Articolo a cura di Nicole Ledda dell’Associazione culturale Zenit
Traffico. La radio è accesa e ascolto
distrattamente, finché qualcosa mi colpisce sul serio: la presentazione
di un libro il cui titolo dovrebbe essere “la femmina alfa”, dal chiaro
riferimento al maschio dominante, allora non posso proprio fare a meno
di chiedermi “perché”. Quale potrebbe essere il problema, quale potrebbe
essere il fastidio in questa società, nel riconoscere il proprio ruolo.
In cosa consiste il disagio che da un lato ci spinge ad atteggiarci
come uomini e dall’altro a svenderci come merce in saldo? A scrivere
queste righe non è sicuramente una femminista né tantomeno una repressa
succube, solo una persona che fortemente crede nella complementarietà di
uomo e donna e che non si vergogna di stare al proprio posto. In questo
mondo alla deriva, di maschi effeminati e di donne che soffrono il
complesso di inferiorità e ritengono che “avere le palle” voglia dire
essere aggressive e spregiudicate, voglio provare a raccontare la storia
di una donna vera, una donna ovviamente dimenticata scientemente dalla
storia.
Elegante, fiera, indomita, disciplinata,
ottima organizzatrice, femminile, integerrima, moglie fedele. Una
patriota! È Piera Gatteschi Fondelli, pluridecorata sostenitrice del
fascismo che una volta fondata la Repubblica Sociale, collaborando con
Alessandro Pavolini, diede vita alla SAF. Piera Gatteschi Fondelli,
unico generale di brigata donna che le nostre forze armate abbiano mai
avuto in tutta la loro storia. Represse, disagiate e femministe, figlie
legittime di Laura Boldrini e Daniela Santanchè, volete un esempio di
donna forte che non perde mai la sua essenza? Eccolo, ve lo stiamo
offrendo. Ed è poesia, è esaltazione, è dolore. Le nostre ragazze più
belle provengono da ogni ceto sociale e ogni regione d’Italia, portano
anche esse la camicia o la divisa in panno grigioverde. Pur
sottoponendole ad un addestramento militare, il generale Gatteschi le
volle sempre femminili, così come testimonia la stessa divisa: banditi i
pantaloni! Donne, madri e mogli. Le ausiliarie di Piera erano sorelle
dei combattenti in prima linea. Da donne quali erano e quali dovremmo
tornare ad essere, condividevano la stessa barricata e soprattutto
accudivano questi uomini che sapevano di dover morire, li ascoltavano,
li confortavano, li rassicuravano. Oltre a partecipare alle azioni,
queste leonesse in gonnella, per essere precisi una gonna lunga quattro
dita sotto al ginocchio; avevano l’arduo compito di sostenere coloro che
si donarono per l’onore d’Italia, per riscattare tutta una nazione
affinché si sapesse che non siamo mai stati e mai saremo tutti figli del
tradimento.
In una lettera, è la stessa Piera a
scrivere che non vi era posto tra le file della SAF, per coloro che
volevano atteggiarsi a uomini né per coloro che si lasciavano andare a
facili costumi. Sempre in una di queste lettere, troviamo il paragone
tra le sue donne ardenti di sentimento ed entusiasmo, con gli occhi
brillanti di speranza e le altre, le donne normali, belle per carità,
nelle loro pellicce e dalle labbra scarlatte o color vinaccia, secondo
la moda del tempo, ma dagli occhi vuoti, dal tipico sguardo di chi non
crede in niente, di chi non sa (parafrasando il Morsello de” la tua
gente migliore) quanto deve essere bello morir per un’idea. Difatti i
sogni di rivoluzione non sono una prerogativa dell’uomo, ma la strada da
percorrere spalla a spalla, ognuno secondo le proprie possibilità, per
chi ha una fiamma che brucia dentro. Le ausiliare vennero uccise,
massacrate, fatte prigioniere, torturate come dei veri e propri soldati e
violentate nei modi più barbari e sconvolgenti, ad esempio con delle
spille, in quanto donne. Nei giorni dell’odio, i giorni della guerra
civile, in proporzione alle aderenti, parliamo di diecimila volontarie,
fu proprio la SAF il reparto che pagò il maggior pegno di sangue. Il
peso della responsabilità di queste donne in quei giorni fu
fondamentale, difatti diedero conforto anche a tutte quelle donne
disperate, sole e spaventate che per la prima volta si trovavano a dover
lavorare e badare alla casa in assenza dei loro uomini. È coraggio puro
signori, perché non prendiamoci in giro, per una donna, oggi come ieri,
è più rischioso credere e donarsi. Fanno paura le donne di questo tipo
molto più delle folkloristiche boss da salotto e delle mangia uomini di
professione. Fa paura condividere un sogno, ma certe donne non hanno
paura. Alla contessa Gatteschi, alle donne vere, a chi crede, agli
uomini che non si sentono minacciati da chi condivide la loro visione
del mondo “La mia vita non è stata facile, ma comunque dedicata tutta
idealmente alla patria, al Fascismo nel quale ho creduto fermamente per
la sua alta concezione di vita, fatta di giustizia sociale e di onestà.
Andare verso il popolo. Ho vissuto il periodo più bello della Nostra
Patria, il Ventennio di Mussolini. Ebbi l’onore della Sua fiducia e
credo di aver fatto fino in fondo il mio dovere nel ricoprire gli alti
incarichi che mi furono affidati, servendo l’Italia con onestà e
fervore”. Forse queste saranno righe pregne di retorica e
provincialismi, ma io non conosco altro modo per parlar d’amore, che di
questo si tratta.
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