nel Partito Socialista Italiano e prende il
diploma di maestro (nuovamente le somiglianze con il Duce sono evidenti)
per dedicarsi subito, anima e corpo, alla rivoluzione socialista. Per
la sua capacità di lavoro e le sue doti organizzative, fu incaricato di
dirigere gli organi di stampa socialisti; qui aumenta il suo potere in
seno alle organizzazioni operaie e conosce Mussolini che, non
dimentichiamolo, fu la grande promessa del socialismo italiano prima di
divenire nazional-rivoluzionario. Opposto alla linea morbida della
socialdemocrazia, Bombacci fonda, insieme a Gramsci, il Partito
Comunista d'Italia e nei primi Anni '20 si reca in URSS per partecipare
alla Rivoluzione bolscevica. Lì fa amicizia con Lenin che in una
riunione al Cremlino dice di Mussolini: "In Italia compagni, in Italia
c'è solo un socialista capace di guidare il popolo verso la rivoluzione:
Mussolini!" E poco dopo il Duce inizierà la rivoluzione, però
fascista... Come leader del neonato Partito Comunista, Bombacci si
convince come la borghesia italiana, che lo soprannomina il "Papa
Rosso", sia l'autentico nemico pubblico numero uno. Eletto tra i primi
deputati del partito, mentre le squadre fasciste iniziano a formarsi e a
confrontarsi con le milizie comuniste, ha come missione quella di
contenere l'inevitabile presa del potere da parte del fascismo, ma
fallisce nel suo impegno. Dopo l'ascesa al potere da parte di Mussolini
resta, senza ombra di dubbio e fedele alle proprie convinzioni, l'eterno
anticonformista e il difensore di una politica di avvicinamento
dell'Italia all'URSS.
Difensore di una Terza Via, ove il nazionalismo rivoluzionario del
fascismo avrebbe potuto incontrarsi col socialismo rivoluzionario del
comunismo, fu espulso dal PCI nel '27 e condannato ad un ostracismo
politico; nonostante ciò non smise di mantenere contatti con i dirigenti
politici russi. A poco a poco si converte, benché "sui generis", a
difensore del regime fascista. Non accetta gli incarichi che gli sono
offerti, non rinnega le sue origini comuniste e mai nasconde le proprie
intenzioni. Nel '36 scrive sulla sua rivista, "la Verità", confessando
la propria adesione al fascismo, che: "ho fatto una grandiosa
rivoluzione sociale, Mussolini e Lenin. Soviet e Stato Fascista
Corporativo, Roma e Mosca. Molto dovremo rettificare, ma nulla di cui
farsi perdonare; oggi come ieri ci unisce lo stesso ideale: il trionfo
del lavoro". È naturale che Bombacci, un tempo leader comunista, abbia
accettato la nuova situazione politica pur rimanendo sempre critico nei
confronti del regime. Nonostante l'amicizia con il Duce fosse da tutti
conosciuta, non aderisce mai al Partito Nazionale Fascista. Quando
Mussolini viene deposto nel luglio '43 e liberato dai tedeschi un mese
dopo, il partito fascista crolla. La struttura organica scompare e i
dirigenti del partito, provenienti in maggioranza dai ceti privilegiati
della società, passano in massa al governo di Badoglio. L'Italia si
trova divisa in due, "a sud di Roma gli Alleati avanzano verso il nord" e
Mussolini raggruppa i suoi più fedeli, tutti vecchi camerati della
prima ora e giovani entusiasti "che i dirigenti del partito avevano
abbandonato" e che ancora credono nella rivoluzione fascista e proclama
la Repubblica Sociale Italiana. Immediatamente il fascismo sembra voler
tornare alle proprie origini rivoluzionarie e Nicola Bombacci aderisce
all'appena proclamata Repubblica e porge a Mussolini tutto il proprio
appoggio. Il suo sogno è poter portare avanti la costruzione di quella
"Repubblica dei lavoratori" per la quale tanto lui che Mussolini
combatterono ad inizio secolo. Come Bombacci, si uniscono al nuovo
governo altri intellettuali di sinistra: Carlo Silvestri (deputato
socialista e dopo la guerra diffusore delle memorie del Duce), Edmondo
Cione (filosofo socialista che fu autorizzato a fondare un partito
socialista staccato dal Partito Fascista Repubblicano), etc.
