lunedì 8 gennaio 2018

SOLVE ET COAGULA

SOLVE ET COAGULA


Toni Negri e il pensiero dell’ eversione marxista -  ultimo tratto della sovversione  : Da Marx al Nuovo  Ordine Mondiale “ post-umano” (!), passando attraverso la dissoluzione islamica e il meticciato universale – Da  Marx a Kalergj passando attraverso Maometto.

Toni Negri, guru del “controimpero della moltitudine”, ovvero come combattere il capitalismo con «una nuova orda nomade che sorgerà per combattere l’impero». Il concetto comunista di popolo in chiave globale.

I movimenti cosiddetti “antimperialisti” si danno un gran daffare per appoggiare e sostenere la lotta islamica contro l’Occidente. La nostra tesi è che, a causa dei limiti connessi alla loro visione materialista della società, si illudano di poter usare l’Islam per la solita lotta di classe, senza rendersi conto che è l’Islam che sta usando loro per la propria guerra santa.

Per farlo partiamo dalla fonte, ovvero dal testo sacro del nuovo movimento: “Impero – Il nuovo ordine della globalizzazione”, scritto da Michael Hardt e Toni Negri. Già, avete capito bene, proprio quel Toni Negri, che dopo aver rovinato generazioni di giovani con le sue cattive lezioni, si pone oggi come il guru della nuova lotta di classe in epoca di globalizzazione.

Il tomo rappresenta un esercizio intellettuale davvero significativo, benché in realtà non così originale quanto acclamato.

In sostanza, infatti, Negri applica il metodo del materialismo storico e dialettico di Marx all’analisi dell’attuale fase di trasformazione storica e ripropone in termini attualizzati le vecchie ricette per una rivoluzione dell’ordine mondiale.

Il metodo, invero, consente alcune analisi e intuizioni brillanti, ma sconta i pesanti limiti dell’ideologia materialista fondata su un assunto profondamente errato del mondo e della natura umana.
Vale la pena a questo punto di ricordare i caratteri distintivi dell’analisi marxista rispetto ad una che, come la nostra, fa riferimento ai valori della tradizione.

Nel materialismo storico e dialettico l’essere umano è un individuo che si identifica pressoché solo in relazione al suo rapporto con il lavoro e la ricchezza. Secondo questo indirizzo sociologico, tutti i fenomeni e le relazioni sociali sono originati solo dai rapporti economici.



Tutto il resto – dalla famiglia, alla religione, dagli Stati, ai popoli e alle nazioni – è sovrastruttura, condizionata dalla struttura economica sottostante. La dimensione spirituale è totalmente bandita.

Marx dice che «non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza» e che «nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali».

Si capisce che questa è una visione deterministica e fatalistica che non lascia spazio alla libertà dei singoli e persino delle masse. E infatti «la classe operaia non ha da realizzare alcun ideale» dice Marx, perché «la vittoria del proletariato è inevitabile», un passaggio necessario che nasce dalla dialettica stessa della storia che per Marx è solo «storia di lotta di classe».
Nell’accezione comunista, il termine popolo, declinato sempre al singolare, si riferisce dunque alla massa degli individui lavoratori e sfruttati, come sinonimo di massa del proletariato.

Al contrario, nella nostra visione non materialista del mondo, l’identità di ogni singola persona è data dall’insieme dei suoi caratteri, oltre che materiali, anche spirituali, intellettuali, morali e si forma in un contesto di relazioni sociali che, non meno dei rapporti economici, considera i rapporti affettivi e parentali, nonché l’appartenenza ad una comunità di lingua, tradizioni, storia, costume, cultura, fede, in altre parole ad una nazione. A questa comunanza originaria fa riferimento il nostro concetto di popolo, che si declina quasi sempre al plurale. Inoltre, nella nostra visione è fondamentale il principio della libertà, secondo cui l’uomo e i popoli hanno la possibilità di determinare il proprio destino attraverso la propria volontà e le proprie azioni.
Ma noi – si sa – siamo reazionari, rozzi e ignoranti. Secondo Negri, persino fascisti. E quindi torniamo al verbo del “maestro”.

