L’OLOCAUSTO DELLE DONNE FASCISTE MODENESI
Il
contributo di sangue pagato dalle donne modenesi, fasciste, o presunte
tali, o semplicemente madri, spose, fidanzate e sorelle di fascisti è
stato particolarmente alto.
Molte
tra quelle che non pagarono con la vita la loro fedeltà o la loro
scomoda posizione di donne dei fascisti, furono oltraggiate, seviziate,
vilipese, violentate da orde di barbari che si comportarono,
specialmente a guerra ultimata, come le peggiori truppe mercenarie dei
tempi antichi che, sulle terre conquistate, avevano il "privilegio" di
prendersi tutto quello che era possibile predare, comprese le donne. Ma,
e questo è orribile, nemmeno i più fanatici guerrieri Apaches, passati
alla storia come dei feroci e sanguinari guerrieri, torturarono e
trucidarono le donne bianche come invece è successo nella nostra Italia e
in particolare nella civile Provincia modenese.
Tra le tante donne uccise che è possibile trovare nella cronaca di questa ricostruzione, ne vogliamo ricordare alcune.
Ad
esempio, la maestra Morselli Mirka, uccisa barbaramente a 22 anni a
Monfestino semplicemente perché era amica di un ufficiale tedesco; o il
caso della Signora Martini Gualtieri Aldina, bruciata viva nella sua
casa a Montefiorino dai partigiani perché non volle loro aprire la porta
della sua casa; o la giovanissima Balestri Irma, uccisa a Cavezzo dopo
otto giorni di sevizie; e ancora a Cavezzo l'orribile esecuzione della
signora Sala, vedova di 65 anni, uccisa assieme ai suoi due figli. E che
dire della strage della famiglia Pallotti, dove una bambina di dodici
anni fu lasciata agonizzante tutta la notte, mortalmente ferita, vicino
ai cadaveri della mamma, del papà e del fratello.
Quante
ragazze uccise e violentate alla presenza dei loro genitori! E’
sufficiente ricordare la bestiale uccisione, a Castelnuovo Rangone, di
una ragazza di 23 anni, Gozzi Ines; a Gargallo di Carpi, della giovane
Maini Evalda; a Cavezzo la diciottenne Nivet Maria Grazia; a Modena la
giovane studentessa universitaria Bacchi Anna Maria.
A
Carpi la diciottenne Pirondi Iolanda, a Campogalliano la ventiduenne
Botti Carmen, ancora a Cavezzo madre e figlia di 38 e 18 anni,
Cattabriga Stefanini Prima e Cattabriga Paolina e poi la signora
Morselli Latina uccisa assieme al fratello e sempre a Cavezzo la
famiglia Castellazzi composta da marito e moglie e dalla figlia
diciottenne; in questa circostanza i partigiani violentarono a più
riprese le due donne davanti al disgraziato marito e padre ucciso per
ultimo.
E
tante altre esecuzioni di donne innocenti: la ventunenne Pellacani
Bruna a Bomporto, gettata in un pozzo nero. La Signora Bocchi Marisi
Itala falciata assieme al figlio dai mitra partigiani.
Nella
"letteratura" resistenziale antifascista, troviamo, quando si ricordano
di citare qualche fascista, che queste persone venivano "giustiziate"
per aver commesso il delitto di essere le donne dei fascisti.
Tante
altre donne sono passate sotto le "particolari cure" degli eroici
partigiani. A Villa Freto, nel 1954, fu scoperto il cadavere di una
sospetta fascista tale Catellani Gina, uccisa nel mese d’Aprile del
1945; a Mirandola le signore Pignatti Iolanda e Paltrinieri Bertacchi
Rosalia, di 39 e 31 anni, furono violentate e seviziate davanti ai loro
rispettivi mariti e figli e poi sepolte vive; non lontano da questo
centro della bassa, a Medolla, era barbaramente uccisa una ragazza di 23
anni, Greco Eva, assieme al fratello di 17 anni ed al padre.
