IL CAMPO DI PRIGIONIA INGLESE DI PADULA
di Giovanni Bartolone
Gli Inglesi non furono teneri con gli Italiani prigionieri ed è
quasi naturale; la propaganda di guerra aizzava all’odio, come si
potevano non odiare gli Italiani, che dopo secoli di servaggio, osavano
ribellarsi all’egemonia britannica?
Così accadde che, non appena fu aperto, nel 1943, il campo di prigionia di Padula, il “371 P.W. Camp”,il
comandante inglese non si vergognò di arrivare a nutrire i prigionieri
italiani esclusivamente con ghiande, si: proprio ghiande; e la fame
era tanto atroce che i perseguitati prigionieri non riuscirono a non
dare la soddisfazione al perfido inglese: dovettero ingannare la fame
rosicchiando il cibo dei maiali. In seguito le cose cambiarono, ma gli
ipocriti inglesi si spogliarono ufficialmente della loro perfidia per
passarla ai custodi: prima greci, poi indiani. che entravano all’alba
negli enormi, gelidi stanzoni ben arieggiati da ampi finestroni senza
vetri, dove dormivano per terra, sdraiati con poca paglia, cento
prigionieri per ogni stanzone. Come già avevano fatto i greci, gli
indiani entravano muniti di scudisci e si facevano sistematicamente
largo a scudisciate e a pedate. Gli indiani, umiliavano gli italiani
per procura inglese. Altra perfida umiliazione era imposta con
l’obbligo di sottoporsi ad una doccia fredda all’aperto, nudi in fila
senza misericordia per i vecchi o i malati: d’estate o d’inverno,
sollecitati ed insultati dai custodi indiani.
No, non avevano molta cura per la salute dei prigionieri gli inglesi
detentori: se qualche prigioniero italiano non gravava più con le spese
per il suo mantenimento sulle finanze dell’impero britannico, non era,
ovviamente, cosa di cui preoccuparsi, come quando lasciarono
scorrere tanto tempo prezioso prima di soccorrere Paolo Orano, Rettore
dell’Università di Perugia: fu lasciato morire per un’emorragia da
ulcera perforata nell’autoambulanza che, ipocritamente, i “liberatori”
inglesi avevano in ultimo concesso, per salvare la faccia, solo quando
era ben chiaro a tutti che ormai era troppo tardi.
Ho reso omaggio alla tomba di Paolo Orano nel cimitero di Padula;
persone del posto prendono ancora la cura e la civile sensibilità di
portarci dei fiori.
Del resto i militari inglesi non potevano ammettere di essere un po’
più ignoranti di un italiano colto e avevano imposto cocenti
umiliazioni anche ad un altro Rettore, quello dell’Università di
Catania, obbligandolo a ramazzare la strada davanti alla sede
principale dell’Università. Il professore Orazio Condorelli si era
opposto all’occupazione dell’Università, che sarà poi trasformata in un
casino per le truppe britanniche. Qualche mese dopo gli inglesi la
liberarono. Ma ebbero la sfacciataggine di pagare due sterline, 800
lire al cambio, per il suo affitto. Vale a dire una bottiglia di cognac
italiano al bar Olympia di Palermo, oppure otto paia di calze
di seta da donna, se comprate da un'italiana, la metà se comprate da
un soldato britannico per inviarle alla moglie, o, infine, 190 chili di
pane al mercato ufficiale, secondo l’inutile calmiere stabilito dal
governo d'occupazione. Condorelli finì per alcuni mesi al campo di
concentramento alleato di Priolo, Siracusa.
Erano molto sensibili gli inglesi detentori, invece, ai titoli
nobiliari e offrivano agli aristocratici caduti in loro potere un
trattamento privilegiato, li alloggiavano al piano superiore dove
esistevano , le meno scomode camere dei monaci certosini: i flats
le chiamavano gli inglesi e quando arrivarono prigionieri con qualche
disponibilità di denaro, taluni di loro più intraprendenti, memori dei
metodi usati in colonia, pensarono bene di sfruttare la situazione per
arricchirsi. Qualcun altro Tommy, più modestamente, trovò, dopo la guerra, addirittura impiego nella flotta Lauro.
A proposito di Lauro, vorrei aggiungere qualche particolare poco noto,
che interesserà i napoletani: Achille Lauro è un pezzo della storia di
Napoli; oltre tutto, la sua vicenda è paradigmatica di tante vicende
accadute ad altri prigionieri degli anglo-americani. Si dovevano
sciogliere i cordoni della borsa.
