martedì 26 dicembre 2017

AUGURI!

AUGURI!
Anche il 2017 sta per terminare.     ancora..!!
A tutti i camerati che negli
anni hanno seguito questa
modesta pubblicazione e
che hanno cosí condiviso
le analisi e le critiche che
abbiamo espresso verso il
potere per mantenere viva
la fiamma dei nostri ideali,
facciamo gli auguri di
BUONE FESTE, passate
in famiglia, e di buona
fortuna personale.
Il nostro tesoro è il cameratismo
che vuole dire condividere
ideali e battaglie,
passione e dedizione, speranze
e certezze..!
In nome di questo cameratismo
vi rinnoviamo i piừ
sinceri e cordiali auguri, a 



voi ed alle vostre famiglie.
Buon anno e buon solsti
zio d’inverno..!!

Un anno come gli altri trascorsi
in questa repubblica,
nata dalla resistenza,
con questi politici indaffarati
solamente a farsi gli affaracci
propri senza curarsi
delle esigenze e dei problemi
dei cittadini..!!
Per noi, che apparteniamo
ad un’altra impostazione
ideologica, e che abbimo il
ricordo di un’altra Italia
dove chi rubava non era                                                        

un “furbo”, ma un ladro,
dove Patria, onore,
dovere, coerenza non
erano parole prive di
significato reale, ma lo
scheletro etico su cui si
basava la vita deilla gran
parte dei cittadini, il dovere
vivere in questa repubblica
degli scandali,
delle, menzogne storiche,
degli opportrunismi cinici,
è una continua sofferenza
mista a disgusto.
Ci sorregge e ci dá forza la
nostra fede in un ideale
politco e civile che
sappiamo non essere a
portata di mano, ma per il
quale non cesseremo mai
di combattere, certi che
anche dopo la notte piừ
buia, il sole sorgerá


ALESSANDRO MEZZANO 

                                                                                                                                            

martedì 19 dicembre 2017

COME L´ECONOMIA DI GUERRA USA PROVOCO´ L´ATTACCO GIAPPONESE


STORIA


Come l'economia di guerra USA provocò l'attacco giapponese

di Robert Higgs

Molte persone vengono ingannate dalle formalità. Per esempio, suppongono che gli Stati Uniti entrarono in guerra contro Germania e Giappone solo dopo che queste nazioni dichiararono loro guerra nel dicembre del 1941. In realtà, gli Stati Uniti erano in guerra molto prima di questa dichiarazione, una guerra con diverse forme.
Ad esempio, la marina militare americana aveva l'ordine di "sparare a vista" ai convogli [tedeschi] – a volte anche contro navi britanniche – nell'Atlantico del Nord, nel tratto dove passavano le spedizioni dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, anche se gli U-boat tedeschi avevano l'ordine di astenersi (e si astennero) dal cominciare attacchi contro le spedizioni statunitensi. USA e Gran Bretagna avevano accordi di intelligence, sviluppavano assieme armamenti, facevano test militari combinati e altre forme di cooperazione militare.

L'esercito statunitense cooperava attivamente con l'esercito britannico nelle operazioni di combattimento contro i tedeschi, ad esempio, quando avvistava i sottomarini tedeschi allertava la marina inglese così poi gli inglesi attaccavano. Il governo degli Stati Uniti si impegnò in molti modi per fornire assistenza militare ad inglesi, francesi, e sovietici che stavano combattendo i tedeschi. Il governo americano fornì armamenti ed assistenza, tra cui aerei e piloti, anche ai cinesi che erano in guerra con il Giappone. L'esercito americano si impegnò attivamente nel pianificare assieme agli inglesi, ai paesi del Commonwealth Britannico e alle Indie Orientali Olandesi future operazioni militari contro il Giappone. Molto importante fu il fatto che il governo americano si impegnò in una guerra economica, con misure sempre più stringenti, che portò il Giappone in una situazione molto difficile, che le autorità statunitensi ben compresero, li spinsero ad attaccare territori statunitensi e li forzarono a cercare di assicurarsi quelle materie prime essenziali nel Pacifico sulle quali americani, inglesi e olandesi (governo in esilio) avevano posto l'embargo.

