martedì 8 maggio 2018

L’OLOCAUSTO DELLE DONNE FASCISTE MODENESI


L’OLOCAUSTO DELLE DONNE FASCISTE MODENESI
 
Il contributo di sangue pagato dalle donne modenesi, fasciste, o presunte tali, o semplicemente madri, spose, fidanzate e sorelle di fascisti è stato particolarmente alto.
Molte tra quelle che non pagarono con la vita la loro fedeltà o la loro scomoda posizione di donne dei fascisti, furono oltraggiate, seviziate, vilipese, violentate da orde di barbari che si comportarono, specialmente a guerra ultimata, come le peggiori truppe mercenarie dei tempi antichi che, sulle terre conquistate, avevano il "privilegio" di prendersi tutto quello che era possibile predare, comprese le donne. Ma, e questo è orribile, nemmeno i più fanatici guerrieri Apaches, passati alla storia come dei feroci e sanguinari guerrieri, torturarono e trucidarono le donne bianche come invece è successo nella nostra Italia e in particolare nella civile Provincia modenese.
Tra le tante donne uccise che è possibile trovare nella cronaca di questa ricostruzione, ne vogliamo ricordare alcune.
Ad esempio, la maestra Morselli Mirka, uccisa barbaramente a 22 anni a Monfestino semplicemente perché era amica di un ufficiale tedesco; o il caso della Signora Martini Gualtieri Aldina, bruciata viva nella sua casa a Montefiorino dai partigiani perché non volle loro aprire la porta della sua casa; o la giovanissima Balestri Irma, uccisa a Cavezzo dopo otto giorni di sevizie; e ancora a Cavezzo l'orribile esecuzione della signora Sala, vedova di 65 anni, uccisa assieme ai suoi due figli. E che dire della strage della famiglia Pallotti, dove una bambina di dodici anni fu lasciata agonizzante tutta la notte, mortalmente ferita, vicino ai cadaveri della mamma, del papà e del fratello.
Quante ragazze uccise e violentate alla presenza dei loro genitori! E’ sufficiente ricordare la bestiale uccisione, a Castelnuovo Rangone, di una ragazza di 23 anni, Gozzi Ines; a Gargallo di Carpi, della giovane Maini Evalda; a Cavezzo la diciottenne Nivet Maria Grazia; a Modena la giovane studentessa universitaria Bacchi Anna Maria.
A Carpi la diciottenne Pirondi Iolanda, a Campogalliano la ventiduenne Botti Carmen, ancora a Cavezzo madre e figlia di 38 e 18 anni, Cattabriga Stefanini Prima e Cattabriga Paolina e poi la signora Morselli Latina uccisa assieme al fratello e sempre a Cavezzo la famiglia Castellazzi composta da marito e moglie e dalla figlia diciottenne; in questa circostanza i partigiani violentarono a più riprese le due donne davanti al disgraziato marito e padre ucciso per ultimo.
E tante altre esecuzioni di donne innocenti: la ventunenne Pellacani Bruna a Bomporto, gettata in un pozzo nero. La Signora Bocchi Marisi Itala falciata assieme al figlio dai mitra partigiani.
Nella "letteratura" resistenziale antifascista, troviamo, quando si ricordano di citare qualche fascista, che queste persone venivano "giustiziate" per aver commesso il delitto di essere le donne dei fascisti.
Tante altre donne sono passate sotto le "particolari cure" degli eroici partigiani. A Villa Freto, nel 1954, fu scoperto il cadavere di una sospetta fascista tale Catellani Gina, uccisa nel mese d’Aprile del 1945; a Mirandola le signore Pignatti Iolanda e Paltrinieri Bertacchi Rosalia, di 39 e 31 anni, furono violentate e seviziate davanti ai loro rispettivi mariti e figli e poi sepolte vive; non lontano da questo centro della bassa, a Medolla, era barbaramente uccisa una ragazza di 23 anni, Greco Eva, assieme al fratello di 17 anni ed al padre.
