sabato 28 ottobre 2017

LA PAURA DEL FASCISMO FA NOVANTA

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Una legge liberticida
La paura del Fascismo fa novanta!
 
Il 12 settembre 2017 la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge dell'On. Fiano del PD (che ora deve essere approvata dal Senato) che: "Punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni la propaganda del regime fascista e nazifascista".
Più precisamente punisce: "La propaganda di contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche mediante la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni che raffigurino persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti o ideologie" e la simbologia o la gestualità del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco".
Inoltre, la propaganda di cui sopra fatta "attraverso strumenti telematici o informatici" costituisce aggravante del delitto (con aumento di 1/3 della pena).
La motivazione sarebbe nel pericolo legato alla diffusione in Europa dei vari movimenti razzisti o xenofobi ma, in realtà, la cosiddetta democrazia italiana ha paura di confrontarsi con quella che è stata l'esperienza del Fascismo in Italia, che continua a demonizzare perché sa che nel raffronto con le leggi sociali emanate durante il Ventennio è tuttora perdente.
Ecco perché, dopo ben 72 anni dalla caduta del Fascismo, hanno deciso di approvare questa legge "liberticida", per la quale suggeriamo di cambiare l'art. 1 della nostra Costituzione e di farlo diventare: "L'Italia è una Repubblica liberticida fondata sul lavoro (quando c’è!).
 
 

mercoledì 25 ottobre 2017

MARCIA SU ROMA


Marcia su Roma

“O Roma o morte!” – 27 ottobre 1922

L’idea di marciare a Roma era già stata fatta circolare dai legionari fiumani, ma anche i Fascisti avevano simulato una “marcia” su Ravenna, alla guida di Italo Balbo. La decisione di marciare su Roma fu presa durante l’adunata di Napoli, il 24 ottobre 1922. Furono prescelti i comandanti delle varie colonne (Perrone Compagni, Bottai e Igliori, al comando rispettivamente di 4000, 8000 e 2000 Fascisti, provenienti da Civitavecchia, Tivoli e Monterotondo), e al termine della parata per le vie della città Mussolini proclamò: “O ci daranno il governo o lo prenderemo, calando su Roma”.
Il 27 ottobre il governo Facta dà le dimissioni, mentre i Fascisti cominciano la marcia di avvicinamento. Durante la marcia si impadroniscono senza resistenza di uffici postali e telegrafici, di grande utilità per i collegamenti delle varie colonne. Anche le stazioni ferroviarie furono occupate, permettendo ai Fascisti di “marciare” in treno fino all’interruzione delle linee.
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, Facta chiese al Re di firmare lo stato d’assedio, in modo da far intervenire il Regio Esercito, ma ottenne un rifiuto. Infatti, Vittorio Emanuele III diede ascolto ai consigli di Federzoni, noto nazionalista, e al generale Armando Diaz, che proponevano un accordo con Mussolini.
Mussolini era rimasto a Milano per attendere lo sviluppo degli eventi, e nella notte raggiunse Roma in un vagone letto. Il 28 ottobre si presentò al Sovrano che gli diede incarico di formare il governo.
Il governo fu formato il 30 ottobre 1922, mentre le squadre marciavano per la città. Il Governo era composto da una coalizione di Fascisti, nazionalisti, popolari, democratico-sociali nittiani, giolittiani, salandrini, indipendenti filofascisti. Non era un vero e proprio governo di coalizione, in quanto Mussolini non aveva consultato i gruppi parlamentari, ma si era rivolto direttamente ai singoli. Il Duce, oltre che essere Capo del Governo, assunse ad interim i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Ai fascisti andarono i ministeri di Giustizia, Affari di Culto, Finanze, Tesoro, Assistenza e Pensioni, Terre Liberate. Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio fu nominato Acerbo, l’estensore della legge elettorale del 1924.
La Camera votò la fiducia con 306 voti favorevoli, 116 contrari e 7 astenuti.