Innanzitutto va detto che Toni Negri non si oppone affatto alla globalizzazione. Il suo nemico resta sempre e solo il capitalismo. Nella globalizzazione, Negri vede piuttosto un’opportunità rivoluzionaria. E infatti cita Deleuze e Guattari secondo cui «invece di resistere alla globalizzazione capitalistica, occorre accelerarne l’andatura».

Sostiene che «al fine di sfidare e resistere all’Impero e al suo mercato mondiale, occorre porre l’alternativa allo stesso livello di globalità». E conclude che «non si può resistere all’Impero con un programma limitato a un’autonomia locale». Piuttosto, a suo avviso, «occorre accettare questa sfida, imparare a pensare globalmente e ad agire altrettanto globalmente».

Ecco dunque il passaggio chiave che ne chiarisce definitivamente le intenzioni: «La globalizzazione deve essere affrontata con una controglobalizzazione, l’impero con un controImpero».

L’antimperialismo cosiddetto no-global si prefigura perciò in realtà come un controimperialismo new-global, in quanto sostiene anch’esso un modello totalizzante globale, benché di tipo marxista, in opposizione a quello capitalista. Dunque oggi Toni Negri oppone all’Impero mondiale – che ha preso il posto degli Stati nazionali – un nuovo contropotere, un altro «non luogo” antagonista, definito “la moltitudine” vale a dire il melting-pot di antica memoria che rappresenta un’alternativa certamente non meno inquietante, prevaricante e alienante per la persona umana e che altro non è se non la trasfigurazione del vecchio concetto comunista di popolo in chiave postmoderna e su scala globale.


Nulla di nuovo, in fondo, sotto il sole. D’altro canto, l’internazionalizzazione è il mito socialista che ha preceduto semanticamente la realtà della globalizzazione.

Così oggi alla lotta del proletariato in chiave antiborghese, si sostituisce la lotta della moltitudine, ovvero la massa indistinta e omologata a livello mondiale, in chiave antimperiale. Ma quali sono gli strumenti di questa lotta? «L’essere contro, la diserzione, l’esodo, il nomadismo».

Quanto alla “volontà di essere contro”, Toni Negri, per la felicità dei vari Casarini & Co., insegna che «La disobbedienza all’autorità è uno degli atti più naturali e salutari» e che poiché oggi «il problema è identificare il nemico contro cui ribellarsi… siamo costretti a essere contro in ogni luogo». Ma quali sono i mezzi più adeguati per destabilizzare il potere dell’autorità imperiale secondo Negri? La diserzione e l’esodo che, prendendo il posto del vecchio sabotaggio, «sono potenti forme della lotta di classe all’interno e contro la postmodernità imperiale» e si manifestano «assumendo posizioni oblique e diagonali» con «l’evacuazione dei luoghi di potere».

Ma è soprattutto nel nomadismo, ovvero nelle grandi migrazioni di massa, che Toni Negri – pur riconoscendo che «la mobilità della forza lavoro costituisce un livello ancora spontaneo della lotta e molto spesso comporta nuove e sradicate condizioni di povertà e miseria» – vede il sorgere del sole della nuova era rivoluzionaria. «La resistenza della moltitudine all’asservimento – la lotta contro la schiavitù di appartenere a una nazione, a una identità, a un popolo (!) e quindi la diserzione dalla sovranità e dai limiti che impone alla soggettività – afferma Negri – è interamente positiva» e «in tal senso il nomadismo e il meticciato sono le esperienze della virtù, le prime pratiche etiche che si danno nel contesto dell’Impero».

E ci avverte: «L’esaltazione contemporanea del locale diviene regressiva e persino fascista ogni volta che si oppone alla circolazione e al meticciato».