Roosevelt aveva già portato gli Stati Uniti in guerra contro la Germania nella primavera del 1941 – una guerra su scala minore. Da allora aumentò via via la partecipazione militare statunitense. l'attacco giapponese del 7 dicembre gli permise di aumentare notevolmente la partecipazione ed ottenere una dichiarazione di guerra. Pearl Harbor viene rappresentata come la fine di una catena di eventi, con il contributo americano che riflette una strategia formulata dopo la caduta della Francia... Agli occhi di Roosevelt e dei suoi consiglieri le misure prese ad inizio 1941 giustificarono la dichiarazione di guerra tedesca contro gli Stati Uniti – una dichiarazione che non arrivò con disappunto... Roosevelt disse al suo ambasciatore in Francia, William Bullitt, che gli Stati Uniti sarebbero sicuramente entrati in guerra contro la Germania, ma dovevano aspettare un "incidente", e che era "fiducioso che la Germania ce lo avrebbe dato"... Stabilire una testimonianza in cui il nemico avesse sparato per primo era la tattica perseguita Roosevelt... [Alla fine] pare abbia concluso – correttamente, come poi risulterà – che sarebbe stato più facile provocare un attacco giapponese che uno tedesco.

L'affermazione che il Giappone attaccò gli Stati Uniti senza nessuna provocazione fu... tipica retorica. Funzionò perché il pubblico non sapeva che l'amministrazione aveva previsto che il Giappone avrebbe risposto con azioni militari alle misure anti-giapponesi prese nel luglio del 1941... Prevedendo la sconfitta in una guerra contro gli Stati Uniti – e in maniera disastrosa – i leader giapponesi provarono disperati negoziati. Su questo punto molti storici sono da tempo concordi. Nel frattempo, sono venute fuori le prove che Roosevelt e Hull avevano costantemente rifiutato ogni negoziato.... il Giappone... offrì compromessi e concessioni che gli Stati Uniti contrastavano con crescenti richieste... Fu dopo aver appreso della decisione che giapponesi sarebbero entrati in guerra contro gli Stati Uniti nel caso i negoziati si sarebbero "guastati" che Roosevelt decise di interromperli... Secondo il procuratore generale Francis Biddle, Roosevelt auspicava un "incidente" nel Pacifico per portare gli Stati Uniti nella guerra europea.

Questi fatti come numerosi altri che puntano nella stessa direzione non sono nulla di nuovo; molti di questi sono disponibili al pubblico già dagli anni '40. Fin dal 1953, chiunque abbia letto una raccolta di saggi molto documentati sui vari aspetti della politica estera degli Stati Uniti alla fine degli anni '30 e inizio '40, pubblicati da Harry Elmer Barnes, che mostravano i molti modi in cui il governo degli Stati Uniti sostenne la responsabilità dell'eventuale ingresso del paese nella Seconda Guerra Mondiale – mostravano, in breve, che l'amministrazione Roosevelt voleva portare il paese in guerra e di come lavorò d' astuzia su vari sentieri per arrivarci, prima o poi sarebbe entrato in guerra, preferibilmente in modo da riunire l'opinione pubblica nel sostenere la guerra facendo sembrare gli Stati Uniti una vittima di un’ aggressione senza provocazione. Come testimoniò il Segretario di Guerra Henry Stimson dopo il conflitto, "avevamo bisogno che i giapponesi facessero il primo passo."

Al momento, comunque, 70 anni dopo questi eventi, probabilmente non c' è un americano su 1000, anzi 10000, che abbia una vaga idea di questa storia. La fazione pro-Roosevelt, pro-americani, pro-Seconda Guerra Mondiale è stata così efficace che in questo paese l'insegnamento e la scrittura popolare sono totalmente dominati dalla visione che gli Stati Uniti si siano impegnati in una "Guerra Buona".

