IL PREMIO STREGA 2018
Ho da poco letto il libro intitolato “La ragazza con la
Leica”, scritto da Helena Janeczwek, vincitrice del Premio Strega 2018.
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Il volto della disinformazione letteraria |
Francamente,
mi è apparso fin dalle prime pagine del prologo, come la riproposizione di un
ennesimo trito e ritrito rigurgito di antifascismo, accompagnato per contro,
come se ciò fosse una prerogativa simbiotica, dall’immancabile apoteosi del
comunismo e del fenomeno rivoluzionario.
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L’ambientazione
del romanzo è datata, all'inizio, nel 1936, in una Spagna che si sta armando contro il fascismo,
appunto, e ciò, alla luce dei tanti libri mai scritti sul gulag e sui milioni
di morti ammazzati dal comunismo, sembra quanto meno anacronistico, se non
addirittura compiacente con la tendenza pseudo intellettuale delle sinistre
odierne, allineate a stereotipi disinformativi ben delineati.
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Nel
prologo, la figura dell’operaia che tiene il fucile tra le gambe, e la coppia
ridente (sempre armata di fucile), vogliono simboleggiare una tendenza che
sempre più, oggi, appare come l’estremo tentativo di resuscitare fantasmi del
passato; un passato che con la scusa dell’antifascismo crea un alibi
all’imposizione di immediate riproposizioni di un comunismo e di un marxismo
beceri e mai morti, sopiti ma sempre pronti a ripresentare i mille volti di
odio e disperazione di cui sono l'essenza, e che li contraddistingue.
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Nei dialoghi fra i protagonisti del romanzo appaiono fin dalle prime pagine i riferimenti a Marx, a Lenin, e a Rosa Luxemburg, proposti (anzi imposti) in chiave positiva, come a voler sbilanciare il lettore verso posizioni di riferimento obbligate, verso un binario da percorrere che si dirige nella direzione prefissata, mentre i riferimenti a Mussolini e al fascismo ne sono il corollario di contrasto.
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Nei dialoghi fra i protagonisti del romanzo appaiono fin dalle prime pagine i riferimenti a Marx, a Lenin, e a Rosa Luxemburg, proposti (anzi imposti) in chiave positiva, come a voler sbilanciare il lettore verso posizioni di riferimento obbligate, verso un binario da percorrere che si dirige nella direzione prefissata, mentre i riferimenti a Mussolini e al fascismo ne sono il corollario di contrasto.
Un
libro, questo, la cui pianificazione politica segue costantemente un filo
apertamente marxista, con i suoi riferimenti a Mosca e a Lenin, omettendo
accuratamente di accennare, neppure minimamente, ai tanti milioni di disperati
uccisi proprio in nome del comunismo stesso e dei suoi leader.
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Ogni
tanto è riproposta una enfasi anacronistica che rispunta con impazienza
rivoluzionaria, accuratamente costruita e artefatta, che priva il lettore di
una flluidità narrativa omogenea e interessante, svilendo la trama stessa del
racconto e declassandolo a mera propaganda politica.
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Non
mancano i riferimenti che si affacciano alla diaspora ebraica e alle migrazioni
nella Francia non ancora occupata dai nazisti, senza però accennare mai, neppure minimamente (lo schema
disinformativo si ripete), al fatto che mentre Hitler da un lato iniziava ad
emanare leggi razziali contro gli ebrei, dall’altro Stalin e Lenin ne avevano
già ammazzati a centinaia di migliaia, sia direttamente con le deportazioni,
che indirettamente con l’organizzazione di pogrom (1) in tutti i territori
soggetti all’influenza bolscevica.
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L’essenza
della disinformazione comunista di cui è impregnata l’evoluzione della narrativa stessa, impone all’autore di
questo libro di proporre Gerda, la ragazza con la Leica, nei panni di demagogica
crocerossina, impegnata a immortalare
scene e visioni di umanità sofferenti, di vittime di bombardamenti, di uomini
nudi coperti da lenzuola insanguinate.
Le
prime 80 pagine del romanzo seguono il tracciato sopra descritto, insistendo
ancora sulla tragica scomparsa di Gerda, morta sì per un incidente stupido e
crudele, ma pur sempre in una guerra che, con le sue immagini, voleva vincere
la lotta contro il fascismo.