Mussolini preoccupato per la situazione militare, ma risoluto più che mai a portare avanti la sua rivoluzione ora che si è liberato della zavorra del passato, autorizza i settori più rivoluzionari del partito ad assumere il potere e inizia la tappa denominata di "socializzazione" che si traduce nella promulgazione di leggi chiaramente di ispirazione socialista, quali la creazione dei sindacati, la cogestione nelle imprese, la distribuzione di benefici e la nazionalizzazione dei settori industriali di importanza strategica. Tutto ciò è riassunto nei famosi "18 punti" del primo (e unico) Congresso del Partito Fascista Repubblicano a Verona; un documento, redatto congiuntamente da Mussolini e Bombacci, che doveva convertirsi nelle basi della nuova Costituzione dello Stato Sociale Repubblicano. In politica estera, Bombacci tenta di convincere Mussolini a firmare la pace con l'URSS e a continuare la guerra contro la plutocrazia anglosassone, risuscitando l'asse Roma-Berlino-Mosca dei pensatori geopolitici del nazional-bolscevismo degli Anni '20. Se per molti l'ultimo Mussolini era un uomo finito, burattino dei tedeschi, non finisce di sorprendere l'adesione che ha ricevuto da uomini come Bombacci, un vero idealista con una oratoria attraente, allergico a tutto ciò che significasse inquadrarsi o imborghesirsi e che non accetterà neppure ora alcun incarico né stipendio ufficiale. Bombacci diverrà il consigliere e il confidente di Mussolini per gettare, nuovamente, le basi del Partito dei Lavoratori.
Mussolini preoccupato per la situazione militare, ma risoluto più che mai a portare avanti la sua rivoluzione ora che si è liberato della zavorra del passato, autorizza i settori più rivoluzionari del partito ad assumere il potere e inizia la tappa denominata di "socializzazione" che si traduce nella promulgazione di leggi chiaramente di ispirazione socialista, quali la creazione dei sindacati, la cogestione nelle imprese, la distribuzione di benefici e la nazionalizzazione dei settori industriali di importanza strategica. Tutto ciò è riassunto nei famosi "18 punti" del primo (e unico) Congresso del Partito Fascista Repubblicano a Verona; un documento, redatto congiuntamente da Mussolini e Bombacci, che doveva convertirsi nelle basi della nuova Costituzione dello Stato Sociale Repubblicano. In politica estera, Bombacci tenta di convincere Mussolini a firmare la pace con l'URSS e a continuare la guerra contro la plutocrazia anglosassone, risuscitando l'asse Roma-Berlino-Mosca dei pensatori geopolitici del nazional-bolscevismo degli Anni '20. Se per molti l'ultimo Mussolini era un uomo finito, burattino dei tedeschi, non finisce di sorprendere l'adesione che ha ricevuto da uomini come Bombacci, un vero idealista con una oratoria attraente, allergico a tutto ciò che significasse inquadrarsi o imborghesirsi e che non accetterà neppure ora alcun incarico né stipendio ufficiale. Bombacci diverrà il consigliere e il confidente di Mussolini per gettare, nuovamente, le basi del Partito dei Lavoratori.
Viaggerà nelle fabbriche spiegando la rivoluzione sociale del nuovo
regime e il perché della sua adesione, mentre la situazione militare si
sta deteriorando e i gruppi terroristi comunisti (i tristemente famosi
GAP) già hanno deciso di eliminarlo per il pericolo rappresentato dalla
sua attività. Però la guerra sta arrivando alla fine. Benito Mussolini,
consigliato dall'ex-deputato socialista Carlo Silvestri e da Bombacci
propone di consegnare il potere ai socialisti, integrati nel Comitato
Nazionale di Liberazione, piuttosto che ai dirigenti di destra del Sud.