Alla fine del XIX secolo l'economia giapponese iniziò una rapida crescita ed industrializzazione. Dal momento che il Giappone ha poche risorse naturali, molte delle sue industrie in rapida crescita dovevano fare affidamento sulle importazioni di materie prime, come carbone, ferro, acciaio, stagno, rame, bauxite, gomma, e petrolio. Senza un accesso a queste importazioni, molte delle quali provenienti dagli Stati Uniti o dalle colonie europee del Sudest Asiatico, l'industria giapponese si sarebbe arrestata. Tuttavia, impegnandosi nel commercio internazionale, nel 1941 i giapponesi avevano costruito un' economia industriale piuttosto avanzata.

Allo stesso tempo, costruirono un complesso militare industriale per supportare una marina ed un esercito sempre più potente. Queste forze armate permettevano al Giappone di proiettare il suo potere in diverse zone del Pacifico e dell'Asia Orientale, comprendendo la Corea e il nord della Cina, proprio come gli Stati Uniti che usarono la loro industria in espansione per la realizzazione di armamenti che proiettarono il dominio statunitense nei Caraibi, America Latina, ed anche in paesi lontani come le Filippine.

Quando nel 1933 Franklin D. Roosevelt divenne presidente, il governo degli Stati Uniti cadde sotto il controllo di un uomo a cui non piacevano i giapponesi e nutriva un affetto per i cinesi dato che, hanno ipotizzato alcuni scrittori, i suoi antenati si erano arricchiti con il commercio con la Cina. A Roosevelt non piacevano neanche i tedeschi in generale, e particolarmente Adolf Hitler, e propendeva per favorire gli inglesi nelle relazioni personali e negli affari. Non prestò molta attenzione alla politica estera, finché il suo New Deal non cominciò ad esaurirsi nel 1937. In seguito si affidò molto alla politica estera per soddisfare le sue ambizioni politiche, come il suo desiderio di essere rieletto ad un terzo mandato senza precedenti.

Quando la Germania cominciò il riarmo e la ricerca del Lebnsraum (spazio vitale) in maniera aggressiva, alla fine degli anni '30, l'amministrazione Roosevelt collaborò con Francia e Gran Bretagna per contrastare l'espansione tedesca. Dopo che la Seconda Guerra Mondiale iniziò nel 1939, questa assistenza statunitense crebbe molto, includendo misure come il cosiddetto accordo dei cacciatorpedinieri e il programma dal nome ingannevole Lend-Lease. In previsione dell'ingresso in guerra degli Stati Uniti, il personale militare inglese e americano formulò piani segreti di operazioni congiunte. Le forze americane cercavano di creare un pretesto per giustificare l'ingresso in guerra, cooperando con la marina britannica, attaccando gli U-boat tedeschi nel nord dell'Atlantico, ma Hitler non abboccò all'esca, negando così a Roosevelt il pretesto che voleva gli Stati Uniti a tutti gli effetti un paese belligerante – una belligeranza che trovava l'opposizione della maggioranza degli americani.

Nel giugno 1940, Henty L. Stimson, che aveva servito come Segretario alla Guerra durante il mandato di William Howard Taft e come Segretario di Stato sotto Herbert Hoover, divenne ancora Segretario alla Guerra. Stimson era un leone anglofilo, faceva parte dell'elite del nordest, e non aveva nessuna simpatia per i giapponesi. A supporto della politica delle porte aperte con la Cina, Stimson favorì l'uso di sanzioni economiche per ostacolare l'avanzata giapponese in Asia. Il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau e il Segretario dell'Interno Harold Ickes appoggiarono con forza questa politica. Roosevelt sperava che queste sanzioni avrebbero spinto i giapponesi a fare un errore avventato attaccando gli Stati Uniti, trascinando in guerra anche la Germania, dato che Germania e Giappone erano alleati.