                                                                                                                                                 

domenica 22 ottobre 2017

I DUE VOLTI DEL LIBERISMO

I due volti del Liberalismo

Qualche tempo fa ci siamo occupati di un articolo apparso sulla  rivista online “Il Dubbio” che attribuiva a Julius Evola la natura di vero e proprio “libertario”, un’indole che sarebbe stata nascosta sotto l’etichtta di “fascista” e “reazionario”, notoriamente affibiatagli. Oltre che a rinviare a quanto da noi osservato al riguardo nell’apposito editoriale, ed oltre che a rimandare agli approfondimenti contenuti nel capitolo III (“Personalità – libertà – gerarchia”) de “Gli Uomini e le Rovine” , riproponiamo quest’articolo dove sinteticamente, ma in modo decisamente chiaro, Evola precisava determinate posizioni in materia di libertà, liberalismo e dintorni.
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di Julius Evola
(tratto da Il Borghese, n. 41, Roma, 10 ottobre 1968)
Una coalizione delle forze di Destra, se già da tempo in Italia sarebbe stata auspicabile, al giorno d’oggi, dato il crescente deteriorarsi della situazione interna, dovrebbe presentarsi come una esigenza imprescindibile a chiunque abbia un senso di responsabilità politica e morale. L’unità nei termini di un movimento nazionale complessivo, che dovrebbe cercare di guadagnare gradatamente a sé strati sempre più ampi della popolazione, sarebbe la prospettiva migliore. Ma vi è da considerare anche l’intesa di quei partiti politici che oggi vengono genericamente chiamati di Destra, per il peso che avrebbe una loro coalizione anche semplicemente tattica, ma ben concertata, nella lotta politica da svolgere nel quadro democratico parlamentare.
Gli ostacoli che, tuttavia, incontra ancora questa stessa unità semplicemente tattica e pragmatica non possono che accusare la prevalenza di interessi particolari, spesso anche personali, e di punti di vista assai ristretti, rispetto ad un più alto, impersonale, comune interesse. Qui non considereremo questo aspetto strettamente politico del problema. Vorremmo invece intraprendere una breve analisi dal punto di vista dottrinale. Anche se essa allo stato presente delle cose potrà apparire inattuale e soltanto accademica, pure non mancherà forse di presentare un certo interesse per una discussione delle idee e per un orientamento.
Ci proponiamo, cioè, di vedere quali elementi validi potrebbero essere raccolti da ciascuno dei partiti che oggi sono indicati come di Destra, epperò quale sarebbe il contributo che essi ideologicamente, in via di principio, potrebbero dare alla definizione e alla costruzione di un vero Stato, di uno Stato di Destra.
I partiti che entrano in questione sono quello Liberale, quello di Unità Monarchica e il Movimento Sociale Italiano. Non esiste, in Italia, un partito conservatore (un tale carattere non lo si può di certo riconoscere alla DC, il cui scialbo tradizionalismo borghese clericaleggiante sta ormai dando luogo ad una decisa apertura alle forze di sinistra). Del resto, nell’Italia vi sarebbe ben poco da «conservare». A prescindere dal periodo fascista, resterebbe quel periodo post-risorgimentale nel quale la cosiddetta Destra storica fu ben lungi dal rappresentare qualcosa di paragonabile, come significato, a ciò che sono stati i partiti conservatori, soprattutto nell’Europa centrale, in parte anche in Inghilterra.
Cominceremo con l’esame del liberalismo. Ha qualcosa di sintomatico e quasi di umoristico il fatto che esso oggi da noi si presenti come un partito di Destra, mentre nel precedente periodo gli uomini di Destra videro in esso la bestia nera, una forza sovvertitrice e disgregatrice proprio come attualmente vengono considerati (anche dagli stessi liberali) il marxismo e il comunismo. In effetti, a partire dal ’48, il liberalismo, il nazionalismo rivoluzionario e l’ideologia massonica antitradizionale appaiono, in Europa, strettamente collegati, ed è sempre interessante sfogliare le antiche annate di Civiltà Cattolica per vedere come ci si esprimeva nei riguardi del liberalismo di quel tempo.
