mercoledì 28 febbraio 2018

IL FANTASMA DELLA RIPRESA

Italia Sociale

Il fantasma della ripresa

Carmelo R. Viola

Mi viene da ridere mentre mi pervade una grande tristezza… Mi pare di trovarmi in un grande asilo per “bambini adulti”, che non hanno smesso di confondere la fantasia con la realtà, il sogno con la veglia, con la seriosità tragicomica di chi non si rende conto di produrre caos e conflittualità.
Letteralmente da sempre ho sentito parlare di ripresa. Perfino il cosiddetto “boom economico” (mi scuso per la ridicola voce onomatopeica angloamericana) fu una ripresa dalle rovine di cinque anni di guerra. Oggi – invito chi mi legge a stare all’erta – se ne parla tutti i giorni alla televisione. Ci sono versioni variegate per tutti i gusti: da quella lenta, a quella rapida, da quella che stenta a quella decisa. La gente ha ragione di chiedersi che sia mai la ripresa. Sa comunque che ha a che fare con l’economia.
Pare di ascoltare le previsioni del tempo. Il linguaggio si fa più sibillino, ovvero più metereosimile, quando si dice (per esempio) che la Germania, locomotiva dell’Europa, sta dando un impulso alla ripresa, seguita dalla Francia e che l’Italia ne trarrà senz’altro beneficio. Il quarantenne disoccupato, ignaro di liberismo, può dimenticare per un momento di essere abbandonato a sé stesso. Ci si trova davanti ad una teatralità i cui attori sono addirittura delle Nazioni come persone vere e proprie. Il linguaggio diventa più oscuro per l’uomo della strada che, se in difficoltà, aspetta che la Germania faccia di meglio dato che a beneficiarne sarebbe anche l’Italia.
Tutti i giorni la rassegna della stampa economica è un giostrare di nomi e di circostanze, che sanno di mistero, come tutti i linguaggi esoterici (voglio dire “per gli iniziati”) e la parola ripresa è puntualmente presente. Ed è il punto di forza dell’esoterismo del politicante. Vadano come vadano le cose: quel che conta è che ci sia la ripresa. E la ripresa c’è, sorniona, furtiva, dolce, vigorosa ma diciamo piuttosto indefinibile e inafferrabile. Come un fantasma, appunto. Ma dopo la crisi, una ripresa è più credibile perché sa di relitto salvavita se non addirittura di terra ferma per un naufrago.
Forse neanche i più smaliziati si sono accorti che la parola ripresa è un espediente demagogico: è come promettere a chi attende un maggiore potere di acquisto o un lavoro: che qualcosa sta per avvenire. Ma che cosa mai? In passato ci sono stati altibassi. Pochi sanno che più alto diventa il tasso tecnologico del liberismo – estremizzazione del capitalismo – più improbabile diventa il vecchio sogno della piena occupazione, e la ragione è perfino ovvia. La combinazione “liberismo-tecnologia” è il peggiore nemico della giustizia sociale. Il liberismo non sarebbe tale se la sua sola ragion d’essere non fossero i profitti in totale contrasto con l’ideale socialista, che vuole il bene di ogni singolo cittadino.
Tutti i servizi sociali privatizzati seguono un percorso analogo: tagliano i rami secchi, cioè i settori meno produttivi (una linea ferroviaria come un pronto soccorso o un ambulatorio o uno sportello), riducono il personale e fanno crescere la disoccupazione. Il servizio pubblico dato in pasto ai privati non va dai cittadini – cioè non si fa capillare – ma è il cittadino che deve andare dal servizio pagando sempre di più. Il sanitario, il ferroviario e il postale sono servizi pubblici, consegnati al mercato, che illustrano perfettamente questa triste decrescita sociale.
A questo punto possiamo tradurre il linguaggio esoterico in terminologia essoterica (cioè per i non iniziati), dare un volto alle Nazioni e un contenuto alla parola ripresa. Per la verità dobbiamo cominciare dall’economia. La quale non è niente di arcano anche se ha due ordini di significati. Uno si riferisce alla produzione e al consumo di beni e servizi (come dire al mercato), senza riferimento al modo (rapporto) di produzione. L’altro si riferisce proprio a questo che, nel caso del liberismo, è la depredazione dell’uomo da parte dell’uomo. Perciò pensiamo, che, limitatamente a questo, sia meglio usare il termine predonomia, che sta per “caccia alla preda e gestione della stessa”. Il primo non comprende – e qui sta la chiave di lettura – tutti i produttori e tutti i mercanti: dal calzolaio e dall’esercente sotto casa ai magnati delle auto e dei farmaci, ma - e siamo al punto – soltanto i secondi. La ripresa, di cui quotidianamente si parla – non è la ripresa del nostro calzolaio e del nostro panettiere ma la ripresa di coloro che hanno nelle loro mani il grosso delle materie prime e dei mezzi di produzione.
I soggetti dell’economia e della ripresa sono dunque solo i più grossi uomini d’affari: questa è la realtà tale e quale. Il compimento tecnologico-liberista comporta la scomparsa dei piccoli operatori e, quel ch’è peggio, degli artigiani, a favore dei grandi magazzini, dei supermercati e delle catene di vendita, nazionali e internazionali. E’ quanto sta avvenendo. Chi nasce povero ha 99% di probabilità di restarlo per tutta la vita. La competitività, la meritocrazia e la stessa uguaglianza davanti alla legge – con pari potere di autodifesa – sopravvivono come figure retoriche.
Ripresa non vuol dire che “ti possa cadere un posto dall’alto” ma soltanto funzionalità degli affaristi maggiori, di quelli che fanno la borsa e la storia dei nostri giorni. La ripresa di oggi non significa nemmeno modifica del triste fenomeno della “liberizzazione” dei servizi pubblici, di cui aumentano i costi e la loro distanza dagli utenti ridotti a “clienti” ovvero a consumatori. La ripresa del “mercato del lavoro” è la ripresa di una vergogna, non la fine del bisogno.






 

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