SOLVE ET COAGULA
Toni Negri e
il pensiero dell’ eversione marxista -
ultimo tratto della sovversione :
Da Marx al Nuovo Ordine Mondiale “
post-umano” (!), passando attraverso la dissoluzione islamica e il meticciato
universale – Da Marx a Kalergj passando
attraverso Maometto.
Toni Negri, guru del
“controimpero della moltitudine”, ovvero come combattere il capitalismo con
«una nuova orda nomade che sorgerà per combattere l’impero». Il concetto
comunista di popolo in chiave globale.
I movimenti cosiddetti
“antimperialisti” si danno un gran daffare per appoggiare e sostenere la lotta
islamica contro l’Occidente. La nostra tesi è che, a causa dei limiti connessi
alla loro visione materialista della società, si illudano di poter usare
l’Islam per la solita lotta di classe, senza rendersi conto che è l’Islam che
sta usando loro per la propria guerra santa.
Per farlo partiamo
dalla fonte, ovvero dal testo sacro del nuovo movimento: “Impero – Il nuovo
ordine della globalizzazione”, scritto da Michael Hardt e Toni Negri. Già, avete
capito bene, proprio quel Toni Negri, che dopo aver rovinato generazioni di
giovani con le sue cattive lezioni, si pone oggi come il guru della nuova lotta
di classe in epoca di globalizzazione.
Il tomo rappresenta un
esercizio intellettuale davvero significativo, benché in realtà non così
originale quanto acclamato.
In sostanza, infatti,
Negri applica il metodo del materialismo storico e dialettico di Marx
all’analisi dell’attuale fase di trasformazione storica e ripropone in termini
attualizzati le vecchie ricette per una rivoluzione dell’ordine mondiale.
Il metodo, invero,
consente alcune analisi e intuizioni brillanti, ma sconta i pesanti limiti
dell’ideologia materialista fondata su un assunto profondamente errato del
mondo e della natura umana.
Vale la pena a questo
punto di ricordare i caratteri distintivi dell’analisi marxista rispetto ad una
che, come la nostra, fa riferimento ai valori della tradizione.
Nel materialismo
storico e dialettico l’essere umano è un individuo che si identifica pressoché
solo in relazione al suo rapporto con il lavoro e la ricchezza. Secondo questo
indirizzo sociologico, tutti i fenomeni e le relazioni sociali sono originati
solo dai rapporti economici.
Tutto il resto – dalla
famiglia, alla religione, dagli Stati, ai popoli e alle nazioni – è
sovrastruttura, condizionata dalla struttura economica sottostante. La
dimensione spirituale è totalmente bandita.
Marx dice che «non è la
coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il
loro essere sociale che determina la loro coscienza» e che «nella produzione
sociale della loro esistenza gli uomini entrano in rapporti determinati,
necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che
corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive
materiali».
Si capisce che questa è
una visione deterministica e fatalistica che non lascia spazio alla libertà dei
singoli e persino delle masse. E infatti «la classe operaia non ha da
realizzare alcun ideale» dice Marx, perché «la vittoria del proletariato è
inevitabile», un passaggio necessario che nasce dalla dialettica stessa della
storia che per Marx è solo «storia di lotta di classe».
Nell’accezione
comunista, il termine popolo, declinato sempre al singolare, si riferisce dunque
alla massa degli individui lavoratori e sfruttati, come sinonimo di massa del
proletariato.
Al contrario, nella
nostra visione non materialista del mondo, l’identità di ogni singola persona è
data dall’insieme dei suoi caratteri, oltre che materiali, anche spirituali,
intellettuali, morali e si forma in un contesto di relazioni sociali che, non
meno dei rapporti economici, considera i rapporti affettivi e parentali, nonché
l’appartenenza ad una comunità di lingua, tradizioni, storia, costume, cultura,
fede, in altre parole ad una nazione. A questa comunanza originaria fa
riferimento il nostro concetto di popolo, che si declina quasi sempre al
plurale. Inoltre, nella nostra visione è fondamentale il principio della
libertà, secondo cui l’uomo e i popoli hanno la possibilità di determinare il
proprio destino attraverso la propria volontà e le proprie azioni.