L'amministrazione Roosevelt, mentre respingeva seccamente le aperture diplomatiche giapponesi per armonizzare le relazioni, imponeva una serie di sanzioni economiche sempre più stringenti. Nel 1939, gli Stati Uniti conclusero il trattato commerciale con il Giappone del 1911. "Il 2 luglio 1940, Roosevelt firmò l'Export Control Act, che autorizzava il presidente a concedere o negare le esportazioni di materiali di difesa essenziali." In base a tale autorità, "il 31 luglio, le esportazioni di carburante e lubrificanti per motori d' aereo, ferro e acciaio furono ridotte." In seguito, dal 16 ottobre, con una mossa contro il Giappone, Roosevelt decretò l'embargo "di tutte le esportazioni di ferro e acciaio non destinate alla Gran Bretagna e alle nazioni dell'emisfero occidentale." Alla fine, il 26 luglio 1941, Roosevelt "congelò gli asset giapponesi negli Stati Uniti, ponendo fine alle relazioni commerciali con il Giappone. Una settimana dopo Roosevelt vietò le esportazioni dei carburanti che ancora avevano mercato in Giappone." Inglesi e olandesi dalle loro colonie nel sudest asiatico seguirono a ruota, ponendo l'embargo alle esportazioni con il Giappone.

Roosevelt e i suoi collaboratori sapevano che stavano mettendo il Giappone in una posizione insostenibile e che il governo giapponese per tentare di sfuggire alla morsa sarebbe potuto entrare in guerra. Avendo decriptato il codice dei diplomatici giapponesi, i leader americani sapevano, tra le altre cose, che il Ministro degli Esteri Tejiro Toyda aveva comunicato il 31 luglio all'ambasciatore Kichisaburo Nomura che "Le relazioni commerciali ed economiche tra Giappone e paesi terzi, guidati da Inghilterra e Stati Uniti, sono diventate spaventosamente tese da non poter essere più sopportate. Di conseguenza, il nostro Impero, per salvare la sua stessa vita, deve prendere delle misure per assicurarsi le materie prime dei Mari del Sud."

Dato che i crittografi americani avevano decodificato anche i codici della marina giapponese, i leader di Washington sapevano che le "misure" giapponesi includevano un attacco a Pearl Harbor. Ma non diedero queste informazioni ai comandanti nelle Hawaii, che avrebbero potuto fronteggiare l'attacco o almeno prepararsi. Che Roosevelt e i suoi generali non abbiano suonato l'allarme ha perfettamente senso: dopo tutto, l'attacco imminente era quello che cercavano da tempo. Come confidò Stimson nei suoi diari dopo l'incontro del Gabinetto di Guerra del 25 novembre, "La questione era di come avremmo potuto manovrarli [i giapponesi] per farli sparare per primi senza danneggiarci troppo." Dopo l'attacco, Stimson confessò che "il mio primo sentimento fu di sollievo... la crisi era venuta nel modo che avrebbe unito il nostro popolo.
"

Fonte:Come Don Chisciotte 

                                                                                                                                                    

venerdì 15 dicembre 2017

NEL NOME DEL DUCE

L'editoriale di Francesco Storace

NEL NOME DEL DUCE

Telecamere in un luogo sacro, senza nemmeno una parola ai congiunti. La protesta di Alessandra, il silenzio di chi dovrebbe parlare

NEL NOME DEL DUCE 
 
Vergogna Agorà, che profana la cripta di Predappio della famiglia Mussolini. Il clima fomentato da Fiano come da Boldrini spettacolarizza il dolore dai canali della Rai

