REPARTI SPECIALI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
REPARTI SPECIALI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Carla Saglietti, classe 1927, era figlia di
Franca Fasola, fiduciaria del Gruppo Rionale Fascista "Guglielmo Oberdan
a Milano nel 1944.
Voleva partecipare in prima persona, con tutta la veemenza del suo
spirito generoso, alla lotta che vedeva coalizzate contro l'Europa
dell'Asse le mercenarie milizie multirazziali degli ANGLOAMERICANI.
Perciò chiese insistentemente alla mamma di aiutarla ad arruolarsi.
Questa, fortemente combattuta fra listinto materno e l'amor di patria, fu
costretta a far tacere gli impulsi che avrebbero voluto difendere la
figlia, ancor giovanissima, dai pericoli insidiosi di una guerra sempre
più feroce e disumana, che ormai insanguinava atrocemente anche le
strade di Milano.
E quindi condusse la figlia dalla vice comandante del SAF (Servizio
Ausiliario Femminile) della Brigata Nera "Aldo Resega, tenente Lydia
Votta (1), che inviò Carla alla sede di accasermamento e uffici della
GNR in Via V. Monti a Milano.
Qui la giovane ausiliaria fu assegnata a lavori di ufficio come "scrivana.
La cosa non poteva soddisfare il temperamento esuberante di Carla
che, pur rendendosi conto di dare un contributo più che valido alla
lotta in corso, si sentiva tenuta ai margini ed anelava invece ad
operare militarmente, a diretto contatto con il nemico.
Si sentiva depressa, non utilizzata a pieno in quel lavoro di
ufficio che non riusciva ad interessarla. Voleva far qualcosa di più
esaltante. Perciò non appena una collega, che già militava nei "Servizi
Speciali, l'avvicinò con le dovute cautele, accettò entusiasticamente di
provare a lavorare in quel campo che seduceva la sua immaginazione.
La camerata le diede l'indirizzo di Villa Hilke, in via Ravizza a
Milano, sede operativa del Servizio Segreto G.S.A. (Gruppo Speciale
Autonomo) denominato quasi goliardicamente "dottor De Santis,
Allevamento volpi argentate (1).
Dopo un colloquio che chiariva le linee principali del servizio di
questo gruppo, il dottor De Santis (al secolo Tommaso David) l'arruolò e
le assegnò il nome in codice "Mirella, dato che nel reparto c'era già
un'altra Carla (Carla Costa).
Finalmente Carla Saglietti aveva trovato lo scopo che dava un senso pieno alla sua vita e vi si consacrò.
Il nome in codice "Mirella le dava il crisma della sua missione, si sentiva felice nella sua nuova responsabilità.
Seguì quindi diligentemente il corso di addestramento specializzato
presso il "Kora agli ordini del maggiore tedesco Kurt Krupp. (3).
Il corso verteva essenzialmente sul riconoscimento, ai fini
strategici, delle truppe nemiche attraverso i "totem di reparto e
sull'identificazione dei vari mezzi corazzati nonché delle artiglierie.
Venivano insegnate inoltre tecniche da seguire secondo la specialità
dell''agente e tra laltro anche tecniche di evasione in caso di cattura.
Nel novembre 1944 "Mirella era già preparata.
Venne trasportata a bordo di un camion tedesco verso il fronte.
Durante il viaggio nessuno parlò; "Mirella era sola con i suoi pensieri,
sempre più emozionata. Si concentrò sulla missione da compiere.
Si era resa pienamente conto dei pericoli a cui andava incontro, ma
era fermamente decisa ad affrontare ogni evenienza. Si domanda come
potrebbe superare gli ostacoli della prima linea dello schieramento
nemico, ma non vede lora di poter provare a sé stessa che ce la farà.
Si arrampicarono sull'Appennino tra Bologna e Pistoia. L'impazienza dell'attesa le provocava fremiti che non aveva mai provati.
Finalmente arrivarono a Pietracolora, 820 metri sul livello del
mare, un piccolo borgo, casette basse, massimo due piani, arroccato
sulla montagna.
Faceva freddo: "Mirella venne accolta nel modesto fabbricato dove
erano accasermati i tedeschi. Le venne offerta una rustica cena e poté
riposare un poco, prima di affrontare le fatiche dell'attraversamento
delle linee. "Mirella si sforzò, si impose di dormire per essere pronta
ad iniziare, nelle migliori condizioni, la missione assegnatale.