Ma noi – si sa – siamo
reazionari, rozzi e ignoranti. Secondo Negri, persino fascisti. E quindi torniamo
al verbo del “maestro”.
Innanzitutto va detto
che Toni Negri non si oppone affatto alla globalizzazione. Il suo nemico resta
sempre e solo il capitalismo. Nella globalizzazione, Negri vede piuttosto
un’opportunità rivoluzionaria. E infatti cita Deleuze e Guattari secondo cui
«invece di resistere alla globalizzazione capitalistica, occorre accelerarne
l’andatura».
Sostiene che «al fine
di sfidare e resistere all’Impero e al suo mercato mondiale, occorre porre
l’alternativa allo stesso livello di globalità». E conclude che «non si può
resistere all’Impero con un programma limitato a un’autonomia locale».
Piuttosto, a suo avviso, «occorre accettare questa sfida, imparare a pensare
globalmente e ad agire altrettanto globalmente».
Ecco dunque il
passaggio chiave che ne chiarisce definitivamente le intenzioni: «La
globalizzazione deve essere affrontata con una controglobalizzazione, l’impero
con un controImpero».
L’antimperialismo
cosiddetto no-global si prefigura perciò in realtà come un controimperialismo
new-global, in quanto sostiene anch’esso un modello totalizzante globale,
benché di tipo marxista, in opposizione a quello capitalista. Dunque oggi Toni
Negri oppone all’Impero mondiale – che ha preso il posto degli Stati nazionali
– un nuovo contropotere, un altro «non luogo” antagonista, definito “la moltitudine”
vale a dire il melting-pot di antica memoria che rappresenta un’alternativa
certamente non meno inquietante, prevaricante e alienante per la persona umana
e che altro non è se non la trasfigurazione del vecchio concetto comunista di
popolo in chiave postmoderna e su scala globale.
Nulla di nuovo, in
fondo, sotto il sole. D’altro canto, l’internazionalizzazione è il mito
socialista che ha preceduto semanticamente la realtà della globalizzazione.
Così oggi alla lotta
del proletariato in chiave antiborghese, si sostituisce la lotta della
moltitudine, ovvero la massa indistinta e omologata a livello mondiale, in
chiave antimperiale. Ma quali sono gli strumenti di questa lotta? «L’essere
contro, la diserzione, l’esodo, il nomadismo».
Quanto alla “volontà di
essere contro”, Toni Negri, per la felicità dei vari Casarini & Co.,
insegna che «La disobbedienza all’autorità è uno degli atti più naturali e
salutari» e che poiché oggi «il problema è identificare il nemico contro cui
ribellarsi… siamo costretti a essere contro in ogni luogo». Ma quali sono i
mezzi più adeguati per destabilizzare il potere dell’autorità imperiale secondo
Negri? La diserzione e l’esodo che, prendendo il posto del vecchio sabotaggio,
«sono potenti forme della lotta di classe all’interno e contro la postmodernità
imperiale» e si manifestano «assumendo posizioni oblique e diagonali» con
«l’evacuazione dei luoghi di potere».
Ma è soprattutto nel
nomadismo, ovvero nelle grandi migrazioni di massa, che Toni Negri – pur
riconoscendo che «la mobilità della forza lavoro costituisce un livello ancora
spontaneo della lotta e molto spesso comporta nuove e sradicate condizioni di
povertà e miseria» – vede il sorgere del sole della nuova era rivoluzionaria.
«La resistenza della moltitudine all’asservimento – la lotta contro la
schiavitù di appartenere a una nazione, a una identità, a un popolo (!) e
quindi la diserzione dalla sovranità e dai limiti che impone alla soggettività
– afferma Negri – è interamente positiva» e «in tal senso il nomadismo e il
meticciato sono le esperienze della virtù, le prime pratiche etiche che si danno
nel contesto dell’Impero».
E ci avverte:
«L’esaltazione contemporanea del locale diviene regressiva e persino fascista
ogni volta che si oppone alla circolazione e al meticciato».