House of Commons britannica, dove l’opposizione svolgeva tradizionalmente un ruolo di reale partecipazione organica (la cd. “His Majesty’s most loyal opposition”)
Ma noi lasceremo da parte questa congiuntura per dare un breve cenno, necessario ai nostri fini, sulle origini del liberalismo. È noto che tali  origini vanno cercate in Inghilterra, e può dirsi che i precedenti del liberalismo furono feudali e aristocratici: ci si deve riferire ad una nobiltà locale gelosa dei suoi privilegi e delle sue libertà la quale, facendo corpo nel Parlamento, intese difendersi da ogni abuso della Corona. In seguito, parallelamente all’avanzata della borghesia, il liberalismo si rflesse nell’ala whig del Parlamento opponendosi ai conservatori, ai Tories. Ma è da rilevare che fino a ieri il partito svolse la funzione di una «opposizione organica», fermo restando il lealismo allo Stato, tanto che si poté parlare della His Majesty’s most loyal opposition (la lealissima opposizione di Sua Maestà). L’opposizione esercitava nel sistema bipartitico una semplice funzione di freno e di controllo.
Il fattore ideologico di sinistra non penetrò nel liberalismo che in un periodo relativamente recente, e non senza relazione con la prima rivoluzione spagnola, tanto è vero che la designazione originaria dei liberali fu quella spagnola, ossia liberales (e non liberals, come in inglese). Ed è qui che comincia la flessione. È da tener per fermo che il primo liberalismo inglese ebbe un carattere aristocratico: fu un liberalismo del gentleman, epperò un liberalismo di classe. Non si pensò a libertà che ognuno potesse rivendicare. Sussiste tuttora in Inghilterra questo aspetto sano e, in fondo, apolitico del liberalismo: il liberalismo non come una ideologia politico-sociale ma come l’esigenza che, a prescindere dalla particolare forma del regime politico, il singolo possa godere di un massimo di libertà, che la sfera della sua privacy, della sua vita personale privata, sia rispettata e venga evitata l’intromissione di un potere estraneo e collettivo. In via di principio, questo è un aspetto accettabile e positivo del liberalismo, che dovrebbe distinguerlo dalla democrazia, poiché nella democrazia il momento sociale e collettivizzante predomina su quello della libertà individuale.
la rivoluzione francese e l’illuminismo hanno contribuito in modo decisivo alla definita degenerazione dell’antico liberalismo aristocratico in mero individualismo atomistico
Ma qui si ha anche il punto di svolta, perché un liberalismo generalizzato e indiscriminato, assumendo vesti ideologiche, si fuse, sul continente europeo, col movimento illuminista e razionalista. Qui venne in primo piano il mito dell’uomo che, per essere libero e veramente sé stesso, deve disconoscere e respingere ogni forma di autorità, deve seguire soltanto la sua ragione, non deve ammettere altri vincoli oltre quelli estrinseci, da ridurre ad un  minimo, senza i quali nessuna vita consociata sarebbe possibile. In questi termini il liberalismo divenne sinonimo di rivoluzione e di individualismo (ancora un passo avanti, e si giunge all’idea anarchica). L’elemento primario è visto nell’individuo, nel singolo. E qui vengono introdotte due pesanti ipoteche nel segno di ciò che Croce doveva denominare la «religione della libertà» ma che noi piuttosto chiameremmo il feticismo della libertà.
La prima ipoteca è che l’individuo sia ormai «evoluto e cosciente», quindi capace di riconoscere da sé o di creare ogni valore. La seconda e che dall’insieme dei singoli individui lasciati allo stato libero (laissez faire, laissez aller) possa sorgere miracolisticamente un ordine saldo e stabile: per il che, bisognerebbe però ricorrere alla concezione teologica di Leibniz della cosiddetta «armonia prestabilita» (dalla Provvidenza), tale che, per usare un paragone, benché le rotelle dell’orologio vadano ognuna per conto suo, pure l’orologio funzioni e segni sempre l’ora esatta. In sede economica, dal liberalismo deriva il «liberismo», che si può chiamare l’applicazione dell’individualismo nel campo economico-produttivo, afietto da una uguale utopia ottimistica circa un ordine che nasca da sé e sia tale da tutelare veramente la conclamata libertà (dove vada a finire la libertà del più debole, in regime di una sfrenata e piratesca concorrenza, lo si sa bene). Ma lo spettacolo offerto dal mondo moderno mostra quanto siano arbitrario l’una e l’altra assunzione.