Un
discorso particolare deve essere fatto per le ausiliarie poiché queste
donne avevano avuto il coraggio di vestire una divisa militare e
condividere con i loro colleghi maschi i rischi che correvano trovandosi
ad essere facile bersaglio delle imboscate partigiane; ne vogliamo
ricordare alcune, cadute in territorio modenese: le ausiliarie Pittalis
Maria e Bellentani Mara, la diciassettenne Malagoli Tiziana, la giovane
di Castelfranco, Forlani Barbara, Bonini Bianca, Corradi Defais, De Nito
Angela.
Queste
eroiche ragazze, che volontariamente si schierarono al fianco dei
soldati che aderirono alla RSI, sono state, nella storia d'Italia le
prime donne a vestire una divisa militare creando il corpo del Servizio
Ausiliario Femminile.
Se
oggi ancora molti, ignorano quanto è stato fatto dalla Repubblica
Sociale Italiana, nella sua pur breve vita, e dal suo esercito con
quella lotta disperata, ancor meno conoscono ciò che le donne del Nord,
dai 18 ai 45 anni, appartenenti a tutti i ceti sociali, seppero fare, in
funzione dei loro altissimi ideali per salvare la memoria e l'onore, di
fronte all'intero paese, dei loro padri e dei loro fratelli caduti su
tutti i fronti.
E'
questa una pagina della nostra storia ancora tutta da scoprire e da
celebrare; subito dopo l’8 Settembre, centinaia e centinaia di ragazze
si presentarono ai Comandi militari ed alle organizzazioni di Partito;
volevano lavorare e lottare accanto ai soldati. Per la loro consistenza
d'amore, negli eventi storici, le donne erano scese più volte in campo
accanto ai loro uomini per superare assieme i pericoli, le persecuzioni,
le lotte. Ma mai, in Italia, il generoso intervento della donna assunse
l'aspetto di una partecipazione corale come in quei 600 giorni. Fu il
loro, soprattutto, un atto d’amore verso la Patria, quella Patria così
travagliata ma pur ancora formata da cittadini capaci di difendere e di
combattere per l'onore come giuramento ideale prestato alla propria
coscienza.
In
questo clima, in questa audacissima ispirazione, le ausiliarie
costituirono uno degli aspetti più espressivi di quel fenomeno
volontaristico, che riuscì a creare un esercito al Nord della Linea
Gotica e dove ne entrarono a far parte ben 5.000 donne.
Erano
tantissime le volontarie che correvano ad arruolarsi nei reparti della
RSI tanto che si dovette affrontare il problema costituendo appunto il
Corpo del Servizio Ausiliario Femminile, SAF, costituito da varie
specialità. Ausiliarie per i servizi ospedalieri, per i servizi
militari, per i posti di ristoro, per la difesa contraerea.
Dopo
due mesi di corso, le reclute prestavano giuramento alla RSI, secondo
la formula stabilita per le forze armate, in seguito erano impiegate in
servizio effettivo presso i reparti delle Forze Armate, della Decima
Mas, e della GNR, che prendevano in forza le ausiliarie, sia
amministrativamente, che disciplinarmente.
Per
il particolare aspetto che assunse la guerra civile, in ogni momento
della giornata, in ogni settore del loro lavoro, queste volontarie erano
esposte ai più gravi pericoli. La serenità con cui li affrontarono,
giovò sempre a mantenere la saldezza dei reparti combattenti e a rendere
luminose le ore più critiche o quasi irreali, quelle drammatiche. Una
forza superiore le sostenne anche nell'ora della morte, specialmente
quando quella morte fu più dura per loro che per i soldati, poiché, come
abbiamo visto per tanti episodi, i partigiani non seppero rinunciare,
prima di ucciderle, ad ogni sorta di turpitudine e d’atrocità
incredibili.
Le
ausiliarie erano infatti militarizzate a tutti gli effetti, i loro
fogli matricolari erano regolarmente trasmessi ai distretti militari e
costantemente aggiornati. La divisa che indossavano, era di foggia
militare, anche i gradi erano rapportati a quelli dell'esercito.