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Le
riflessioni del protagonista, il Dottor Chardack, spaziano da un lato
verso considerazioni sulla sua stessa
figura di ebreo anomalo, non legato alle tradizioni religiose, svincolato da
imposizioni etniche e calato in un ruolo di scienziato e illuminista, che pare
osservare con distacco l’evolversi delle situazioni che lo circondano, mentre
dall’altro rivivono una malinconica serie di rimembranze, di ricordi, di fatti
ed episodi di vita vissuta, in perenne afflato con Gerda, su cui il
protagonista tenta di lasciare una impronta indelebile, prodromica ad una auspicata
quanto improbabile simbiosi.
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Fanno da corollario i ricordi della gioventù
studentesca trascorsa a Lipsia, poi a Parigi, dai quali emerge, caso mai ce ne
fosse bisogno, l’impellenza di ribadire un modus vivendi fuori dalle righe e
dall’ordinario, alla giornata, magari supportato da furtarelli quotidiani e da
una concezione della vita refrattaria a imposizioni di qualunque tipo, di tipo bohemien.
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Non
manca, nuovamente, il tentativo di fagocitare il lettore verso tesi che
l’autrice vorrebbe universalizzare, ma che in realtà esprimono invece (in una
platea culturalmente preparata) una concatenazione di sentimenti avversi a tale
tentativo.
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La
morte di Gerda viene infatti presentata come l’estremo sacrificio di una
martire, avvolta nella bandiera rossa, che ha perso la sua vita in difesa di un
valore universale a cui l’intera umanità fa riferimento, e da cui ne dipende il
futuro stesso.
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Il
saluto con il pugno chiuso e le processioni rosse delle manifestazioni, così
come le ipotesi rivoluzionaire, non potevano certo mancare in questa farsesca
rappresentazione che pare uscita da un melodramma di infima categoria, e che
tratteggia molto bene l’universo della feccia comunista.
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Le
istantanee scattate da Gerda e da tutti i suoi colleghi fotografi pseudo
rivoluzionari, sebbene presentati al lettore come campioni di antifascismo e
come depositari di un turbamento ideale che solo la fotografia può
trasmettere, in realtà esprimono una
bassezza culturale, ideologica, e morale, che trascende da un manipolato
entusiamo e sfocia in un complice asservimento ai dictat del comunismo.
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Una
normale divagazione avrebbe consentito, mediante un approccio contestuale
quanto doveroso, di affermare di fronte al lettore una propria verginità
ideologica, non assuefatta a logiche di partito, che raccontasse anche le
miserie dell’universo comunista, appunto.
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L’autrice ha invece deliberatamente omesso qualsiasi riferimento di tipo critico, enfatizzando con perseveranza un
avanguardismo rivoluzionario condito da spaccati di vita che definire insulsi sarebbe
eufemistico.
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Il
banditismo nazista nei confronti degli ebrei, così come i saccheggi, gli
interrogatori e la prigione, a loro riservata, non hanno ragione di Gerda,
che nel romanzo viene quindi
considerata, ad un certo punto, come una creatura di un mondo a parte.
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Questa
divagazione, ricorda un’opera dello scrittore polacco Gustaw Herling, intitolata “Un mondo a parte”, in cui
l’autore racconta la sua deportazione nei gelidi gulag siberiani, dove fu
costretto a vivere a temperature di 40 gradi sotto zero.
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Quello di Herling è veramente “un mondo a parte”, e il solo accostamento seppur lessicale
dell’autrice ad una realtà così devastante come quella effettiva e reale del
comunismo, senza però citarlo ma anzi nascondendolo, diventa offensivo per
qualsiasi lettore che abbia un minimo di conoscenza dell’argomento.
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Tutta
l’opera, se così si può chiamare, è una mistificazione che compare sulla scena
letteraria in un particolare momento storico-politico, quello odierno, in cui
la sinistra soffoca, strangolata dall’espandersi delle sue stesse millanterie.
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Fa
molto comodo alle sinistre il poter disporre di schiere di pseudo
intellettuali, come l’autrice, appunto, pronti a ripetere l’esperimento già
riuscito e attuato in passato con la diffusione dell’opera “il diario di Anna Frank”.
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Risvegliare
sentimenti particolari, facendo leva su emozioni ancestrali, è uno dei metodi
adottati dalla disinformazione comunista oramai da decenni, parallelamente all'opera di omissione, di mistificazione, e di annientamento di altre importanti realtà,
volutamente celate e rese inaccessibili per lungo tempo.
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Il romanzo vincitore del Premio Strega 2018 appare proprio così, come il prodotto di un autrice che ci impone un remaking dal sapore nauseabondo e sicuramente disprezzabile, grottesco, e partigiano.
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Il romanzo vincitore del Premio Strega 2018 appare proprio così, come il prodotto di un autrice che ci impone un remaking dal sapore nauseabondo e sicuramente disprezzabile, grottesco, e partigiano.