Ipse dixit.
«Una nuova orda nomade,
una nuova razza di barbari – profetizza con Nietsche – sorgerà per invadere o
per evacuare l’Impero». E aggiunge «la mobilità della forza lavoro può
esprimere un conflitto politico e contribuire alla distruzione di un regime. Ma
c’è bisogno d’altro: c’è bisogno di una forza che non sia solo capace di
organizzare la potenza distruttiva della moltitudine, ma di dare vita ad
un’alternanza costruita con i desideri della moltitudine. Il contro-Impero deve
anche essere una visione globale, una nuova forma di vita nel mondo».
A noi comuni mortali
sembra che il fondamentalismo islamico si ponga decisamente come una forma di
controimperialismo, anche se con motivazioni non classiste, bensì religiose.
Ma per Toni Negri nulla
può esistere al di fuori delle dure logiche della materia e dell’economia e
quindi egli è convinto che una «concreta elaborazione di un alternativa
politica all’Impero» non sia ancora in atto, pur confidando nel «genio delle
pratiche collettive» e nella «violenza affermativa» dei «nuovi barbari» per la
creazione di «un nuovo corpo sociale» e di «nuovi percorsi di vita».
Certamente Negri legge
con vivo interesse il fenomeno del fondamentalismo islamico, come sintomo del
rifiuto al processo imperialista, ovviamente occidentale. Definisce «la
rivoluzione iraniana, in quanto rivoluzione contro il mercato globale, la prima
rivoluzione postmoderna» contro il nuovo ordine imperiale e ci spiega che «la
postmodernità del fondamentalismo consiste, primariamente, nel rifiuto della
modernità come arma dell’egemonia euroamericana». Peccato si dimentichi di dire
che a capo dell’integralismo islamico ci sono ricchi signorotti che di
capitale, Borse mondiali, nuove tecnologie e sfruttamento delle masse
diseredate (le uniche a cui in effetti fanno pagare il rifiuto della modernità)
pare se ne intendano bene. Ma allora, è davvero possibile che ad un
intellettuale come Negri non venga il dubbio che pure questi suoi simpatici
rivoluzionari postmoderni islamici ambiscano in realtà a porsi alla testa di un
contro-Impero?
In realtà, gli scenari
futuribili che Toni Negri ci prospetta appaiono persino più inquietanti e
preoccupanti dell’Impero teocratico islamico, quando, nella costruzione del
nuovo ordine mondiale, si spinge ad evocare «mutazioni, mescolanze e
ibridazioni» nella consapevolezza che «le norme convenzionali delle relazioni
corporee e sessuali tra i generi, e all’interno di ogni genere, sono sempre più
aperte a nuove sfide e a trasformazioni» e che «la natura stessa è completamente
artificiale e non vi sono limiti fissi e immutabili tra l’umano e l’animale,
tra l’umano e la macchina, tra il maschile e il femminile» (!).
Ecco dunque il nuovo
compito della moltitudine produttrice, secondo il Negri-pensiero: «Costruire
nuove determinazioni ontologiche dell’umano e della vita, un essere artificiale
e potente» concentrandosi «contro tutti i moralismi» sulle «nuove tecnologie
meccaniche, biologiche e comunicative» così che «i corpi stessi mutano e si
trasformano per dare vita a nuovi corpi post-umani» (!).
Nel suo delirio
materialista – tra citazioni improprie di Sant’Agostino e di San Francesco ad
uso e consumo degli ignoranti catto-comunisti della galassia antimperialista –
Toni Negri prefigura alfine un “mondo nuovo” degno delle peggiori
rappresentazioni della fantascienza, dove una moltitudine globale senza più
alcuna identità, appartenenza e genere, tra cyborg, ermafroditi e mutanti,
rappresenta la nuova frontiera del progresso. (Sic !)
Il libro si chiude con
la frase: «Queste sono la chiarezza e la gioia incontenibile di essere
comunisti».
Grazie del chiarimento:
postmoderni e globalizzati, ma prima di tutto sempre comunisti.
DISSONANZE
Observer
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