Stefano Fabei - MUSSOLINI E LA RESISTENZA PALESTINESE
MURSIA Editore, 2005 - pp. 300 - 23,50
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INTRODUZIONE
Nonostante siano passati settanta anni dai fatti qui raccontati la situazione in Palestina continua ad essere incandescente e l'attualità - pur in un contesto profondamente mutato: oggi lo Stato ebraico non è più un'entità in fieri ma una realtà - presenta analogie con il passato per quanto riguarda fatti, nomi e simboli.
Il muro che oggi Israele sta costruendo intorno ai palestinesi ne richiama alla memoria un altro - di diversa natura, ma edificato allo stesso scopo - che la Gran Bretagna, potenza mandataria, costruì nel 1938 per isolare la Palestina dal Libano, dalla Siria e dalla Transgiordania. Nel quadro di una repressione molto dura il Paese fu allora recintato dal cosiddetto «muro Tegart» realizzato da Sir Charles Tegart che, fatto venire apposta dall'India, impose il coprifuoco, le multe collettive, i tribunali militari, la demolizione di case e di quartieri, la confisca e distruzione di terreni alberati, le condanne a morte per il semplice possesso illegale di armi. Quella barriera di reticolati, tuttavia, non riuscì a fiaccare la volontà di resistenza dei palestinesi che nell'estate dell'anno successivo addirittura aumentò.
Allora, come oggi, era in corso un quotidiano stillicidio di morti chiamato intifâda . Nell'immaginario e nelle rivendicazioni delle attuali brigate palestinesi riecheggia il nome di ' Izz al-Dîn al-Qassâm , lo sceicco che nel 1935 proclamò il jihâd contro gli inglesi e gli ebrei; quando fu ucciso addosso a lui, e ai suoi uomini, fu trovata una copia del Corano . Oggi, come allora, quasi quotidianamente ricorre nelle cronache di quella terra l'espressione al-Jihâd al-Muqaddas.
La lunga scia di sangue iniziata all'indomani della Prima guerra mondiale non accenna a esaurirsi e dato che la comprensione del presente non è possibile senza la conoscenza del passato, è proprio per questo motivo che, dopo aver indagato la storia delle relazioni tra il mondo arabo, il fascismo e il nazionalsocialismo e aver ricostruito, passo dopo passo, le fasi della vita di chi in quel rapporto svolse un ruolo di protagonista, ho deciso di focalizzare l'attenzione sulla questione che più di tutte, allora come oggi, infiammò gli animi, cercando di portare ulteriori elementi utili allo sforzo di comprensione del dramma mediorientale.
Verso la metà degli anni Trenta l'Italia fu il primo Stato europeo a sostenere concretamente la lotta di liberazione del popolo palestinese dal mandato britannico e dal progetto sionista in Terra Santa. Questo è quanto emerge dall'analisi dei documenti - lettere, appunti, promemoria - dell'ufficio di coordinamento del ministro degli Affari Esteri italiano e di quelli contenuti nel «Carteggio del Servizio Informazioni Militari relativo a vari Stati» conservato presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
Viene così smentita in modo definitivo la tesi, sostenuta dallo storico palestinese George Antonius fin dal 1938, secondo la quale nella rivolta araba iniziata nel 1936 non avrebbero esercitato alcun ruolo elementi esterni, dal momento che il sostegno finanziario italiano alla lotta antisionista e antibritannica dei palestinesi giocò una parte se non determinante quanto meno significativa.
L'appoggio alla prima intifâda , al di là delle originarie prese di posizione filoarabe di Mussolini e di alcuni settori del fascismo, fu
determinato da varie ragioni e offerto in vista di obiettivi geopolitici che non possono essere analizzati e compresi al di fuori del loro contesto storico: la lotta nazionale degli arabi di Palestina, la sempre più massiccia immigrazione ebraica, determinata dall'avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania e rispondente ai progetti del sionismo, l'equivoca e incoerente azione della potenza mandataria in Terra Santa, il desiderio italiano di ricorrere a ogni mezzo per esercitare sull'Inghilterra pressioni, al fine di pervenire con Londra a un accordo generale.
Per meglio comprendere questi fatti procederemo a un'attenta analisi delle origini del movimento nazionalista arabo, degli sviluppi diplomatici e delle promesse di Inghilterra e Francia alla sua leadership, tenendo conto di quelle contemporaneamente fatte dalle stesse potenze al movimento nazionalista ebraico, delle decisioni prese a Versailles dalla Conferenza della Pace e degli eventi che a essa seguirono sul piano internazionale negli anni successivi.
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I VIDEO
MURSIA Editore, 2005 - pp. 300 - 23,50
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«Settant'anni fa, nel più assoluto segreto,
l'Italia fascista si adoperava validamente nel tentativo di dare una
patria agli arabi della Palestina.
Non si trattava soltanto di un appoggio politico, ma di un autentico sostegno materiale».
Non si trattava soltanto di un appoggio politico, ma di un autentico sostegno materiale».
