L'ECCIDIO DEI 7 FRATELLI GOVONI
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Nel mese di Maggio dell'anno 1945 nella zona di Cento e di Pieve di Cento, furono “prelevate” dai partigiani ben 128 persone.
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Questi sventurati, dopo essere stati portati via dalle loro case, non vi fecero mai più ritorno.
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Di loro non si seppe più niente, tranne che per una metà, di cui sono stati trovati i corpi in alcune fosse comuni.
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Sulla sorte di molte di queste vittime innocenti è calato un tragico
velo, cupo e misterioso, con la complicità di chi aveva ed ha,
evidentemente, molti punti di connivenza e di convergenza ideologica con
gli esecutori dei massacri.
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Nella fossa comune scoperta ad Argelato furono rinvenuti ben 17 cadaveri, di cui sette erano fratelli.
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Si tratta dei fratelli Govoni, la cui mamma è stata per decenni derisa dagli stessi aguzzini che le avevano ucciso i figli.
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Non usciva più di casa poiché gli infami assassini le canticchiavano
“bandiera rossa”, a indicare l’odio che ancora oggi anima i seguaci
della “falce e martello”.
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Dei sette figli, solo uno mostrava segni di pallottole, mentre gli altri avevano tutti le ossa spezzate e il cranio fracassato.
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Al momento del sequestro la sorella Ida stava allattando il figlioletto,
ma ciò non impedì agli aguzzini comunisti di torturarla e ucciderla.
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Ecco un resoconto dell’accaduto, tratto liberamente dal sito :
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"… Si era sparsa, frattanto, tra i
partigiani della 2ª brigata Paolo e delle altre formazioni, la voce che
stava per incominciare una “bella festa” nel podere del colono Emilio
Grazia.
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Dapprima alla spicciolata, poi sempre
più numerosi, i comunisti cominciarono a giungere alla casa colonica
dove erano già prigionieri i sette Govoni.
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Non è possibile descrivere l’orrendo calvario degli sventurati fratelli.
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Tutti volevano vederli e, quel che è peggio, tutti volevano picchiarli.
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Per ore nello stanzone in cui i sette
erano stati rinchiusi si svolse una bestiale sarabanda tra urla inumane,
grida, imprecazioni.
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L’indagine condotta dalla Magistratura ha potuto aprire solo uno spiraglio sulla spaventosa verità di quelle ore.
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La ferrea legge dell’omertà instaurata
dai comunisti nelle loro bande ha impedito che si potessero conoscere i
nomi di quasi tutti coloro, e furono decine, che quel pomeriggio
seviziarono i fratelli Govoni.
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Si accertò, quando dopo molti anni
furono scoperti i corpi, che quasi tutte le ossa degli uccisi
presentavano fratture e incrinature.
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Chi erano gli insensati esecutori dei fratelli Govoni e suoi sfortunati compagni ?
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La risposta :
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trattasi della famigerata e fantomatica
“brigata Paolo”, ignota fino allora, non era probabilmente altro che un
gruppo della 7ª GAP (Gruppi d’azione patriottica).
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I partigiani della «2ª Brigata Paolo» infierirono con una crudeltà e un sadismo veramente inconcepibili su ogni prigioniero.
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Ida, la mamma ventenne, che non aveva
mai saputo niente di Fascisti o di partigiani, morì tra sevizie orrende,
invocando la sua bambina.
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Quelli che non morirono tra i tormenti furono strangolati ;
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e quando le urla si spensero definitivamente erano le ore ventitré dell’undici maggio.
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prelevati, mentre quelli di scarso o
nessun valore furono gettati in un pozzo dove, anni avanti, saranno
rinvenuti mentre si svolgeva l’indagine istruttoria.
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I corpi delle vittime furono sepolti subito dopo in una fossa anticarro, non molto distante dalla casa colonica.
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Per anni interi, sfidando le raffiche
dei mitra degli assassini, sempre padroni della situazione, solo i
familiari delle vittime cercarono disperatamente di fare luce su quanto
fosse accaduto, nella speranza di poter almeno rintracciare i resti dei
loro cari, primi fra tutti, i genitori dei fratelli Govoni.
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Fu una ricerca estenuante, dolorosissima, ma inutile.
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Nessuno volle parlare, nessuno volle aiutarli ;
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molti li cacciarono via in malo modo, coprendoli d’insulti.
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Ci fu anche chi osò alzare la mano su quella povera vecchia che cercava solo le ossa dei suoi figli.
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A Cesare e Caterina Govoni,
sopravvissuti al più inumano dei dolori, lo Stato italiano, dopo lunghe
esitazioni, decise di corrispondere, per i figli perduti, una pensione
di 7.000 lire mensili : 1.000 per ogni figlio assassinato !
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Anche se per quest’orrendo crimine ci
fu un processo che si concluse con quattro condanne all’ergastolo, la
giustizia non poté fare il suo corso perché gli assassini “rossi”, così
come in altri casi, furono fatti fuggire oltre cortina e di loro si
perse ogni traccia ;
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successivamente, il crimine fu coperto da amnistia !
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La vicenda della famiglia Covoni è narrata anche a pagina 294 del libro
di Marco Pirica : “1945/1947 - Guerra civile - La rivoluzione rossa”.
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In occasione della commemorazione annuale delle vittime, si è svolta a
Casadio di Argelato una cerimonia religiosa, celebrata da Don Alfredo
Morselli, a cui è poi seguito un corteo funebre, in ricordo dei sette
fratelli a Govoni.