La famiglia Lauro, come usavano fare gli Alleati con le loro
requisizioni, aveva dovuto lasciare subito la villa di via Crispi, a
Napoli, senza poter portare via niente, neanche uno dei tanti
prosciutti appesi nel seminterrato. Don Achille fece appena in tempo a
rimandare la famiglia a Sorrento: il 9 novembre, infatti, fu arrestato
dagli Alleati.
Il Comandante Lauro aveva sbagliato le previsioni. Aveva
predetto, che gli inglesi, appena arrivati a Napoli, lo avrebbero
nominato Viceré. Invece lo incarcerarono accusandolo di essere un “dangerous fascist”, un pericoloso fascista, e requisirono la villa di famiglia di via Crispi per le loro truppe.
Trascorso tempo inesorabile in ansia e incubi senza prospettiva di soluzione, il Comandante
a 57 anni si trovava ormai in campo di concentramento da 15 mesi
senza che nulla gli fosse mai stato contestato. Questo capitava a quasi
tutti gli arrestati dagli Alleati. La Commissione provinciale per le
sanzioni contro il Fascismo, nicchiava, come il ragno, in attesa che la
mosca incappasse nella tela.
Lauro, nonostante le gravissime perdite della flotta, aveva ancora una
certa disponibilità di danaro liquido e questo poteva e doveva contare
nella nuova “civiltà” portata dai “Liberatori” alla quale gli italiani accorsi sul carro dei vincitori si erano subito adeguati.
La guerra nel suo corso aveva decimato la Flotta Lauro: 52 le navi
requisite o affondate. Alla fine del conflitto la Flotta contava solo
su 5 unità.
Soltanto a settembre, dopo 22 mesi di campo di concentramento, Lauro venne assolto da ogni accusa e scarcerato.
Eppure Don Achille pensava, prima dell’arresto, di avere molta stima a
Londra, il centro più importante al mondo per tutto quanto riguardava
la navigazione: erano state le banche inglesi ad aprirgli linee di
credito per avviare la Flotta che, nella City, era conosciuta e
apprezzata. Pertanto si riteneva non solo una persona stimata sulla
piazza londinese ma anche un amico degli inglesi. Ed era persuaso che,
da Londra, sarebbe stato segnalato ai militari che occupavano la città
come un punto di riferimento a Napoli.
In effetti, Achille Lauro era stato davvero segnalato, perché dopo
l’arrivo degli Alleati in città, una jeep venne di corsa a casa sua.
Contro di lui c’era un dossier con una decina di capi d’imputazione.
Soltanto molto tempo dopo, e in seguito a laboriosi esposti in difesa,
avanzati dal figlio Gioacchino, risultò che queste accuse erano il
frutto di segnalazioni anonime, di rapporti confidenziali dell’Ufficio
Politico della Questura di Napoli, di denunce, infine, di qualcuno che
lo odiava. La Commissione provinciale per le sanzioni contro il
Fascismo scoprì che, dei due cittadini di Sorrento che lo avevano
accusato, il primo era un ex dipendente di Lauro licenziato per furto,
e il secondo era un tizio sicuro che i binari della ferrovia erano
stati deviati sul suo podere, proprio per le ingerenze di don Achille. E
la Commissione, al termine di una elaborata inchiesta, assolse Lauro
da ogni accusa.
La Commissione lo scagionò dall’accusa di “big fascist”. Anche perché molti episodi avevano rivelato una diffidenza reciproca esistente tra Lauro e il Fascismo.
Lauro, infatti, aveva rifiutato a lungo di iscriversi al PNF e lo fece
solo nel 1933, anno in cui si chiusero le iscrizioni, perché “da
esterno”, in una posizione come la sua, non poteva più resistere alle
ritorsioni e alle inchieste nate dai dubbi che fosse un “agente
inglese” che lavorava con capitali inglesi e per conto degli inglesi.
Inoltre, nel 1937, si era beccato una multa di un milione di lire e il
divieto d’ingresso per due mesi negli uffici del ministero della Marina
Mercantile per avere criticato pubblicamente alcuni provvedimenti
governativi, e che, sempre in quel tempo, si era rifiutato di obbedire
all’ordine di Mussolini di dirottare agli “amici giapponesi” un
carico di armi dirette in Cina. Ma Lauro non aveva la tempra dell’eroe e
non osava sottrarsi agli impegni presi con i padroni dei sette mari.