Arrestateci, processateci, condannateci: ma stavolta scriviamo, protestiamo, ci arrabbiamo nel nome del Duce. Quello che è successo lunedì mattina ad Agora', trasmissione di Raitre che manteniamo noi con il canone, è semplicemente vergognoso. Nel Paese che fa fracasso per un volantino letto all'interno di un'associazione, passa quasi inosservata la necroincursione del cosiddetto servizio pubblico radiotelevisivo all'interno della cripta dove dovrebbero riposare in pace i Mussolini, a Predappio.
Ma è stata Alessandra Mussolini a rompere l'omertà denunciando la sera stessa con un video sui social la raccapricciante trovata di Raitre. E noi stiamo dalla sua parte, perché è inaccettabile assistere all'irruzione delle telecamere, senza nemmeno la delicatezza di avvisare i familiari, nella tomba dove è sepolto Benito Mussolini.
Noi ci siamo stati molte volte, e sempre in punta di piedi, il segno della croce, una firma sul registro visite e un saluto a simboleggiare pietà cristiana e rispetto. Invece, per il nuovo corso Rai, quello che è o dovrebbe essere un luogo sacro, diventa una specie di set per la fiction con cui spettacolarizzare questa specie ridicola di antifascismo di ritorno. I cavi attorno al marmo dove sono sepolti i Mussolini, sulle tombe operatori ripresi - ha notato Alessandra - con i gomiti "come se fossero appoggiati sul bancone del macellaio"; le luci da orientare; e perfino la lettura dei messaggi d'affetto che i visitatori tributano a chi e' salito in cielo.
E' violenza, eccome se è violenza.
Ma tutto questo è figlio di un clima che la sinistra esaspera e la Rai al suo servizio fomenta. In Parlamento - per fortuna solo alla Camera - e' stata approvata una proposta di legge il cui promotore, Emanuele Fiano, e' da indicare come il vero propagandista dell'odio. E madrina ne è Laura Boldrini.
Vorrei vederli, costoro, se una qualunque mattina mi presentassi io al Verano, davanti alla tomba di Togliatti, non con una telecamera di quelle costose della Rai, ma con un semplice iPhone di mia proprietà. Immortalare con immagini di vittime del comunismo il luogo dove e' sepolto quello che loro e non noi chiamavano il Migliore. Quante grida saremmo costretti ad ascoltare? Quanti latrati televisivi? Quanti piagnistei ipocriti sul vilipendio di cadavere?
Non e' piazzale Loreto - che non a caso nessuno di loro ancora si sente di additare come orrore e ludibrio - ma la cultura è la stessa. Mussolini deve essere colpito anche da morto. Solo in Italia può accadere roba del genere. E' pazzesco.
Se la sente il presidente della Repubblica di spendere una parola per questa storia davvero brutta? E il vertice Rai, presidente Maggioni e direttore Orfeo, due righe di scuse alla famiglia Mussolini le manderete?
Fiano sta zitto. Tace. Insieme alla compagna Laura. Forse si vergognano. Pensano che e' meglio sparire per 24 ore, sperando che passi la rabbia. Chi semina odio si illude che il tempo lenisca le ferite. Vi accorgerete da soli che non è così.

    Giornale d´Italia     
 

sabato 9 dicembre 2017

IL GRANDE SATANA

Come verificabile,questa mia riflessione su Trump e Gerusalemme capitale di israele è del 26 settembre 2016..non mi soddisfa il fatto che quanto previsto si stia verificando ma,per rendere più chiaro il tutto, rielaboro il testo adattandolo allo stato attuale delle cose..


http://www.atuttadestra.net/index.php/archives/319992


Concedere ad uno stato (per me e mezzo mondo “canaglia” vista la occupazione della Città Santa militarmente fin dal 1967) che gli Usa riconoscono Gerusalemme come capitale dello stato ebraico, è una arrogante certifificazione del fatto che le armi possono avere la meglio sul diritto internazionale.

Indiscutibile,visto che persino l’Onu (pecorella troppo spesso gregge degli americani) ha sempre condannato sia la occupazione manu militari sia la pretesa di Tel Aviv di farne la capitale ufficiale.

Peraltro mediante una politica attuata con persecuzione etnica ai danni degli arabi abitanti nel settore est fatta di rastrellamenti,arresti continui,espropri e creazione di quartieri ebraici nonché con centinaia di morti sparati a fronte di qualche vittima accoltellata per disperazione…

Personalmente ho sempre ritenuto che,chiunque sieda alla Casa Bianca, altro non possa essere che espressione terrena di quella entità malefica magistralmente definita da Khomeini come “il Grande Satana”…portatore di guerra nel mondo fin dalla sua fondazione e passando anche dalla ferocissima guerra civile interna.

Questo,per fermarsi soltanto alla interpretazione “terrena” del significato, vuol dire semplicemente che gli Stati Uniti hanno “dato” al mondo molti più guai e problemi di quanti vantaggi economici,politici e sociali abbiano ricavato per se stessi …

Interpretazione forzata la mia ? Sicuramente per molti sarà così..ma non per tutti.

Specie nel mondo “globalizzato” l’odio per gli “yankee” dilaga e, ad alimentarlo, non possono certo essere le mie sole opinioni…

Tralasciando tutto il corposissimo resto,ritorno alla promessa mantenuta di Trump…”Gerusalemme capitale di israele” …non credo proprio che,chiunque la abbia valutata, possa ritenerla attuabile se non con la forza delle armi…sioniste ed americane !!