Senza alcun dubbio i negoziati fallirono. Nell'aprile '45 le autorità
militari tedesche in Italia si arrendono agli alleati. È la fine. Nicola
Bombacci, sempre fedele, sempre sereno, accompagna Mussolini al suo
ultimo e drammatico viaggio verso la morte. Il racconto di Vittorio
Mussolini, figlio del Duce, del suo ultimo incontro col padre, in
compagnia di Bombacci ci insegna la sua interezza. "Ho pensato al
destino di questo uomo, un vero apostolo del proletariato, un tempo
nemico accanito del fascismo e ora a fianco di mio padre senza alcun
incarico né prebenda, fedele a due capi diversi fino alla morte. La sua
calma mi è servita di conforto". Poco dopo essersi separato da Mussolini
e dalla colonna dei suoi ultimi fedeli per risparmiare loro di dover
spartire il suo destino, Bombacci è detenuto assieme ad altri dai
partigiani comunisti. La mattina del 29 aprile fu posto di fronte al
plotone di esecuzione; accanto a lui, Barracu, un valoroso
ex-combattente, mutilato di guerra, Pavolini il poeta segretario
generale del partito, Valerio Zerbino, un intellettuale; di fronte al
plotone tutti gridano: "viva l'Italia!", mentre non cessa di essere un
paradosso, fedele riflesso della controversa personalità di Bombacci,
che, mentre il suo corpo cade attraversato dalle pallottole dei
partigiani socialisti, grida: "Viva il Socialismo!".
NICOLA BOMBACCI – l’apostolo della socializzazione
Nicola Bombacci visse da uomo politico, prestato a quella politica
“per cui uno si occupa dei guai degli altri come se fossero propri”, come egli stesso scrisse.
Una banale e quasi infantile definizione di politica, questa, che in
tempi come i nostri illumina e fa scuola. Il vivaio in cui crebbe fu quello del più intransigente socialismo; aderì
alla corrente massimalista del Partito Socialista Italiano, quella che chiedeva al partito di non distogliere
la propria attenzione dai suoi obiettivi massimi, anticapitalistici e rivoluzionari, e di sottoscrivere i 21
punti di Mosca per l’adesione alla Internazionale Comunista. Come avvenne a
Mussolini con la fondazione dei Fasci di combattimento, l’essere più socialista
degli altri socialisti portò anche Bombacci ad allontanarsi dal partito e dalla
sua corrente riformista. Il XVII Congresso del Partito Socialista segnò la
scissione che portò alla nascita del Partito Comunista Italiano, del quale
Bombacci fu fra i fondatori. Colpevole di aver intravisto, e non per primo, un
possibile gemellaggio ideale fra le due rivoluzioni, quella sovietica e quella
italiana, nel 1924 fu espulso dal PCd’I, per poi essere reintegrato per intervento
diretto dell’Internazionale Comunista.
Nello stesso anno l’Italia di Mussolini fu il primo Paese a
riconoscere formalmente l’Unione Sovietica. Anche negli anni della militanza nel PCd’I, Bombacci si mantenne sempre
idealmente vicino al fascismo italiano, al punto che, nel 1927, subì una nuova e definitiva espulsione dal
partito. La rottura fra Bombacci e il comunismo fu definitiva quando gli eventi accelerarono in direzione del
conflitto mondiale prima e della Repubblica Sociale poi. Per Bombacci e per il Fascismo quelli furono gli
anni del ritorno alle origini; disilluso
nei riguardi del comunismo il primo, e rescissi tutti i legami con
monarchia, industriali e borghesia il secondo, il matrimonio politico fra
Bombacci e Mussolini fu totale, sancito dalla propaganda e cementato dalla “socializzazione
delle imprese”, capolavoro sociale dell’ideologia sansepolcrista e punto più
alto della rivoluzione finalmente compiuta.
Bombacci era a proprio agio a parlare da rivoluzionario di qualcosa di
realmente rivoluzionario, che avrebbe portato i lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende e alla
suddivisione degli utili, restituendo al lavoro fisico e intellettuale la
medesima dignità del capitale, avviando finalmente il passo verso quella terza
via fra capitalismo e socialismo che avrebbe reso inutili e superati i concetti
di destra e sinistra. Non fu simpatico ai socialisti, perché li aveva resi “di
destra”. Non fu simpatico ai comunisti, perché li aveva resi conservatori.
Non fu simpatico ai tedeschi, perché le riforme economiche,
soprattutto quelle rivoluzionarie, poco si addicono a una economia di guerra.