Un discorso particolare deve essere fatto per le ausiliarie poiché queste donne avevano avuto il coraggio di vestire una divisa militare e condividere con i loro colleghi maschi i rischi che correvano trovandosi ad essere facile bersaglio delle imboscate partigiane; ne vogliamo ricordare alcune, cadute in territorio modenese: le ausiliarie Pittalis Maria e Bellentani Mara, la diciassettenne Malagoli Tiziana, la giovane di Castelfranco, Forlani Barbara, Bonini Bianca, Corradi Defais, De Nito Angela.
Queste eroiche ragazze, che volontariamente si schierarono al fianco dei soldati che aderirono alla RSI, sono state, nella storia d'Italia le prime donne a vestire una divisa militare creando il corpo del Servizio Ausiliario Femminile.
Se oggi ancora molti, ignorano quanto è stato fatto dalla Repubblica Sociale Italiana, nella sua pur breve vita, e dal suo esercito con quella lotta disperata, ancor meno conoscono ciò che le donne del Nord, dai 18 ai 45 anni, appartenenti a tutti i ceti sociali, seppero fare, in funzione dei loro altissimi ideali per salvare la memoria e l'onore, di fronte all'intero paese, dei loro padri e dei loro fratelli caduti su tutti i fronti.
E' questa una pagina della nostra storia ancora tutta da scoprire e da celebrare; subito dopo l’8 Settembre, centinaia e centinaia di ragazze si presentarono ai Comandi militari ed alle organizzazioni di Partito; volevano lavorare e lottare accanto ai soldati. Per la loro consistenza d'amore, negli eventi storici, le donne erano scese più volte in campo accanto ai loro uomini per superare assieme i pericoli, le persecuzioni, le lotte. Ma mai, in Italia, il generoso intervento della donna assunse l'aspetto di una partecipazione corale come in quei 600 giorni. Fu il loro, soprattutto, un atto d’amore verso la Patria, quella Patria così travagliata ma pur ancora formata da cittadini capaci di difendere e di combattere per l'onore come giuramento ideale prestato alla propria coscienza.
In questo clima, in questa audacissima ispirazione, le ausiliarie costituirono uno degli aspetti più espressivi di quel fenomeno volontaristico, che riuscì a creare un esercito al Nord della Linea Gotica e dove ne entrarono a far parte ben 5.000 donne.
Erano tantissime le volontarie che correvano ad arruolarsi nei reparti della RSI tanto che si dovette affrontare il problema costituendo appunto il Corpo del Servizio Ausiliario Femminile, SAF, costituito da varie specialità. Ausiliarie per i servizi ospedalieri, per i servizi militari, per i posti di ristoro, per la difesa contraerea.
Dopo due mesi di corso, le reclute prestavano giuramento alla RSI, secondo la formula stabilita per le forze armate, in seguito erano impiegate in servizio effettivo presso i reparti delle Forze Armate, della Decima Mas, e della GNR, che prendevano in forza le ausiliarie, sia amministrativamente, che disciplinarmente.
Per il particolare aspetto che assunse la guerra civile, in ogni momento della giornata, in ogni settore del loro lavoro, queste volontarie erano esposte ai più gravi pericoli. La serenità con cui li affrontarono, giovò sempre a mantenere la saldezza dei reparti combattenti e a rendere luminose le ore più critiche o quasi irreali, quelle drammatiche. Una forza superiore le sostenne anche nell'ora della morte, specialmente quando quella morte fu più dura per loro che per i soldati, poiché, come abbiamo visto per tanti episodi, i partigiani non seppero rinunciare, prima di ucciderle, ad ogni sorta di turpitudine e d’atrocità incredibili.
Le ausiliarie erano infatti militarizzate a tutti gli effetti, i loro fogli matricolari erano regolarmente trasmessi ai distretti militari e costantemente aggiornati. La divisa che indossavano, era di foggia militare, anche i gradi erano rapportati a quelli dell'esercito.