Passò qualche ora. La svegliarono. Un camerata tedesco l'accompagnò
per una trentina di metri lungo la strada che scende verso Bombiana in
mani nemiche.
Rimasta sola, si strinse nel suo cappottino, i piedi erano gelati
nonostante i calzettoni e gli scarponcini, ma ben presto non avvertì più
il freddo. Scendeva automaticamente sforzandosi di vedere attraverso le
nebbiolina avanti a sé.
Vedeva qualche bagliore lontano e udiva il brontolio dei cannoni.
Sola nella nebbia, tra due sterminati eserciti che si
combattevano... e lei proseguiva verso un nemico pronto ad aggredirla
con mille tentacoli. Sola. Ma doveva proseguire, voleva vincere tutte le
prove che l'aspettavano.
Ma ecco, l'artiglieria tedesca iniziò un fuoco di copertura per distrarre gli avamposti nemiche angloamericane. Non era più sola.
Sentiva vicino, però, anche il nemico ed il suo spirito si disponeva
alla lotta, si dispiegava in un fervore che accendeva la sua anima e
non le faceva sentire il vento gelido che le ghiacciava le guance.
Giudicò opportuno lasciare la strada per scendere più rapidamente e
anche per evitare pattuglie nemiche in perlustrazione. Ascoltava con
attenzione spasmodica, analizzando ogni rumore diverso dal rombo dei
cannoni e dal fischio leggero del vento tra i rami degli alberi.
Le parve di distinguere a tratti il fruscio lontano di un torrente
nel fondo valle. Doveva essere il torrente Silla, come aveva studiato
sulla cartina, un affluente del fiume Reno.
Non era affatto agevole scendere sul terreno accidentato. Più di una
volta stette per cadere. Sagome contorte di alberi emergevano dalla
foschia.
Era ben cosciente delle possibilità di incontrare campi minati. Era
un rischio da affrontare senza doversene preoccupare, ogni precauzione
sarebbe stata inutile. Le dispiaceva soltanto pensare che non avrebbe
potuto portare a termine la sua missione.
Il suo istinto acuto l'avvertiva della presenza di altri indistinti
pericoli; avrebbe voluto procedere con maggiore prudenza, evitare di far
udire i suoi passi fra le foglie secche, gli urti degli scarponcini sui
rami caduti e sulle pietre sporgenti.
Era già molto affaticata ma non ammetteva indulgenza per il suo fisico; bisognava far presto, molto presto.
Ma improvvisamente ebbe un sussulto, una voce straniera con accento portoghese. Ah! Forse un maledetto brasiliano.
Un nero alto e possente emerse dalla nebbia e le si piantò davanti puntandole il fucile.
"Mirella scattò, raccolse tutte le sue forze, avvertì una forte
scarica di adrenalina. In un attimo giudicò la situazione: non c'era
nulla da fare, bisognava arrendersi e, caso mai, dopo, tentare la fuga o
l'evasione, secondo le istruzioni apprese al corso, sapeva di non poter
demordere, sapeva di dover stare ancora allerta, sempre allerta, per
cogliere ogni occasione.
Venne portata a Porretta Terme e poi a Scandicci, vicino Firenze. Un
lungo viaggio in camionetta in mezzo a nemici armati che la guardavano
con curiosità insinuante.
Mantenne un contegno dignitoso e distaccato.
A Scandicci un ufficiale americano, un italoamericano, il capitano
Moretti della Quinta Armata, la interrogò con aria bonaria, quasi
cordiale e "Mirella tirò fuori, con la maggiore naturalezza possibile,
la storia che avevano preparato al corso di addestramento: voleva
raggiungere la nonna bisognosa di aiuto, con tutti i particolari già
studiati in maniera adeguata.
Ma il capitano Moretti non la bevve. Traspariva dal suo viso che
egli sapeva qualcosa, forse qualcuno lo aveva informato... Poi "Mirella
ne ebbe la certezza, conosceva addirittura il suo nome in codice:
"Mirella!
Linterrogatorio si fece più duro, sempre più duro.
"Mirella venne spintonata violentemente, sempre più violentemente, venne sbattuta sul muro, più volte... più volte.
Le si annebbiò la vista: quasi svenne. Non poteva reagire, non
doveva reagire. Ma odiava il nemico, che le si svelava in tutta la sua
abiezione. Lo odiava con tutte le sue forze.
Un italo-americano: un traditore. Uno che ha rinnegato le sue radici
e che ora si accanisce contro una piccola ragazza che non può reagire.
Alla fine il capitano Moretti si stancò e "Mirella fu chiusa a chiave in una cameretta buia.