La
trama, confusa e priva di fluidità, sembra solo un mezzo per trainare il vero
scopo della proposta letteraria, finalizzata all’enfatizzazione del comunismo e
della rivoluzione.
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L’anacronismo
e la doppiezza sono quindi elementi intrinsecamente riscontrabili in tutto lo
svolgersi dell’opera, da cui traspare uno stillicidio di manovre
propagandistiche, celate nella cosiddetta trama narrativa, che offendono
l’intelligenza del lettore.
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Anche
quando l’ambientazione del romanzo si sposta avanti nel tempo, fino al 1960,
l’autrice, non paga della sua incessante propaganda, continua imperterrita a
riproporre rimembranze della guerra di Spagna, evocando giovani “compagni”
assuefatti all’ideologia comunista, alla loro determinazione, fino all’uso
delle armi, e all’immancabile Gerda che ne immortala l’enfasi ideologica con
la sua Leica.
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Stucchevole
nella sostanza e statico nella sua essenza, ripetitivo e incompleto, il romanzo
propone solo ciò che all'autrice fa comodo proporre, e cioè la propaganda sinistroide,
senza sapere che oggi Internet ci permette di conoscere la verità e di
rifiutare le imposizion stereotipate fino ad oggi proposte dalla
disinformazione comunista o post-tale, come appunto quest’opera.
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La
parte finale del libro è illeggibile ...
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Si
passa da considerazioni appena tratteggiate, ma costanti, su ostaggi trattenuti dai nazisti durante la guerra, ad
evocazioni di partigiani catturati e deportati, per disquisire poi di sfilate
del Ventennio, di Legione straniera, di Buchenwald, di DDR, di comunismo, interpretando così una sorta di attivismo letterario, di volantinaggio virtuale, di percorso finalizzato alla creazione di un
fronte unitario della sinistra, rispolverando i fantasmi del passato.
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L’autrice
afferma che di questo universo di persone emigrate e mai più riviste, molte
furono uccise dall’artiglio del grande freddo artico mentre altri divennero
preda di assassini, ladri e sfruttatori, negando così palesemente la
responsabilità accertata del Partito comunista russo nella morte di centinaia di migliaia
di vittime innocenti.
Non
paga l’autrice dà sfogo al suo estro disinformatore raccontando fatti di
cronaca italiani avulsi da un contesto più generale, allo scopo di enfatizzare
quella che per lei è la abbiano giusta lotta dei compagni comunisti.
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Da
una autrice ebrea mi sarei aspettato una conformità storica disgiunta da
condizionamenti di parte, e una narrazione meno partitica, obiettiva ed
universale, ma pare che l’ebrasimo letterario oggi sia restio a condannare il
comunismo, nonostante le sue indubbie crudeltà, i genocidi su base etnica, culturale,
religiosa, e politica.
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E’
anche vero il fatto che, nonostante l'effettiva realtà che le persecuzioni del comunismo russo verso
gli ebrei abbiano prodotto molte vittime innocenti, i seguaci della Stella di David costituirono il nucleo
centrale del potere comunista stesso.
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I maggiori gerarchi comunisti, descritti come feroci e spietati assassini erano infatti ebrei, ma questo pare non interessare alla vincitrice del Premio Strega 2018.
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I maggiori gerarchi comunisti, descritti come feroci e spietati assassini erano infatti ebrei, ma questo pare non interessare alla vincitrice del Premio Strega 2018.
Suggerisco
ai lettori del presente articolo, e a coloro che cercano una piena
soddisfazione in ambito storico-culturale, di scegliere opere letterarie
obiettive e scevre da condizionamenti partitici, che possano dare l’esatta
dimensione di fenomeni politici narrati senza manipolazioni evidenti.
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A
questo scopo, accludo il link al sito che ho creato per indicare e proporre gli
scrittori e gli intellettuali che, con il loro minuzioso lavoro di ricerca e di
indagine, propongono argomenti fino ad oggi nascosti o falsati dalla
disinformazione comunista.
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Il
sito è : http://www.autorideldissenso.it/
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Note :
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(1)
Pogrom : il termine è di derivazione russa e significa devastazione.
Indica
le sommosse popolari antisemite (contro le comunità ebraiche), iniziate nella
russia zarista già nel 1881, che provocarono massacri e saccheggi.
Spesso
i pogrom erano fomentati dalle autorità.
I
massacri di ebrei si registrano fin dal 1066, a Granada (Spagna), ma anche in
Inghilterra (1189-1190), in Francia e Germania (1348-1351), in Poloni e Ucraina
(1648).
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Dissenso
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