Tennero sempre a considerarsi del tutto uguali ai soldati e questo contribuì a dar loro quel comportamento esemplare che meravigliò, non solo gli stessi camerati, ma anche la popolazione che sostava sbigottita e commossa quando queste ragazze passavano impeccabili e perfette per le città mentre cantavano le loro canzoni, venate, a volte, di note dolorose, o quando infaticabili di giorno e di notte, sotto i bombardamenti, nelle retrovie, nelle stazioni ferroviarie, andavano e venivano con viveri, medicamenti, ordini.
Ma sapevano anche stare immobili per giorni interminabili accanto ai loro apparecchi d’intercettazione nelle baracche della contraerea per trasmettere le segnalazioni sui movimenti degli aerei, in particolar modo di quel "pippo" che tormentava le notti degli italiani del nord.
Ma le ausiliarie sapevano di essere osservate dalla gente e bersagliate dagli avversari, per questo esasperavano quasi la loro virtù trasformando sempre in sentimenti d’amore fraterno, l'ammirazione che nutrivano per i combattenti.
Erano oltre cinquemila le ausiliarie, un piccolo esercito; quante sono state le "trucidate"? Non è possibile stilare elenchi completi ed esaurienti; in ogni modo il loro sacrificio ha dimostrato al mondo quanta purezza ci fosse nei loro sentimenti e nel loro modo di operare di completa dedizione alla causa.
Ciò che fecero queste donne può essere sintetizzato nelle motivazioni per la proposta di medaglie al valor militare; di queste ne vogliamo appunto citare due, a ricordo di tutte le ausiliarie trucidate nelle "radiose giornate" della "liberazione".
L'ausiliaria Barbier Franca venne proposta, dall'alto commissario per il Piemonte per il conferimento della medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione:
"Catturata dai partigiani, manteneva un contegno deciso rifiutando di entrare a far parte della banda e riaffermando la sua intransigente fedeltà all'idea. Condannata a morte dai fuorilegge, le fu promessa la vita se avesse rinunciato ai principi del fascismo. Rimase fedele nella sua fede e portata davanti al plotone d'esecuzione, ebbe la forza di gridare: "Viva l'Italia ! Viva il Duce !" ordinando da sola il fuoco. Di fronte al suo coraggio i fuorilegge non ebbero la forza di eseguire l'ordine. Fu uccisa dal capo con un colpo alla nuca".
L'ausiliaria Milazzo Angelina, venne proposta, dal Comando Generale SAF, per il conferimento della Medaglia d'argento al valor militare, alla memoria:
"Abbandonava gli studi per arruolarsi nel servizio ausiliario femminile. Durante l'addestramento era d'esempio alle compagne per fede e disciplina. Assegnata al Comando SAF di Vicenza, si meritava una citazione all'ordine del giorno per la capacità e lo spirito d'iniziativa dimostrati nel portare a termine una difficile impresa. In viaggio di servizio, durante un mitragliamento aereo, sacrificava coscientemente la vita per salvare una gestante già ferita. Suggellava con l'offerta suprema la fulgida vita di volontaria."
Nell'Italia d’oggi queste due eroiche donne non hanno avuto nessun riconoscimento, anzi sono state completamente dimenticate ed il loro sacrificio non viene posto ad esempio alle giovani generazioni. In Italia, il riconoscimento della medaglia d'oro è stato dato, da questa Repubblica, ai massacratori dei soldati altoatesini in Via Rasella a Roma da dove scaturì la rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine. L'Italia "nata dalla resistenza" ha premiato, con il Ministro socialista Lagorio, questi "eroi". Quelle donne in camicia nera sono state invece presentate, come delle persone dedite a tutte le malefatte. Così è la riconoscenza nell'Italia d’oggi!

                                                                                                                                                    

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