giovedì 19 ottobre 2017

28 OTTOBRE!

28 ottobre: o Roma o morte!

 

Il grigiore dell’Italia del ’22 squarciato dagli “spiriti romanamente tesi”. “Il Fascismo snuda la spada” nel proclama del Quadrumvirato
L’Italia langue nell’inefficienza, la politica è grigia e incolore. Nelle piccole cose, oltre che in quelle grandi. I mezzi di trasporto sono malandati e sempre in ritardo, gli ospedali malmessi, ovunque c’è disordine, la sporcizia invade le strade, la burocrazia è un male assoluto e irrisolvibile. La crisi economica attanaglia il Paese e il Governo è un malato terminale. Sembra una fotografia di oggi. E invece è uno scatto del 1922. In mezzo a questo grigiore, troneggia una sola figura: quella di Benito Mussolini. Per dirla con le parole di Montanelli: “Nel mare grigio del parlamentarismo italiano egli spiccava come una macchia di colore, che poteva respingere o attrarre, ma non lasciava mai indifferenti”.

Al governo c’è Luigi Facta, che lo stesso Montanelli definisce “il più scialbo e sbiadito dei giolittiani”, aggiungendo che “il suo governo aveva fatto tutto tranne che governare”.
Facta, che nel suo grigiore probabilmente ha compreso – o al quale qualcuno ha spiegato – che il Fascismo sta avanzando temerariamente, pensa bene di spingere Gabriele D’Annunzio a guidare una imponente marcia su Roma il 4 novembre. Mussolini capisce che non può più indugiare, dissuade il combattente poeta e preme sull’acceleratore: è giunto il momento di agire, il 28 ottobre le squadre occuperanno uffici pubblici, stazioni, punti nevralgici, strutture delle città principali; le camicie nere, guidate dai quadrumviri De Bono, Bianchi, De Vecchi e Balbo, prenderanno Roma. Il 24, invece, l’appuntamento è a Napoli: le vie della città sono invase da sessantamila camicie nere che marciano. Mussolini parla e scalda la folla. In serata, poi, programma il calendario dei giorni a venire: il 26 preallarme per le squadre, il 27 inizio della mobilitazione, a mezzanotte i poteri vanno trasferiti al quadrumvirato, il 28 l’occupazione. Poi la concentrazione a Tivoli, Monterotondo e Santa Marinella per marciare su Roma. Mussolini riparte per Milano, Bianchi deve chiudere il Consiglio, Grandi prova a discutere le decisioni prese ma nessuno lo considera.
Facta interpreta erroneamente la giornata napoletana: riferisce al Re che, secondo lui, Mussolini si prepara a governare e non certo a fare la rivoluzione. La notizia, che gli giunge il 26 ottobre, che i fascisti chiedono le sue dimissioni e sono pronti a marciare su Roma lo coglie come un fulmine a ciel sereno: del resto Luigi Facta non è certo una volpe, ma questo Vittorio Emanuele dovrebbe saperlo già da un pezzo. Nonostante la chiarezza del messaggio fascista, Facta resta convinto che l’intento di Mussolini sia quello di andare al governo insieme a lui, così convoca i ministri, che si dimettono. È solo dopo la mezzanotte che Facta comincia a capire che il rientro del Re è quantomeno consigliabile: gli telegrafa infatti nella notte. La sera successiva il sovrano torna a Roma e gli comunica che non ha alcuna intenzione di deliberare “sotto la pressione dei moschetti fascisti”. La descrizione che fa Montanelli delle ore successive merita di essere riportata testualmente: “(Facta) lo svegliarono nel cuore della notte buttandogli sul letto un fascio di telegrammi. Le colonne fasciste erano in marcia. Molti viaggiavano sui treni, dopo averli assaltati e fatto scendere i passeggeri; altri su camion, in bicicletta, a piedi”.
Il Consiglio dei Ministri si riunisce all’alba e determina lo stato d’assedio. Il Re, quando ne viene a conoscenza, va su tutte le furie: “queste decisioni spettano solo a me … dopo lo stato d’assedio non c’è che la guerra civile …”. Facta, in un attimo di lucidità, capisce che è giunto il momento di fare un passo indietro. Revoca così lo stato d’assedio e formalizza le dimissioni. Nessuno ha mai saputo le vere ragioni del repentino cambiamento di opinione del Re e di congetture, nel tempo, se ne sono fatte molte. Fatto sta che le consultazioni del Re, come d’uso, vengono avviate, ma la strada il sovrano la conosce già: è quella che porta Mussolini alla guida del Paese.

Il futuro Duce, intanto, a Milano trascorre la serata del 27 al Teatro Manzoni dove va in scena “Il Cigno” di Molnar. Non risponde a nessuno, incarica altri di ricevere i messaggi che giungono da Roma e ne chiede un riassunto rapido. Alle molte invocazioni di scendere nella Capitale con urgenza, Mussolini non risponde. Non si muove neppure quando è chiamato da Cittadini che per espresso incarico del Re è orientato verso la proposta di un governo Salandra-Mussolini.
Per chi conosce almeno un po’ la personalità del futuro Duce, è chiaro che una scelta che preveda compromessi non è neppure pensabile. Il suo pensiero lo scrive su Il Popolo d’Italia: “La vittoria non può essere mutilata da combinazioni dell’ultima ora”. A mezzogiorno del 29 arriva un telegramma: “S. M. il Re mi incarica di pregarla di recarsi più presto a Roma, desiderando darle l’incarico di formare il nuovo ministero”. C’è con lui Arnaldo, suo fratello: “«Se ci fuss ' a pà... Se ci fosse il babbo...» gli dice, abbracciandolo.
“Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”
Il viaggio di Benito Mussolini in treno diretto a Roma subisce numerose interruzioni: in ogni stazione ci sono fascisti che osannano il futuro Duce d’Italia. In camicia nera, Mussolini si presenta al Re: “Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”. Nella stessa giornata il primo Governo Mussolini è pronto: Oviglio, De Stefani, Giuriati, Carnazza, Rossi, Tangorra, Gavazzoni, De Capitani, Colonna di Cesarò, Federzoni, Gentile, Diaz e Thaon. È un governo di coalizione, composto di fascisti, nazionalisti, democratici, popolari, militari, indipendenti.
Il giorno successivo le camicie nere, raccolte a Monterotondo, Tivoli e Santa Marinella, entrano a Roma e sfilano per sei ore nelle strade della Capitale e sotto il Quirinale al grido di “o Roma o morte”. In realtà, la vera rivoluzione era già cominciata con la firma di Benito Mussolini che suggellava l’incarico datogli dal Re.
Il Popolo d’Italia del 29 ottobre 1922 titola: Lo Stato che noi auspichiamo va traducendosi in “fatto”. Nell’occhiello: “L’irresistibile vittoriosa riscossa fascista”. In taglio basso il proclama del Quadrumvirato: “Fascisti! Italiani! L’ora della battaglia decisiva è suonata. Quattro anni fa, l’Esercito nazionale scatenava questi giorni la suprema offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi, l’esercito delle Camicie Nere riafferra la Vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio” … “né contro gli agenti della forza pubblica marcia il Fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e di deficienti che in quattro lunghi anni non ha saputo dare un governo alla Nazione” … “Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei trasporti e dell’impiego, nulla hanno da temere dal potere fascista. I loro giusti diritti saranno lealmente tutelati” … Il Fascismo snuda la sua spada per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila Morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci raccoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza e alla grandezza della Patria. Fascisti di tutta Italia! Tendete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo”.


Nessun commento:

Posta un commento