Piacque, però, immensamente a Mussolini, perché era intellettualmente onesto, perché
era un appassionato difensore della più pura anima del socialismo.
Avevano iniziato la loro storia politica insieme, poi uno dei due fu
abbagliato da un finto sole, l’altro se ne inventò uno tutto suo che passò alla storia. Non smisero mai di
stimarsi e dimostrarono al mondo che un av versario non è necessariamente un
nemico, e che si può continuare a combattere senza smettere di rispettarsi.
Nicola Bombacci seguì il Duce nella cattiva sorte, quando altri
fuggivano o rinnegavano, lui morì gridando "Viva l'Italia! Viva il Socialismo!", dopo essere stato
catturato nella colonna fascista diretta in Valtellina per l’ultima resistenza. Era nel suo destino anche quello di essere al
fianco di Mussolini, appeso per i piedi, in Piazzale Loreto. Sotto il suo corpo gli assassini appesero un cartello
con scritto “SUPERTRADITORE”.
Curioso che quella parola l’abbia scritta una mano partigiana e
comunista che, mentre si preparava a diventare il finto baluardo dei
lavoratori, si affrettava (questo accadde il 25 aprile 1945) ad abrogare il
decreto sulla socializzazione delle imprese. “Traditore a chi?” potremmo dire
noi oggi.
Dall’ingresso a sinistra del Campo 10 la prima lapide è la tua, Nicola
Bombacci. Un giusto tributo verso chi nacque e morì socialista con il cuore
puro di un bambino.
Nicola Bombacci (1879-1945), il
rivoluzionario italiano più scomodo del Ventesimo secolo, l’uomo che cercò di
unificare le due rivoluzioni del Novecento: la bolscevica di Lenin e quella
fascista di Mussolini. Per i comunisti italiani, guidati nel 1945 da soggetti
di secondo piano (rispetto ai Gramsci,
ai Bordiga e Bombacci fondatori del P.C.d.I. nel 1921), quali Palmiro Togliatti
e Luigi Longo, Nicola Bombacci doveva essere – alla stregua di Mussolini –
semplicemente demonizzato ed ignorato perché tremendamente imbarazzante. Ed
infatti il suo nome è stato completamente cancellato dalla storia del movimento
operaio italiano e mondiale, lui che fu il fondatore, con Antonio Gramsci ed
Amadeo Bordiga per l’appunto, delPartito Comunista d’Italia (P.C.d.I.) nel gennaio
1921 a Livorno al 17° Congresso del P.S.I., lui che volle nel 1919 il simbolo
della falce e martello (incrociati fra due spighe di grano) – importato dai
soviet russi – sulle bandiere rosse dei socialisti italiani. Disse Vladimir
Il’ič Lenin a Nicola Bombacci ed ai delegati comunisti italiani il 31 ottobre
1922 (11 novembre del calendario russo):
La foto risale al 31
ottobre 1922 e si vedono alcuni componenti comunisti italiani a Mosca ripresi
accanto a Lenin. Tra questi esponenti comunisti italiani, chinato verso il
leader del PCUS, troviamo proprio Nicola Bombacci.
Nicola Bombacci, comunista e
mussoliniano fino alla morte, estensore ideologo dei punti programmatici della
Carta di Verona della Repubblica Sociale Italiana nel 1943, definito dal comunista del CLNAI Luigi Longo, sarà assassinato dai partigiani
a Dongo il 28 aprile 1945 ed esposto al vilipendio di cadavere a Piazzale
Loreto il 29 aprile seguente. Il Lenin mussoliniano di Romagna, non si era
rassegnato, egli credeva nella verità del fascismo comunistico rosso-nero. E
non intendeva lasciarsi sconfiggere dalla vecchia menzogna degli interessi
della politica: fatta sul sangue. Si sentiva portatore di un messaggio di
libertà per il proletariato italiano tutto (fascista, comunista etc.). A questo
messaggio non intendeva rinunciare.
Prima di essere assassinato a Dongo dai partigiani, nemici della
libertà, ha gridato: " Viva Mussolini! Viva il socialismo"
LO SCEMPIO DI PIAZZALE LORETO
IL CORPO APPESO DI NICOLA BOMBACCI
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