Tennero
sempre a considerarsi del tutto uguali ai soldati e questo contribuì a
dar loro quel comportamento esemplare che meravigliò, non solo gli
stessi camerati, ma anche la popolazione che sostava sbigottita e
commossa quando queste ragazze passavano impeccabili e perfette per le
città mentre cantavano le loro canzoni, venate, a volte, di note
dolorose, o quando infaticabili di giorno e di notte, sotto i
bombardamenti, nelle retrovie, nelle stazioni ferroviarie, andavano e
venivano con viveri, medicamenti, ordini.
Ma
sapevano anche stare immobili per giorni interminabili accanto ai loro
apparecchi d’intercettazione nelle baracche della contraerea per
trasmettere le segnalazioni sui movimenti degli aerei, in particolar
modo di quel "pippo" che tormentava le notti degli italiani del nord.
Ma
le ausiliarie sapevano di essere osservate dalla gente e bersagliate
dagli avversari, per questo esasperavano quasi la loro virtù
trasformando sempre in sentimenti d’amore fraterno, l'ammirazione che
nutrivano per i combattenti.
Erano
oltre cinquemila le ausiliarie, un piccolo esercito; quante sono state
le "trucidate"? Non è possibile stilare elenchi completi ed esaurienti;
in ogni modo il loro sacrificio ha dimostrato al mondo quanta purezza ci
fosse nei loro sentimenti e nel loro modo di operare di completa
dedizione alla causa.
Ciò
che fecero queste donne può essere sintetizzato nelle motivazioni per
la proposta di medaglie al valor militare; di queste ne vogliamo appunto
citare due, a ricordo di tutte le ausiliarie trucidate nelle "radiose
giornate" della "liberazione".
L'ausiliaria Barbier
Franca venne proposta, dall'alto commissario per il Piemonte per il
conferimento della medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con la
seguente motivazione:
"Catturata
dai partigiani, manteneva un contegno deciso rifiutando di entrare a
far parte della banda e riaffermando la sua intransigente fedeltà
all'idea. Condannata a morte dai fuorilegge, le fu promessa la vita se
avesse rinunciato ai principi del fascismo. Rimase fedele nella sua fede
e portata davanti al plotone d'esecuzione, ebbe la forza di gridare:
"Viva l'Italia ! Viva il Duce !" ordinando da sola il fuoco. Di fronte
al suo coraggio i fuorilegge non ebbero la forza di eseguire l'ordine.
Fu uccisa dal capo con un colpo alla nuca".
L'ausiliaria Milazzo
Angelina, venne proposta, dal Comando Generale SAF, per il conferimento
della Medaglia d'argento al valor militare, alla memoria:
"Abbandonava
gli studi per arruolarsi nel servizio ausiliario femminile. Durante
l'addestramento era d'esempio alle compagne per fede e disciplina.
Assegnata al Comando SAF di Vicenza, si meritava una citazione
all'ordine del giorno per la capacità e lo spirito d'iniziativa
dimostrati nel portare a termine una difficile impresa. In viaggio di
servizio, durante un mitragliamento aereo, sacrificava coscientemente la
vita per salvare una gestante già ferita. Suggellava con l'offerta
suprema la fulgida vita di volontaria."
Nell'Italia
d’oggi queste due eroiche donne non hanno avuto nessun riconoscimento,
anzi sono state completamente dimenticate ed il loro sacrificio non
viene posto ad esempio alle giovani generazioni. In Italia, il
riconoscimento della medaglia d'oro è stato dato, da questa Repubblica,
ai massacratori dei soldati altoatesini in Via Rasella a Roma da dove
scaturì la rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine. L'Italia "nata
dalla resistenza" ha premiato, con il Ministro socialista Lagorio,
questi "eroi". Quelle donne in camicia nera sono state invece
presentate, come delle persone dedite a tutte le malefatte. Così è la
riconoscenza nell'Italia d’oggi!
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