Non aveva mangiato, ma non sentiva fame. Era tutta pesta e
dolorante, ripeteva a sé stessa che bisognava recuperare tutte le
energie possibili per poter lottare senza cedere.
Fece subito una rapida ispezione della cameretta nella vana ricerca di qualche appiglio che potesse favorire levasione.
Poi si propose di riposare per recuperare le forze.
La porta si socchiuse, arrivò furtivamente un pietoso militare Usa
che le portò una tavoletta di cioccolata e, mentre lei laddentava, lui
le si buttò addosso, brancicandola con le sue manacce che le fanno
ribrezzo, nausea, orrore.
"Mirella si divincolò, urlò, tirò calci con i suoi bravi scarponcini, graffiò con le unghie quei viso puzzolente di whisky.
Nel trambusto arrivò gente e il militare battè in ritirata.
Arrivarono altri soldati. Sopravvenne lineffabile capitano che
chiese a "Mirella se era sicura di quanto stava denunciando. Traspariva
dalla sua voce un impercettibile punta di sarcasmo.
Poi tornò la calma. Ma "Mirella non potè più dormire.
Era una tecnica di tortura psicologica di cui non era consapevole,
ma che la prostrò e le spezzò i nervi. Odiava il nemico ancora di più e
si confermò nella giustezza della lotta intrapresa.
Bisognava resistere. Doveva recuperare le forze: era questo il suo assillo. Voleva dormire, doveva dormire, ma non poteva più.
Capì che avrebbe dovuto mangiare almeno quella cioccolata, ma le faceva schifo.
Restò sconvolta fino al mattino e quando finalmente avrebbe voluto dormire la riportarono all'interrogatorio.
Ancora quell'odioso capitano Moretti che si pavoneggiava nella sua esecrabile divisa: elegante, curate, ben stirata.
"Mirella si irrigidì sulla negativa.
Allora Moretti la minacciò di fucilazione e "Mirella si sentì
stranamente liberata dall'ossessione di quell'interrogatorio. Finalmente
era finita. Sia pure con la fucilazione, ma era finita.
La portarono fuori, circondata da divise caki, uomini armati di
"Tompson; la appoggiarono ad una transenna ed il capitano Moretti si
disse molto dispiaciuto della sua prossima fine, e parlava, parlava...
Aspettava il crollo di "Mirella. Ma lei non lo sentiva più; era
chiusa nella corazza della sua fede. Si sentiva finalmente libera e fece
un ultimo gesto di disprezzo e di odio al suo aguzzino; la sua
educazione le impediva di sputargli in faccia; gli fece le boccacce.
Il capitano restò disorientato, spazientito, non sapeva più cosa
fare. Era anche meravigliato dalla saldezza morale di quella che gli
appariva come una ragazzina, ma che aveva più forza morale di un uomo.
Tuttavia la spedì alle carceri di Firenze - Santa Verdiana - tra le detenute comuni.
E lì, nel parlatoio di Santa Verdiana, avvenne il confronto con
Carla Costa, laltra "volpe argentata che avevano arrestato in missione
(4).
Le due ragazze recitarono benissimo la commedia:
Non la conosco
Nemmeno io.
Durante la permanenza nelle carceri di Firenze subì ancora un
tentativo di violenza, ma su questo punto "Mirella non ha mai voluto
dare completa testimonianza.
Malgrado la mancanza di prove certe, gli americani non mollarono.
"Mirella non poteva essere incriminata come Carla Costa, ma fu inviata
senza preoccuparsi di darne una qualsiasi giustificazione, all "R.
internee camp di Collescipoli i provincia di Terni ("R sta per
"Recalcitrants). Era un campo di rieducazione tenuto dagli inglesi con
metodi perfidamente persecutori.
A Collescipoli fu raccolta l'élite del fascismo clandestino del Sud
ma furono reclusi anche gli agenti speciali della RSI che erano scampati
ai campi minati, agli scoppi delle granate, alle fucilazioni.
Lì "Mirella conobbe la principessa Maria Pignatelli di Cerchiara,
arrestata a Napoli al ritorno dalla sua missione in RSI, dove era stata
ricevuta dal Duce.
Recluse in uno dei capannoni della fabbrica di gomma sintetica
Pirelli, utilizzati come campo di concentramento, le internate erano
sottoposte a vessazioni ed angherie di ogni genere. Come quando un
soldato inglese voleva portare a ballare una reclusa di sui si era
invaghito: Nicoletta de Terlizzi.