A questo punto si può venire ad alcune conclusioni. Il liberalismo ideologico, nei termini or ora accennati, è evidentemente incompatibile con l’ideale di un vero Stato della Destra. Non può essere accettata la premessa né la fondamentale insofferenza per ogni superiore principio di autorità. La concezione individualistica ha un carattere inorganico; la presunta rivendicazione della dignità del singolo si risolve, in fondo, in una menomazione di essa per via di una premessa ugualitaria e livellatrice. Così nei tempi più recenti il liberalismo non ha avuto nulla da ridire circa il regime del suffragio universale della democrazia assoluta, dove la parità di qualsiasi voto, riducente la persona ad un semplice numero, è una grave offesa all’individuo nel suo aspetto personale e differenziato.  Poi, in fatto di libertà, si trascura l’essenziale distinzione fra la libertà da qualcosa e la libertà per qualcosa (ossia per fare qualcosa). Ha poco senso essere tanto gelosi della prima libertà, della libertà esterna, quando non si sanno indicare ideali e fini politici superiori in funzione dei quali l’uso di essa acquisti un vero significato. La concezione di base di un vero Stato, di uno Stato di Destra, è «organica», non individualistica.
Ma se il liberalismo, rifacendosi alla sua tradizione pre-ideologica e pre-illuminata, si limitasse a propugnare la massima libertà possibile della sfera individuale privata, a combattere ogni abusiva o non necessaria intromissione in essa di poteri pubblici e societari, se esso servisse da remota alle tendenze «totalitarie» in senso negativo e oppressivo, se difendesse il principio di libertà parziali (ma esso dovrebbe difendere anche l’idea di corpi intermedi, dotati appunto di parziali autonomie, fra vertice e base dello Stato, il che lo condurrebbe verso un corporativismo), se fosse disposto a riconoscere uno Stato omnia potens ma non omnia facens (W. Heinrich) ossia esercitante una superiore autorità senza intromettersi dappertutto, il contributo «liberale» sarebbe senz’altro positivo.
Il caos della frammentazione partitocratica, esatto contrario dell’unità gerarchica dello Stato organico
Specie data la situazione attuale italiana, potrebbe essere anche positiva la separazione, propugnata dal liberalismo ideologico, della sfera politica da quella ecclesiastica, sempreché ciò non implichi la laicizzazione materialistica della prima. Qui s’incontrerebbe però, verosimilmente, un ostacolo difficile da superare, perché il liberalismo ha una fobia per tutto ciò che può assicurare all’autorità statale un fondamento superiore e spirituale e professa un feticismo per il cosiddetto «Stato di diritto»: uno Stato, cioè, della legalità astratta, quasi che la legalità esistesse fuori dalla storia, e diritto e costituzione cadessero belli e fatti dal cielo, con carattere di irrevocabilità.
Lo spettacolo della situazione a cui ha condotto la partitocrazia in regime di masse e di demagogia, dovrebbe poi far riflettere sull’antica tesi liberale (e democratica), che il pluralismo disordinato dei partiti garantisca la libertà. E in quanto alla libertà rivendicata ad ogni costo su altri piani, ad esempio su quello della cultura, oggi varie precisazioni sarebbero opportune, se non si vuole che tutto vada definitivamente e velocemente alla deriva. Si vede bene di che cosa l’uomo moderno, divenuto finalmente «adulto e cosciente» (secondo il liberalismo e la democrazia progressista) si è reso capace nei tempi ultimi con la sua «libertà», che spesso è stata quella di produrre sistematicamente bacilli ideologici e culturali che stanno portando alla dissoluzione un’intera civiltà.
Ma a tale riguardo il discorso sarebbe lungo e porterebbe fuori dal quadro del nostro esame. Supponiamo che con queste note, sia pure in modo estremamente sommario, ciò che di positivo e ciò che di negativo può presentare il liberalismo dal punto di vista della Destra, sia stato messo in evidenza.