Ciononostante Achille Lauro era stato portato prima nel vicino campo di
Aversa, poi era stato trasferito a Padula e infine ancora nel Campo di
Collescipoli (Terni). Rimase 22 mesi nei campi di concentramento per
“criminali fascisti”; gli inglesi non andavano troppo per il sottile
nel valutare, nel discriminare i nemici dagli amici, e come a Lauro
capitò a tanti altri di essere presi e sbattuti in campo di
concentramento, anche per un solo dubbio, ma per ragioni di sicurezza,
fregandosene di perdere tempo e fatica per indagare concretamente sulla
presunta pericolositàdell’individuo. Ma non si trattava soltanto di
indagini approssimative, calpestando i diritti delle persone, come
invece, ipocritamente andavano sbandierando i “Liberatori” di non voler
fare; capitò di essere sbatacchiato in campo di concentramento perfino
a qualche sfortunato marito, che aveva una bella moglie di cui si era
invaghito un qualche ufficiale alleato, che sentiva prepotente il
desiderio di espugnarne la resistenza virtuosa. Ha raccontato Giorgio
Nelson Page, nel suo libro “Padula”, che fu rinchiuso, proprio a
Padula, perfino un pastore che si era visto espropriare del suo gregge
e si dibatteva e protestava nell’ingenua illusione di ottenere
giustizia.
A Padula il Comandante Lauro, preceduto da una fama di “generosità”,
ebbe una vita meno scomoda, rispetto a quella condotta da migliaia di
altri reclusi. Riuscì abbastanza facilmente a comprare la benevolenza
dei custodi e finì, nei cosiddetti “flat”. Erano delle stanze
che ospitavano ognuna una ventina di personaggi di un certo rilievo
durante il Regime. A tanti altri la sorte avara riservò di finire dei “wind”
– una specie di cameroni – o nelle baracche, oppure nelle tende nel
patio della Certosa. Nel 1944, la Certosa, che poteva ospitarne, sia
pure ammucchiandone incivilmente e antigienicamente in locali
affollatissimi, non più di duemila, fu utilizzata per recluderne duemila
e cinquecento.
Il 4 gennaio 1945, Valentino Orsolini Cencelli, un compagno di sventura
di Lauro, già commissario del Governo per l’Opera Nazionale
Combattenti, che diresse numerose opere di bonifica in Italia, annotava
nel suo Diario, che sarà pubblicato col titolo di Padula 1944 - 1945:
“Per dormire, vi sono dei biposto in legno, tipo cuccette di vagone
letto. Un pagliericcio con paglia. Ormai ci si è abituati ma il primo
periodo è stato molto duro assuefarsi a simile tipo di letto. I miei
compagni sono: i principi Valerio Pignatelli di Cerchiara Alessandro
Tasca di Cutò, Francesco Ruspoli, Vittorio Massimo; il duca Carafa
d’Andria, il conte Flaminio Cimmasi Poggiolini, il nobile Luigi Maggi
Pecoraro, l’onorevole Andriani già podestà di Ancona, l’avvocato
Paternostro ex federale di Palermo, il commendator Lupis già Presidente
della Federazione Combattenti di Ragusa, l’avvocato professor
Brunetti dell’Università di Bari, l’onorevole Lauro armatore; Ferace
tenente di vascello, il commendator Della Casa proprietario
dell’Albergo degli Ambasciatori di Roma; Carlo Del Bono, mezzo italiano
mezzo argentino; il maestro Derevischy, che ha organizzato gli
spettacoli tra gli internati; il comandante della marina mercantile
Guarnieri; il commendator Macarone industriale della canapa, di Napoli;
Leonardi, console del Tribunale Speciale ed il luogotenente generale
della Milizia Masciocchi.
Il complesso di tutta questa gente ha, però, un beneficio: una
discreta educazione; il che rende sopportabile e facilmente appianabili
quegli attriti che la ristrettezza dello spazio e soprattutto lo
stesso incubo di questo esilio, rende inevitabili. C’è, anzi,
un’atmosfera di serenità, che in certi momenti della giornata diventa
gioiosa. Forse anche perché questa vita, che ha della prigionia, del
collegio e della caserma ci rende un po’ bambini, sì che una
sciocchezza, fa venire il buon umore; anche perché è una necessità,
agire così, onde non essere schiacciati sotto il peso dell’amarezza,
dell’ingiustizia che si patisce, sotto l’onda dei ricordi e in modo
particolare, per togliere il pensiero dalle persone care e dai nostri
affetti esasperati e dolenti per tanta lontananza. Si chiacchiera, si
legge, si gioca a poker, bridge, scopone, tressette, solitari, di
tutto un po’, secondo i gusti e le predilezioni.
Vi è, poi, un senso abbastanza vivo di solidarietà, tra noi del flat n° 9, «l’almanacco Gotha» o «il flat
dell’aristocrazia», come ci chiamano qui al campo. E se uno è triste,
o ha avuto cattive notizie, c’è un quasi muto accordo fra tutti,
perché non lo sia più e trovi sempre negli altri, cuori amici,
fraterni, che sentono, comprendono e condividono con lui il suo
dolore”.