Angelo Del Boca
Tra il 10 settembre 1936 e il 15 giugno 1938
l'Italia fascista versò al
Gran Mufti di Gerusalemme, che guidava la rivolta del popolo
palestinese
contro le forze militari della Gran Bretagna e contro l'immigrazione
ebraica, circa 138.000 sterline, una somma di tutto riguardo per quei
tempi. Questo contributo finanziario fu deciso dal Duce all'indomani
della
guerra d'Etiopia, non solo «in ragione della posizione assunta
dall'Italia
nei confronti del nazionalismo arabo, e per dar fastidio agli
Inglesi», ma
anche in omaggio alle posizioni anticolonialiste del Mussolini
socialista rivoluzionario e del primo fascismo. Oltre al denaro il
ministero degli
Esteri decise di inviare ai mujâhidîn palestinesi un consistente
carico di
armi e munizioni, in principio destinato al Negus, ma acquistato in
Belgio
tramite il SIM. Questo materiale, depositato per quasi due anni a
Taranto,
sarebbe dovuto giungere, tramite intermediari sauditi, ai palestinesi
impegnati nella prima grande intifâda per abbattere il regno hascemita
di
Transgiordania, porre fine al protettorato britannico, bloccare
l'arrivo di
altri ebrei e il progetto sionista in Terrasanta. Per l'Italia di
Mussolini
fu anche il tentativo di non farsi scavalcare nella solidarietà agli
arabi
dalla Germania di Hitler. Un'altra pagina della politica araba del
fascismo, finora volutamente ignorata, ricostruita sulla base di
documenti
provenienti dagli archivi del Ministero degli Esteri e dello Stato
Maggiore
dell'Esercito.
INTRODUZIONE
Nonostante siano passati settanta anni dai fatti qui raccontati la situazione in Palestina continua ad essere incandescente e l'attualità - pur in un contesto profondamente mutato: oggi lo Stato ebraico non è più un'entità in fieri ma una realtà - presenta analogie con il passato per quanto riguarda fatti, nomi e simboli.
Il muro che oggi Israele sta costruendo intorno ai palestinesi ne richiama alla memoria un altro - di diversa natura, ma edificato allo stesso scopo - che la Gran Bretagna, potenza mandataria, costruì nel 1938 per isolare la Palestina dal Libano, dalla Siria e dalla Transgiordania. Nel quadro di una repressione molto dura il Paese fu allora recintato dal cosiddetto «muro Tegart» realizzato da Sir Charles Tegart che, fatto venire apposta dall'India, impose il coprifuoco, le multe collettive, i tribunali militari, la demolizione di case e di quartieri, la confisca e distruzione di terreni alberati, le condanne a morte per il semplice possesso illegale di armi. Quella barriera di reticolati, tuttavia, non riuscì a fiaccare la volontà di resistenza dei palestinesi che nell'estate dell'anno successivo addirittura aumentò.
Allora, come oggi, era in corso un quotidiano stillicidio di morti chiamato intifâda . Nell'immaginario e nelle rivendicazioni delle attuali brigate palestinesi riecheggia il nome di ' Izz al-Dîn al-Qassâm , lo sceicco che nel 1935 proclamò il jihâd contro gli inglesi e gli ebrei; quando fu ucciso addosso a lui, e ai suoi uomini, fu trovata una copia del Corano . Oggi, come allora, quasi quotidianamente ricorre nelle cronache di quella terra l'espressione al-Jihâd al-Muqaddas.
La lunga scia di sangue iniziata all'indomani della Prima guerra mondiale non accenna a esaurirsi e dato che la comprensione del presente non è possibile senza la conoscenza del passato, è proprio per questo motivo che, dopo aver indagato la storia delle relazioni tra il mondo arabo, il fascismo e il nazionalsocialismo e aver ricostruito, passo dopo passo, le fasi della vita di chi in quel rapporto svolse un ruolo di protagonista, ho deciso di focalizzare l'attenzione sulla questione che più di tutte, allora come oggi, infiammò gli animi, cercando di portare ulteriori elementi utili allo sforzo di comprensione del dramma mediorientale.
Verso la metà degli anni Trenta l'Italia fu il primo Stato europeo a sostenere concretamente la lotta di liberazione del popolo palestinese dal mandato britannico e dal progetto sionista in Terra Santa. Questo è quanto emerge dall'analisi dei documenti - lettere, appunti, promemoria - dell'ufficio di coordinamento del ministro degli Affari Esteri italiano e di quelli contenuti nel «Carteggio del Servizio Informazioni Militari relativo a vari Stati» conservato presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
Viene così smentita in modo definitivo la tesi, sostenuta dallo storico palestinese George Antonius fin dal 1938, secondo la quale nella rivolta araba iniziata nel 1936 non avrebbero esercitato alcun ruolo elementi esterni, dal momento che il sostegno finanziario italiano alla lotta antisionista e antibritannica dei palestinesi giocò una parte se non determinante quanto meno significativa.
L'appoggio alla prima intifâda , al di là delle originarie prese di posizione filoarabe di Mussolini e di alcuni settori del fascismo, fu
determinato da varie ragioni e offerto in vista di obiettivi geopolitici che non possono essere analizzati e compresi al di fuori del loro contesto storico: la lotta nazionale degli arabi di Palestina, la sempre più massiccia immigrazione ebraica, determinata dall'avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania e rispondente ai progetti del sionismo, l'equivoca e incoerente azione della potenza mandataria in Terra Santa, il desiderio italiano di ricorrere a ogni mezzo per esercitare sull'Inghilterra pressioni, al fine di pervenire con Londra a un accordo generale.
Per meglio comprendere questi fatti procederemo a un'attenta analisi delle origini del movimento nazionalista arabo, degli sviluppi diplomatici e delle promesse di Inghilterra e Francia alla sua leadership, tenendo conto di quelle contemporaneamente fatte dalle stesse potenze al movimento nazionalista ebraico, delle decisioni prese a Versailles dalla Conferenza della Pace e degli eventi che a essa seguirono sul piano internazionale negli anni successivi.
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