RENZINO, 17 APRILE 1921: UNA BARBARIE COMUNISTA
Un episodio di violenza dimenticato che permise l’affermazione del fascismo in Val di Chiana
———————————-
La
Primavera del 1921 fu una “Primavera di sangue” per quell’Italia così
lontana nel tempo, come dai ricordi. Il 15 Maggio, infatti, era previsto
il rinnovo della Camera dei Deputati. Gli opposti schieramenti si erano
dati appuntamento nelle piazze del nostro Paese per una resa dei conti
dopo due anni di violenze generalizzate compiute dai sovversivi in vista
della agognata rivoluzione “liberatrice” del proletariato, quella
bolscevica, naturalmente. Il Biennio Rosso (1919-1920) si è era concluso
con un bilancio del tutto negativo, dovuto alla fallimentare gestione
politica della dirigenza del PSI che aveva predicato il prossimo avvento
del “sol dell’avvenire” senza avere adeguatamente preparato le masse a
una vera e propria insurrezione, tanto questa sarebbe scoppiata da sé,
senza alcuna necessità di organizzarla. L’unico risultato concreto che
si era raggiunto – di là della storica, quanto inutile, vittoria
elettorale del Novembre 1919 – era quello di aver creato in tutta Italia
un clima pre-insurrezionale, condito da scioperi, occupazioni di terre e
di fabbriche, ammutinamenti di truppe, violenze generalizzate (durante
le quali si erano registrati anche alcuni morti). Lo Stato pareva in
balia di queste agitazioni diffuse, anche se non erano mancati veri e
propri eccidi proletari condotti dalle forze dell’ordine durante la
repressione dei moti. Già nell’Autunno del 1920, durante la campagna
elettorale per il rinnovo dei Consigli Comunali, erano apparse in
diverse contrade italiane delle Squadre d’azione allestite dai Fasci di
Combattimento per rintuzzare ogni violenza massimalista e incominciare a
contendere fisicamente le piazze ai socialisti. Il fenomeno dello
squadrismo fascista esplose nella Primavera 1921, durante la quale fu
condotta una vera e propria campagna militare contro le strutture del
PSI e del neonato Partito Comunista d’Italia. In questo clima, il 17
Aprile 1921, si registrò uno dei più gravi fatti di sangue di quella
tornata elettorale, l’imboscata di Renzino di Foiano della Chiana
(Arezzo). Una ventina di fascisti – tra cui anche Ufficiali del Regio
Esercito in servizio – erano impegnati in un “giro di propaganda” nella
zona, il cui fine primario era quello di ristabilire il tricolore sugli
edifici dei Municipi socialisti e contestualmente far dimettere le
Amministrazioni. Per l’occasione alcune ragazze aretine avevano cucito
delle bandiere, unendo alla meglio i tre colori del vessillo nazionale,
visto che in tutta la regione era praticamente impossibile trovare
bandiere tricolori, odiato simbolo della “Patria borghese reazionaria”.
Durante il “giro di propaganda” dei fascisti si erano registrati degli
scontri a Pozzo e Marciano, dove il locale Segretario del PCdI, Domenico
Gialli, era stato malmenato. Uno squadrista, Ettore Guidi di Poppi, era
stato ferito piuttosto seriamente ed era stato portato all’ospedale di
Foiano della Chiana. Qui era stata lasciata una “guardia”, in quanto i
socialisti del paese minacciavano di assaltare il nosocomio per linciare
il ferito. Ai fascisti di guardia vennero lasciate anche le armi per
difendere se stessi e il camerata ricoverato. Dopo una puntata su
Foiano, gli squadristi, al comando del Cap. Giuseppe Figino del 70°
Reggimento di Fanteria, si apprestarono a rientrare ad Arezzo al canto
di Giovinezza quando,
da una casa colonica radente la strada, la Cascina Sarri, partì un
colpo di fucile che ferì l’autista dell’autocarro sul quale viaggiavano.
Si narra che l’arrivo del mezzo fu segnalato agli aggressori dal suono
di una campana di una chiesetta lì vicino.
(La Cascina Sarri)
L’autocarro dei fascisti sbandò e si
ribaltò in un piccolo fosso. Dalle fratte uscirono allora una
cinquantina di militanti di sinistra guidati dal comunista Galliano
Gervasi e dall’anarchico Bernardo Melacci. Scrisse Giorgio Alberto
Chiurco:
La gente grida attorno infierendo su Figino che è a terra ferito: «Tagliategli le mani», e si odono le grida del fascista Quadri Gabriele al quale un colpo di ascia fa saltare le dita. […] La malvagità dei carnefici è ripugnante. Il volto di Guido Ciofini è trasfigurato dai colpi. Un ragazzo di 14 anni, avvistosi che i feriti respirano ancora chiama: «Babbo, vieni qua, sono ancora vivi!», e il padre si scaglia sui corpi torturati. I morti sono straziati anche dopo che i corpi son già gelidi. Roselli ha il cranio fracassato da un colpo di fucile tirato a bruciapelo, a Rossi è staccata la testa, sopra Cinini, colpito in pieno, si accaniscono con furia mostruosa i comunisti.Tre le vittime: Aldo Roselli di 17 anni, cadde gridando «Viva l’Italia! Viva il Duce!»; Dante Rossi di 21 anni, interventista, Mutilato di guerra; e Tolemaide Cinini di 20 anni, portabandiera. Una dozzina furono i feriti che riuscirono ad evitare il linciaggio fuggendo nei campi o fingendosi morti. Tra questi Bruno Dal Piaz (sarà Alfiere federale di Arezzo e Mutilato della Rivoluzione) e l’ex-Legionario fiumano Ezio Narbona. Determinante fu l’arrivo di un gruppo di ciclisti che partecipava ad una gara. Gli anarco-comunisti, temendo di essere riconosciuti, interruppero il massacro e fuggirono anche loro tra i campi.
