Nel
1996 esce un libro scritto dal giornalista e storico Giorgio Pisanò,
che è il coronamento di una lunghissima inchiesta durata ben
quarant’anni. Il clamore che suscitò alla sua uscita fu enorme.
La
sua ricostruzione si basa principalmente sulla testimonianza di Dorina
Mazzola, che all’epoca dei fatti aveva diciannove anni ed era la vicina
di casa dei De Maria.
Ma oltre alle dichiarazioni della signora
Mazzola, Giorgio Pisanò riuscì ad ottenere anche la testimonianza di
Savina Cantoni (moglie del partigiano “Sandrino”, colui che era di
guardia in casa De Maria) e quella di un amico del marito, tale signor
Vanotti, che aveva raccolto molte confidenze fattegli dal partigiano; il
tutto contornato da altri testimoni che riportarono le mezze
dichiarazioni di Giuseppe Giulini, (sindaco per molti anni di Gera
Lario, paesino del comasco), che ebbe in affidamento da Sandrino un
memoriale in cui il partigiano rievocava i fatti di quel 28 aprile,
svelando nomi e dinamiche inerenti alla morte del Duce.
Ecco dunque un breve riassunto della ricostruzione di Pisanò:
Intorno
alle nove del mattino giungono a Bonzanigo di Mezzegra, Luigi Longo,
scortato da Moretti, il capitano Neri, Dante Gorreri e Piero Mentasti.
Moretti,
insieme ad altri due, salgono le scale ed entrano nella stanza dove
riposano Mussolini e la Petacci. Il partigiano Sandrino, che si trovava
fuori sul pianerottolo e alla quale venne ordinato di rimanere fermo sul
posto, testimonierà di aver sentito uno dei partigiani esclamare:
“Adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi!”, ma subito dopo uno degli
altri ribatté, gridando: “No, vi uccidiamo qui!”
A quel punto nacque
una colluttazione e si sentì la Petacci gridare, poi partirono due colpi
d’arma da fuoco che ferirono Mussolini al fianco e all’avambraccio
destro.
Il Duce venne trascinato con forza giù per le scale e portato
a basso in cortile, sempre all’interno della proprietà dei De Maria.
La
Petacci, che nel frattempo s’era affacciata alla finestra di una
stanza, gridò: “Aiuto! Aiutateci!” ma in quello stesso istante qualcuno
l’afferrò con forza facendola rientrare.
Poco dopo, circa verso le
9:30, Mussolini venne legato al catenaccio del portone della stalla di
casa De Maria, e qui Luigi Longo esploderà contro di lui una sequela di
sette colpi, che lo uccideranno all’istante.
Successivamente
all’omicidio del Duce, giungono a Bonzanigo anche Lampredi e Mordini,
accompagnati da due dirigenti del partito comunista di Como, Giovanni
Aglietto e Mario Ferro.
Intanto il cadavere di Mussolini venne
sorretto a braccia da due uomini e portato giù per le stradine
circostanti, nel tentativo di occultarne il corpo, o comunque di
portarlo via; ma in strada c’è anche la Petacci, che piange ed urla
disperata: “Ma perché? Perché? Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno
ridotto!” intralciando i partigiani che a quanto pare sembravano avere
una certa fretta….
Dopo un paio d’ore, intorno alle 11:30, non appena
la Petacci si allontana dai partigiani, scendendo da via del Riale
verso via Albana, all’altezza di casa Mazzola, verrà improvvisamente
colpita alla schiena con una raffica di mitra. Morirà sul colpo. A quel
punto scoppia un putiferio: tutti i partigiani inveirono fra di loro,
gridando e bestemmiando, tanto che Dorina Mazzola, nascosta dietro la
tettoia di casa (e che vide la Petacci pochi istanti prima di essere
colpita) udì questi esclamare: “Pezzo di merda! Guarda che cos’hai
fatto!” mentre un altro, più alterato urlò: “Chi è quel pezzo di merda
che ha sparato?! Da dove è arrivato? Non ti fare vedere da me, che ti
lego le budella attorno al collo!”
Le cose allora si complicano.
Longo dà ordine di portare via i corpi, che puntualmente verranno
nascosti dai partigiani nel bagagliaio di una 1100 nera, parcheggiata
per alcune ore nel garage di un albergo lì vicino (l’albergo Milano).
Intorno
le 15:00, un capo partigiano locale, tale “capitano Roma” (alias
Martino Caserotti) ordinò ai suoi di bloccare le strade e di far
scendere tutta la gente delle tre frazioni di Mezzegra lungo il bivio di
Azzano, per veder passare sulla via Regina, Mussolini prigioniero.
Mentre i partigiani eseguirono gli ordini di svuotare tutte le case dei
tre paesi, alcuni uomini uscirono con l’auto contenente i cadaveri, e
dall’albergo salirono per via Albana, girando a sinistra per via Nuove;
più avanti svoltarono sulla destra, percorrendo fino in fondo il viale
delle Rimembranze, dove esisteva una fontanella. Qui si fermano e
scaricano il corpo di Mussolini per lavarlo dalle macchie di sangue e
dallo sporco di terra; l’auto intanto tornò indietro col cadavere della
Petacci, proseguendo per un tratto di strada di via 24 maggio, dove si
fermerà al punto di congiunzione con via delle Vigne.
Una volta
lavato il corpo, i partigiani portarono giù a braccia il cadavere del
Duce lungo la via delle Vigne, dov’era in attesa l’auto col cadavere di
Claretta; qui caricarono di nuovo il corpo di Mussolini nel bagagliaio e
l’auto proseguirà per alcune centinaia di metri, giungendo davanti al
cancello di villa Belmonte, dove i corpi furono a quel punto scaricati.
Da
lì a poco arriveranno Lampredi, Moretti e forse anche Audisio, per la
finta fucilazione delle 16:10, dove il partigiano “Guido” (Lampredi) si
occuperà di sparare “in nome del popolo italiano” su due cadaveri…….
Possiamo stabilire quasi certamente che è proprio questa la reale ricostruzione di quanto accaduto quel lontano 28 aprile.
fonti tratte dal libro di Giorgio Pisanò “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”
Ediz. Il Saggiatore
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