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Il quotidiano locale “il Resto del Carlino” ha stigmatizzato
l’avvenimento, con un articolo a firma Matteo Radogna, in cui si legge :
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" La storia racconta che l’11 maggio 1945 degli uomini armati bussarono
alla porta degli anziani coniugi Govoni, contadini da generazioni, e
prelevarono sette dei loro figli ;
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l’ottava si salvò perché, sposata, si era trasferita altrove.
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Soltanto Dino (41 anni) e Marino (33) avevano aderito alla RSI (Repubblica Sociale Italiana) senza peraltro essersi macchiati di delitti o soprusi.
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C’erano poi Emo (32 anni), Giuseppe (30), padre di un bambino di tre mesi, Augusto e Primo (di 27 e 22 anni).
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Venne presa anche Ida, che aveva vent’anni e stava allattando.
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Gli uomini con il mitra dissero che si trattava soltanto di un breve interrogatorio, per raccogliere delle informazioni.
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Ida affidò la piccola ad una famiglia di vicini di casa e seguì i suoi carnefici.
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I sette fratelli Govoni non tornarono più a casa.
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Si dice che morirono dopo essere stati torturati per ore."
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Dal libro “Vincitori e vinti” di Bruno Vespa si legge :
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" Portato il gruppo nel podere dei
Grazia, i capi partigiani, dopo aver lasciato di guardia quattro uomini,
andarono a prelevare altri dieci disgraziati a San Giorgio di Piano,
tra i quali un ragazzo di 19 anni, Ivo Bonora, con il padre e il nonno, e
un tenente di artiglieria, Giacomo Malaguti.
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Nessuno ebbe la grazia di un colpo d’arma da fuoco, come avrebbe confermato più tardi l’analisi dei resti.
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Tutti furono torturati e seviziati : molte ossa risultarono spezzate o frantumate.
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Non ci fu pietà per nessuno.
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Alcuni morirono sotto le torture, ma i più furono strangolati.
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I pochi oggetti d’oro prelevati alle
vittime, come avrebbe accertato la magistratura bolognese, furono
spartiti tra gli assassini."
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I cadaveri furono sepolti in una fossa comune non lontano dal podere
Grazia in cui avvenne l’eccidio, ma per anni, nonostante le ricerche dei
parenti, non furono ritrovati.
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Al processo, uno degli imputati, Gaetano De Titta, accusato di “fare da
palo”, ammise che alcuni dei torturati furono sepolti ancora vivi.
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Uno dei nipoti di nonna Caterina, Cesare, racconta che a volte, oltre al
mutismo con il quale si scontravano, dovevano anche fare i conti con la
prepotenza di coloro che arrogantemente affermavano di saperla lunga
sulla sorte dei fratelli Govoni.
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Uno di costoro, tale Filippo Lanzoni, fu affrontato proprio da nonna
Caterina che gli chiese di rivelarle dove fossero sepolti i corpi dei
suoi figli, ma questo prototipo di vigliacco comunista e partigiano le
rispose sprezzante:
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" Procurati un cane da tartufi e và a cercarli. "
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Caterina reagì all’oltraggio, iniziando a urlare al suo indirizzo,
cosicchè " l’eroico " Lanzoni chiamò la propria moglie, e altre donne lì
vicino, che si scagliarono contro la donna, settantenne, gettandola in
terra.
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Da questo episodio, scaturì una indagine dei Carabinieri di Pieve di
Cento, che avrebbe poi portato al rinvenimento della fossa comune in cui
giacevano i corpi dei fratelli Govoni.
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Il maresciallo dei Carabinieri indagava anche su altre stragi, compiute
il 9 e l’11 maggio 1945 e individuò i responsabili dell’eccidio, e cioè i
capi e i gregari della Seconda Brigata Paolo.
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I responsabili furono processati e condannati, ma uscirono dal carcere
grazie all’amnistia di Togliatti, e furono accolti dai partigiani
comunisti con tanto di banda e bandiere rosse.
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Gli assassini partigiani furono riconosciuti colpevoli di aver trucidato ben 29 persone :
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la professoressa Laura Emiliani, i tre Costa (Sisto, la moglie Adelaide,
e il figlio Vincenzo), i sette Govoni, gli otto di Pieve di Cento, e i
dieci di San Giorgio di Piano.
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I condannati furono :
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Vittorio Caffeo, commissario politico della brigata partigiana “Paolo”, di Dino Cipollani e Guido Belletti ;
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Vitaliano Bertuzzi, vice comandante ;
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Adelmo Benni, comandante di battaglione, faceva parte del ''tribunale partigiano'' che comminò le condanne a morte delle vittime ;
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Luigi Borghi, protagonista della spedizione punitiva e capo della ''polizia partigiana''.
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La condanna fu riconosciuta, solo per questi quattro, e solo per
l’omicidio del tenente Malaguti, perché era un antifascista, mentre per
tutti gli altri omicidi fu applicata l’amnistia di Togliatti, essendo
giudicati delitti “politici”.
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Una Giustizia a due facce quindi, che ha privilegiato coloro che si sono
riconosciuti come seguaci di un emblema, quello della falce e martello,
insanguinato e impregnato del dolore di vittime innocenti.
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La disinformazione comunista ha tentato per decenni di nascondere
l’eccidio dei fratelli Govoni, così come altri crimini efferati, per i
quali il Comunismo dovrebbe essere identificato oggi come NEMICO
DELL’UMANITA’…
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Dissenso
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