Ipse dixit.

«Una nuova orda nomade, una nuova razza di barbari – profetizza con Nietsche – sorgerà per invadere o per evacuare l’Impero». E aggiunge «la mobilità della forza lavoro può esprimere un conflitto politico e contribuire alla distruzione di un regime. Ma c’è bisogno d’altro: c’è bisogno di una forza che non sia solo capace di organizzare la potenza distruttiva della moltitudine, ma di dare vita ad un’alternanza costruita con i desideri della moltitudine. Il contro-Impero deve anche essere una visione globale, una nuova forma di vita nel mondo».

A noi comuni mortali sembra che il fondamentalismo islamico si ponga decisamente come una forma di controimperialismo, anche se con motivazioni non classiste, bensì religiose.

Ma per Toni Negri nulla può esistere al di fuori delle dure logiche della materia e dell’economia e quindi egli è convinto che una «concreta elaborazione di un alternativa politica all’Impero» non sia ancora in atto, pur confidando nel «genio delle pratiche collettive» e nella «violenza affermativa» dei «nuovi barbari» per la creazione di «un nuovo corpo sociale» e di «nuovi percorsi di vita».

Certamente Negri legge con vivo interesse il fenomeno del fondamentalismo islamico, come sintomo del rifiuto al processo imperialista, ovviamente occidentale. Definisce «la rivoluzione iraniana, in quanto rivoluzione contro il mercato globale, la prima rivoluzione postmoderna» contro il nuovo ordine imperiale e ci spiega che «la postmodernità del fondamentalismo consiste, primariamente, nel rifiuto della modernità come arma dell’egemonia euroamericana». Peccato si dimentichi di dire che a capo dell’integralismo islamico ci sono ricchi signorotti che di capitale, Borse mondiali, nuove tecnologie e sfruttamento delle masse diseredate (le uniche a cui in effetti fanno pagare il rifiuto della modernità) pare se ne intendano bene. Ma allora, è davvero possibile che ad un intellettuale come Negri non venga il dubbio che pure questi suoi simpatici rivoluzionari postmoderni islamici ambiscano in realtà a porsi alla testa di un contro-Impero?

In realtà, gli scenari futuribili che Toni Negri ci prospetta appaiono persino più inquietanti e preoccupanti dell’Impero teocratico islamico, quando, nella costruzione del nuovo ordine mondiale, si spinge ad evocare «mutazioni, mescolanze e ibridazioni» nella consapevolezza che «le norme convenzionali delle relazioni corporee e sessuali tra i generi, e all’interno di ogni genere, sono sempre più aperte a nuove sfide e a trasformazioni» e che «la natura stessa è completamente artificiale e non vi sono limiti fissi e immutabili tra l’umano e l’animale, tra l’umano e la macchina, tra il maschile e il femminile» (!).

Ecco dunque il nuovo compito della moltitudine produttrice, secondo il Negri-pensiero: «Costruire nuove determinazioni ontologiche dell’umano e della vita, un essere artificiale e potente» concentrandosi «contro tutti i moralismi» sulle «nuove tecnologie meccaniche, biologiche e comunicative» così che «i corpi stessi mutano e si trasformano per dare vita a nuovi corpi post-umani» (!).



Nel suo delirio materialista – tra citazioni improprie di Sant’Agostino e di San Francesco ad uso e consumo degli ignoranti catto-comunisti della galassia antimperialista – Toni Negri prefigura alfine un “mondo nuovo” degno delle peggiori rappresentazioni della fantascienza, dove una moltitudine globale senza più alcuna identità, appartenenza e genere, tra cyborg, ermafroditi e mutanti, rappresenta la nuova frontiera del progresso. (Sic !)

Il libro si chiude con la frase: «Queste sono la chiarezza e la gioia incontenibile di essere comunisti».

Grazie del chiarimento: postmoderni e globalizzati, ma prima di tutto sempre comunisti.
 
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Observer

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