la storia che non si insegna a scuola
|
Se soltanto il popolo - la
gente, gli elettori come si preferisce -, fosse meno propenso a lagnarsi sempre
e comunque di ogni cosa e fosse invece più attento forse il mondo sarebbe
migliore: ma questo è francamente voler troppo. Parafrasando Kennedy, non
chiediamoci infatti cosa potrebbe fare il nostro paese per noi chiediamoci
piuttosto cosa potremmo fare noi per il nostro paese. E la risposta a questo
punto appare immediata e chiara: ricordare. Memoria. Un taccuino su cui annotare
parole e azioni perché, non si dimentichi nemmeno questo, troppi uomini hanno
costruito carriere sconcertanti sulla latitanza della memoria del popolo, della
gente, degli elettori: come si vuole. Ed è anche e soprattutto per questo che
il nostro paese continua e continuerà a sbrodolare cacofonie politiche di cui
seguiteremo a lagnarci tutti per altri dieci, cento, mille anni. Inutile a
questo punto ricordare come ad esempio un uomo, che fu a capo dei neofascisti
italici, sia poi diventato nella generale indifferenza (fatta eccezione di poche
frange d’uomini all’erta) ministro antifascista: ma ripetiamolo pure che
ripetere giova. Piuttosto invece sarà utile ricordare alcuni concetti, vergati
e riemersi dall’oblio di alcuni eroi nostrani: sarà una passeggiata culturale
utile ed istruttiva e si creda sulla parola.
“Gli imperi moderni
quali noi li concepiamo sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto
l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre
genti”.
Queste parole non le scrisse
Adolf Hitler bensì l’antifascistissimo Eugenio
Scalfari il 24 settembre 1942. Interessante. Ma sentiamo quest’altra:
“la razza può considerarsi come un termine intermedio
tra l’individuo e la specie, cioè fra due termini opposti, intendendo la
specie, nel suo significato biologico, come la somma di tutti gli individui
capaci di dare fra loro incroci fecondi”.
Non
ci troviamo ad Auschwitz e a parlare non è il famigerato dottor Mengele, bensì
Benigno Zaccagnini
uno dei padri della democrazia cristiana che l’11 febbraio 1939 consegnava
alla stampa questi pensieri. Interessante. Ma continuiamo:
“Si deve sentire
d’istinto e quasi per l’odore quello che v’è di giudaico nella cultura.
Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li
ospita. Di sangue diverso, e coscienti dei loro vincoli, non possono che
collegarsi contro la razza aliena. L’enorme numero di posizioni eminenti
occupate in Italia dagli ebrei è il risultato di una tenace battaglia”.
Attenzione ora:
“la persecuzione
antiebraica è solo uno degli aspetti del razzismo nel mondo, ma ne è stata
l’espressione più orribile”.
Non si tratta di due persone
diverse ma dello stesso autore Guido Piovene; la sua prima affermazione risale
al 1938 sul Corriere
della Sera (evidentemente allineato…), la seconda al 1961 quando il
clima politico, morale ed intellettuale era ovviamente tutt’altro. Ancora
interessante. Ma il Corriere della Sera
ci dava dentro, tanto che un anno più tardi nel 1939 a firma di Paolo Monelli
si leggeva:
“(Gli ebrei) appaiono
tutti uguali, come i cinesi, come i negri, come i cavalli. […] Sono
miserabili, tengono stretti i loro quattrinelli nella pezzuola o nel pugno. Sono
un inesausto serbatoio, questi ghetti polacchi. […] La Polonia paga oggi il
fio d’una politica troppo accogliente per secoli”.
Niente
male, niente male davvero e noi fessacchiotti che credevamo che certe cose le
dicesse solo Goebbels. Ma andiamo avanti:
“questo odio degli ebrei
contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. […] A quale ariano,
fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non
lontano, essere lo schiavo degli ebrei?”.
Non si tratta di Himmler o
Pavolini, si tratta invece di Giorgio
Bocca il 4 agosto del 1942. Oggi Bocca, diciamolo per chi ha il piacere di
non conoscerlo, è uno dei più scalmanati antifascisti d’Italia, d’Europa,
del mondo, dell’universo. Ma non accontentiamoci così:
“La razza è
l’elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona
l’individuazione del settore particolare dell’esperienza sociale, che è il
primo elemento discriminativo della particolarità dello stato”.
Non
si tratta di Rosenberg, bensì di gente abile a dire senza dire, democristiani
d.o.c. per intenderci, infatti cotanto autore risponde al nome di Aldo
Moro e il brano in questione è datato 1943. E queste sono soltanto alcune
delle evidenze riguardanti soltanto alcuni eroi della nostra classe politica:
non ci si stupisca poi se con tale sostanza umana il paese sia marcio. Ma il
principale imputato in tutto questo è proprio il popolo: senza incoscienti
promozioni questa gramigna sarebbe finita al rogo, per cui non ci si lamenti
alla fine: si ha ciò che si merita. La distrazione pubblica (meriterebbe un
ministero….) è la principale causa di questo degrado civile, politico, umano
ed intellettuale; mentre tutti si
sentono in dovere di commentare le cose della politica, pochi e male ne seguono
sviluppi, vicende, uomini. Il punto non sta più infatti su quale partito
scegliere o quale lista appoggiare, il punto sta piuttosto nel fatto che
esistono uomini ed esistono sottouomini. E questi ultimi hanno il potere,
comandano, guidano, decidono, fanno. E cosa ci si potrà aspettare per il bene
pubblico da sottouomini in grado di cambiare squame ad ogni circostanza? E quale
movente farà agire queste teste? In quale direzione e perché? E alla fine:
siamo così certi che ciò di cui stiamo parlando verrà compreso da alcuno? Nel
caso si attendono risposte: di razza, per favore.
Lodovico
Ellena
Nessun commento:
Posta un commento