Lauro era uno dei “personaggi” del
campo di Padula. Nel suo libro accenna brevemente su come riuscì a
rimettersi in sesto dalle rovine della guerra. Mi pare di ricordare che
comprò a buon prezzo una nave Liberty dismessa dagli Alleati. Nel
dopoguerra, infatti, agli armatori che avevano avuto il naviglio
affondato nel conflitto, il governo italiano dava il diritto ad
acquisire un determinato tonnellaggio di Liberty con un cambio
lire-dollaro favorevole. Bastava sciogliere i cordoni della borsa,
ormai si era adeguato all’american way of life..
Nel 1947 nel giro di due anni Lauro rimise in piedi gran parte della sua flotta e tornò in auge.
Ma oltre a tanti “fascisti”, come Lauro che avevano aderito al fascismo per convenienza, nel campo di Padula furono rinchiusi anche fascisti veramente “dangerous fascists”,
che sentivano profondamente la loro fede; lì finirono “ospitati”, fra i
tanti, il già citato principe Valerio Pignatelli, capo del fascismo
clandestino al Sud - che, durante la sua permanenza, fu considerato il
capo spirituale dei fascisti lì concentrati - Nando Di Nardo suo vice,
il tenente Ninì Sorrentino e Antonio Picenna: tutti del gruppo di
Napoli al vertice del fascismo clandestino; i fascisti clandestini di
Catania con Gattuso e Orazio Santagati(1),
e alcuni altri civili arrestati preventivamente. Lì fu pure internato
Salvatore C. Ruta, animatore del gruppo di fascisti clandestini di
Messina, con alcuni suoi camerati e concittadini. Ci fu anche l’agente
speciale della Rsi, Ugo D’Esposito, del gruppo “Gamma” della X Mas, ma pure altri agenti speciali, sempre della X Mas, del gruppo “NP di Ceccacci”, e
altri provenienti da altri Corpi militari, come ad es. Domenico Tucci
Vitiello, Franco Nuovo e Giuseppe Marvaso; inoltre Riccardo Monaco,
ostetrico napoletano e capitano pilota da caccia, colpevole di avere
abbattuto due fortezze volanti in un solo raid e di aver continuato a
perseverare incorreggibilmente nel cielo di Napoli, durante i
quotidiani bombardamenti a tappeto del ’42-’43.
Nel reparto femminile, tra le trecento detenute, spiccavano le figure
della principessa Maria Pignatelli e della inesauribile Elena Rega del
fascismo clandestino di Napoli, l’universitaria Italia Profeta di
Misterbianco (Catania) assieme a Edvige Platania, medico di Catania,
che si erano schierate a fianco ai combattenti regolari che si
battevano in difesa di Catania, alle quali si aggiunse più tardi la
farmacista Elda Norchi, fervente militante ed animatrice del gruppo
clandestino fascista “Onore” di Roma.
Ma c’erano anche gerarchi fascisti, tra cui il segretario federale di
Potenza, il vice federale di Napoli Pasquale Calvanese, Gaetano
Polverelli, già ministro della Cultura popolare e alcuni giornalisti:
fra i tanti Paolo Orano, al quale ho già accennato, intellettuale,
giornalista riottoso ad ogni lusinga dell’invasore e pertanto di
ostacolo al Grosso Capitale che imponeva l’asservimento dell’Italia,
nel quadro di un progetto psicologico generale di “lavaggio del carattere”
di un popolo da colonizzare; fu arrestato dagli “Alleati” appena
occuparono Perugia e, scaraventato nel campo di concentramento di
Padula, venne sottoposto alle angherie dell’occupante inglese, che
voleva debellare lo spirito indipendente di un italiano, fascista
indomito fino all’ultimo: vitto debilitante, messo a dormire per terra
in un gelido stanzone, stenti, umiliazioni cocenti, nessuna assistenza
medica per un vecchio spossato e ammalato, fu lasciato morire. Venne
gettato in una fossa comune avvolto in una coperta il 7 aprile 1945.
Solo più tardi fu possibile riesumarlo e seppellirlo cristianamente e
civilmente nel cimitero di Padula. Altri, com’è accaduto a tanti eroi e
martiri dispersi del fascismo non hanno avuto neanche questa
possibilità.
Nel “371 P.W. Camp”, diPadula ho scelto due figure
paradigmatiche: Paolo Orano e Achille Lauro, gli sconfitti della civiltà
dello spirito, della filosofia dell’ESSERE, e i vincitori dell’american way of life, ossia la “civiltà” della materia e la filosofia dell’AVERE.
Giovanni Bartolone
1 - Santagati diresse più tardi a Padula il giornale manoscritto di taglio culturale “Termocauterio”, che uscì nel maggio 1945, vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Il Mulino, Bologna, 2006.p. 125.
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