(Aldo Roselli)
Diffusasi subito la notizia dell’agguato, la zona fu investita dalla
rappresaglia fascista. Vennero mobilitate le Squadre d’Azione di Siena
“Mussolini” e “D’Annunzio”. Raggiunsero Foiano anche gli squadristi
perugini e fiorentini, risoluti a tutto. Il risultato sarà spaventoso:
nove morti e diversi circoli e sezioni social-comunisti dati alle
fiamme. In poche ore tutta la possente organizzazione del PSI, delle
Leghe rosse, delle Cooperative, fu distrutta. I responsabili
dell’agguato vennero arrestati e condanni, nel 1924: Melacci a 30 anni e
Gervasi a 22 anni. Il Segretario della Camera del Lavoro di Foiano,
sebbene portato in giudizio, verrà assolto. Nessuno dei condannati
sconterà per intero la pena. Entrambi usciranno dal carcere
successivamente all’atto di clemenza generalizzato del Duce in occasione
del Decennale della Marcia su Roma. Melacci, che riprenderà
immediatamente la sua attività antifascista, sarà nuovamente arrestato e
morirà in manicomio nel Dicembre 1943; Gervasi, invece, riprese
l’attività politica nel 1944 come esponente del PCI nel locale Comitato
di Liberazione Nazionale, sarà Costituente e Senatore della Repubblica
Italiana per lunghi anni.
(La bandiera di Renzino macchiata del sangue dei fascisti caduti)
I tre martiri fascisti di Renzino verranno
ricordati dal Regime, nel ventennio successivo, con solenni
manifestazioni: ad Arezzo verrà costruita un’“Arca” in ricordo di
Roselli (tumulato nel cimitero cittadino); mentre Cinini e Rossi,
fiorentini, vennero traslati nel Sacrario dei Martiri Fascisti di Santa
Croce, a Firenze. Sulla facciata della Cascina Sarri verrà affissa una
lapide in ricordo del tragico evento.
Sul finire del 1944, dopo l’occupazione
della regione da parte delle truppe anglo-americane, i comunisti
“assaltarono” i simboli fascisti, primi fra tutti quelli dei martiri di
Renzino: l’“Arca” di Roselli venne distrutta a picconate e la tomba del
caduto fu sfregiata; i corpi di Cinini e Rossi (e di tutti gli altri
squadristi del Sacrario di Santa Croce) vennero dispersi. Nel 1945,
Gervasi, divenuto Sindaco di Foiano della Chiana, provvide celermente
anche ad eliminare la lapide ricordo sulla Cascina Sarri e dei “fatti di
Renzino” si perse per sempre memoria…
L’agguato di Renzino, lungi da rappresentare
una controreazione agli attacchi degli squadristi, fornendo le basi di
un’unità antifascista anarco-comunista sul modello dei successivi Arditi
del Popolo, fu un atto privo di una propria strategia, che permise ai
Fasci di attuare una rappresaglia in tutta la zona, ponendo in rotta le
organizzazioni di sinistra e le basi per la conquista definitiva di
tutta la Val di Chiana. Infatti, i corpi dei fascisti straziati dai
bastoni, dalle roncole e dai forconi suscitarono ribrezzo e condanna
generale dell’opinione pubblica borghese, che non esitò ad approvare la
rappresaglia delle camicie nere, i metodi squadristi e la politica dei
Fasci. Ma non solo la borghesia cominciò a guardare il fascismo come a
una “soluzione”. Dopo quel giorno anche ampi strati popolari si
avvicinarono al movimento di Mussolini. Come rilevava l’Ispettore
Generale di PS Alfredo Paolella, dopo che la calma era ritornata in
tutta la provincia di Arezzo, “in alcuni Comuni […] rilevanti sono le
inscrizioni dei coloni alle nuove organizzazioni promosse dai Fasci di
Combattimento”.
Pietro Cappellari
FONDAZIONE DELLA RSI – ISTITUTO STORICO
(L’Autore con i figli dello squadrista Bruno Dal Piaz, mutilato di Renzino)
Nessun commento:
Posta un commento