Essendosi lei sdegnosamente rifiutata, fu uccisa sotto gli occhi delle sue camerate allibite (5).
Intanto in RSI Anna Bagaggia, una camerata che conosceva la mamma di
Carla Saglietti, ascoltanto "Radio Londra per motivi di servizio,
apprese che Carla era stata catturata e fucilata. Avvertì la famiglia
che ne ebbe un enorme, lancinante dolore.
Perfidi metodi terroristici di Albione per fiaccare il nostro morale.
Il campo di Collescipoli restò aperto anche dopo la fine della guerra civile Fino al maggio 1946, epoca in cui fu smobilitato.
Molti detenuti furono rimessi in libertà ma i più "recalcitrants
furono trasferiti al campo di Riccione-Rimini "Campo Miramare, ultimo
campo di concentramento inglese rimasto aperto in Italia.
Tra questi, ovviamente, ci fu anche "Mirella.
Il campo di Riccione era stato un campo di aviazione: era attrezzato
solo con tende. La sezione femminile invece era sistemata in un
padiglione della ex Colonia Marina della GIL, che era nelle vicinanze,
strettamente sorvegliata da sentinelle polacche severissime,
zelantissime e sospettosissime, ma non abbastanza da impedire levasione
della principessa Maria Pignatelli, che non fu più ripresa.
Intanto da interrogatori, subiti già in precedenza dagli agenti del
Servizio Speciale "P.D.M, nel dopoguerra era emersa la verità sulla fuga
di notizie relative alla identità degli agenti speciali: il badogliano
tenente Gaeta (che sia sempre maledetto), si era infiltrato in
Repubblica Sociale ed era addirittura riuscito a conquistare la fiducia
dei tedeschi. Segnalava al nemico angloamericano i nomi veri ed i nomi
in codice degli agenti speciali, missioni, orari e località dei
tentativi di passaggio delle linee.
A guerra finita si gloriava delle sue gesta di spia.
Così "Mirella e Carla Costa vennero a sapere chi dovevano ringraziare per le loro tribolazioni.
Ma forse non tutti i mali vennero per nuocere: chissà che fine
avrebbero fatto Carla Costa e Carla Saglietti nella primavera di sangue
del 1945, che vide tanta ausiliarie bestialmente sacrificate con infame
rito barbarico sull'ara della "liberazione ignominiosamente insanguinata.
Carla Saglietti, invece, alla chiusura del campo di Riccione, nellestate del 1947 fu restituita alla vita civile.
Ma lItalia che trovò le fece rimpiangere il campo di concentramento.
NOTE
(1) cfr G. Pisanò - Gli ultimi in grigioverde - Storia delle Forze
Armate della RSI -CDL edizioni - Milano 1995 p. 2319 e p. 2322.
(2) cfr G. Pisanò op. cit. 2365 e 2366 in cui ci dà anche l'elenco
completo delle agenti femminili che qui riportiamo: S. Ten. Anna
Mulatto, maresciallo Maria Vinciguerra, serg. Magg. Anna Di Mato,
ausiliarie Amelia Ansaloni (18 anni), Giovanna Braldi (19 anni), Adriana
Barocci, Tea Boni (20 anni), Fernanda Chechi (22 anni), Carla Costa (17
anni), Anna Maria De Brentis (20 anni), Carla Saglietti (17 anni), Olga
Spera (50 anni).
Manca l'elenco degli agenti uomini ma sappiamo che uno di loro fu
Mario Martinelli, fucilato il 30.1.1945 alle cave di Maiano, Firenze,
come riferito da Carla Costa.
La quasi totalità degli agenti venne catturata dal nemico e condannata a morte o a lunghe pene detentive.
(3) cfr G. Pisanò op. cit. pp. 2367-2370. La scuola di addestramento
per i servizi speciali, in sigla "Kora" era a Milano in Viale Monza.
(4) vedasi Carla Costa - Servizio Segreto - le mie avventure in
difesa della Patria oltre le linee nemiche - Quaderni di Storia Verità -
Europa Libreria Editrice, Roma, 1998, pp. 76 e 77.
(5) Lettera della principessa Maria Pignatelli a D. Rousset databile
verso la fine del 1949 riportata nel libro La lampada e il Fascio di R.
Guarasci, Reggio Calabria, Laruffa Ed., 1987.
(6) Dattiloscritto di Carlo Rivolta, Rho, 1999.
NUOVO FRONTE N. 196 Novembre e N. 197 Dicembre 1999 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
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