L’Onu non conta nulla,a maggior ragione per Tel Aviv che ha pure le “atomiche abusive”, ma troppi stati e troppe popolazioni non potranno mai accettare un simile sfregio alla ragione ed al diritto internazionale..

Sono arcisicuro che il Grande Satana ha messo in moto un meccanismo che scatenerà un altro inferno da quelle parti (già pesantamente toccate)..si parte pertanto dalla sciagurata decisione di "Gerusalemme capitale di israele" ma,datemi retta,non si sa affatto dove si finirà !!

Speriamo non all'Inferno..

Grazie per l'attenzione
Vincenzo Mannello
 
                                                                                                                                     

lunedì 4 dicembre 2017

TARANTO. La memoria del Campo “S”


 Taranto. La memoria del Campo “S” dove gli inglesi reclusero militari e fascisti

“Il Campo “S” fu espressione della pura volontà di tarpare le ali a quegli uomini che erano pronti a volare di nuovo”: questa la sintesi della ricercatrice Dina Turco su uno dei luogo di detenzione in cui furono reclusi tanti prigionieri non collaboranti con gli occupanti angloamericani. L’incontro sul Campo “S” è stato condotto da Giampaolo Vietri, consigliere comunale di Taranto
L’Associazione Nuova Taranto ha tenuto un incontro per raccontare la storia del Campo di Sant’Andrea, il campo di concentramento di Taranto in cui alla fine del secondo conflitto mondiale furono trattenuti almeno 10.000 uomini in gran proveniente dai combattimenti in Grecia, in Africa Orientale e dalle formazioni della X° MAS. A relazionare sul campo di Sant’Andrea, denominato anche campo “S” o campo della fame, la dott.ssa Dina Turco la quale, oltre ad aver effettuato studi e ricerche, ha raccolto una gran quantità di materiale documentale esposto durante l’iniziativa. Attraverso giornali e corrispondenza dei comandi militari è stato, dunque, raccontato il campo “S” che, sotto il controllo britannico, ha visto il prolungamento della prigionia di quanti non avevano accettato il compromesso della cooperazione e che, per questo, subirono a guerra finita una carcerazione abusiva in condizioni di estrema indigenza.
Il ruolo della Chiesa
Vietri e la Turco
La Turco ha soprattutto evidenziato il ruolo della chiesa tarantina che immediatamente si allertò, grazie al diretto impegno del Monsignor Bernardi, all’epoca vescovo di Taranto, e del suo vicario Don Guglielmo Motolese, per realizzare una straordinaria opera caritatevole in favore dei prigionieri. Tutte le parrocchie della diocesi furono, infatti, impegnate nella raccolta di viveri ed indumenti destinati ai detenuti, materiale che veniva gettato all’interno dei reticolati in cui gli stessi erano stivati. I tarantini dimostrarono grande solidarietà anche quando il 10 aprile del 46 all’interno del campo vi fu la rivolta che fece saltare il controllo armato, dando il via all’esodo oltre il filo spinato. In città vecchia, presso le abitazioni private e le parrocchie, gli evasi trovarono accoglienza per essere rifocillati prima di essere aiutati ad uscire incolumi dalla città per tornare alle proprie terre. Alcuni, però, furono catturati e riaccompagnati al campo S per essere giudicati. Definitivamente smantellato un mese più tardi, restano visibili dello stesso, di fronte a quello che oggi è denominato quartiere Paolo VI, i basamenti in cemento delle dieci baracche che contenevano i reduci.
La principale ragione per cui questi ex combattenti restarono reclusi fu l’avvicinarsi del referendum del 2 giugno del 1946 e, dunque, la volontà del governo italiano di non rimettere in libertà, prima di quella data, quella massa di uomini determinati, per non compromettere il risultato del referendum. La storia del campo S rappresenta uno scorcio di storia sconosciuto in quanto è degli abusi, delle violenze e dei crimini che i vinti dovettero subire per la loro scelta di restare fedeli al fascismo dopo l’armistizio del 43′.