                                                                                                                                    

giovedì 19 ottobre 2017

28 OTTOBRE!

28 ottobre: o Roma o morte!

 

Il grigiore dell’Italia del ’22 squarciato dagli “spiriti romanamente tesi”. “Il Fascismo snuda la spada” nel proclama del Quadrumvirato
L’Italia langue nell’inefficienza, la politica è grigia e incolore. Nelle piccole cose, oltre che in quelle grandi. I mezzi di trasporto sono malandati e sempre in ritardo, gli ospedali malmessi, ovunque c’è disordine, la sporcizia invade le strade, la burocrazia è un male assoluto e irrisolvibile. La crisi economica attanaglia il Paese e il Governo è un malato terminale. Sembra una fotografia di oggi. E invece è uno scatto del 1922. In mezzo a questo grigiore, troneggia una sola figura: quella di Benito Mussolini. Per dirla con le parole di Montanelli: “Nel mare grigio del parlamentarismo italiano egli spiccava come una macchia di colore, che poteva respingere o attrarre, ma non lasciava mai indifferenti”.

Al governo c’è Luigi Facta, che lo stesso Montanelli definisce “il più scialbo e sbiadito dei giolittiani”, aggiungendo che “il suo governo aveva fatto tutto tranne che governare”.
Facta, che nel suo grigiore probabilmente ha compreso – o al quale qualcuno ha spiegato – che il Fascismo sta avanzando temerariamente, pensa bene di spingere Gabriele D’Annunzio a guidare una imponente marcia su Roma il 4 novembre. Mussolini capisce che non può più indugiare, dissuade il combattente poeta e preme sull’acceleratore: è giunto il momento di agire, il 28 ottobre le squadre occuperanno uffici pubblici, stazioni, punti nevralgici, strutture delle città principali; le camicie nere, guidate dai quadrumviri De Bono, Bianchi, De Vecchi e Balbo, prenderanno Roma. Il 24, invece, l’appuntamento è a Napoli: le vie della città sono invase da sessantamila camicie nere che marciano. Mussolini parla e scalda la folla. In serata, poi, programma il calendario dei giorni a venire: il 26 preallarme per le squadre, il 27 inizio della mobilitazione, a mezzanotte i poteri vanno trasferiti al quadrumvirato, il 28 l’occupazione. Poi la concentrazione a Tivoli, Monterotondo e Santa Marinella per marciare su Roma. Mussolini riparte per Milano, Bianchi deve chiudere il Consiglio, Grandi prova a discutere le decisioni prese ma nessuno lo considera.
Facta interpreta erroneamente la giornata napoletana: riferisce al Re che, secondo lui, Mussolini si prepara a governare e non certo a fare la rivoluzione. La notizia, che gli giunge il 26 ottobre, che i fascisti chiedono le sue dimissioni e sono pronti a marciare su Roma lo coglie come un fulmine a ciel sereno: del resto Luigi Facta non è certo una volpe, ma questo Vittorio Emanuele dovrebbe saperlo già da un pezzo. Nonostante la chiarezza del messaggio fascista, Facta resta convinto che l’intento di Mussolini sia quello di andare al governo insieme a lui, così convoca i ministri, che si dimettono. È solo dopo la mezzanotte che Facta comincia a capire che il rientro del Re è quantomeno consigliabile: gli telegrafa infatti nella notte. La sera successiva il sovrano torna a Roma e gli comunica che non ha alcuna intenzione di deliberare “sotto la pressione dei moschetti fascisti”. La descrizione che fa Montanelli delle ore successive merita di essere riportata testualmente: “(Facta) lo svegliarono nel cuore della notte buttandogli sul letto un fascio di telegrammi. Le colonne fasciste erano in marcia. Molti viaggiavano sui treni, dopo averli assaltati e fatto scendere i passeggeri; altri su camion, in bicicletta, a piedi”.
Il Consiglio dei Ministri si riunisce all’alba e determina lo stato d’assedio. Il Re, quando ne viene a conoscenza, va su tutte le furie: “queste decisioni spettano solo a me … dopo lo stato d’assedio non c’è che la guerra civile …”. Facta, in un attimo di lucidità, capisce che è giunto il momento di fare un passo indietro. Revoca così lo stato d’assedio e formalizza le dimissioni. Nessuno ha mai saputo le vere ragioni del repentino cambiamento di opinione del Re e di congetture, nel tempo, se ne sono fatte molte. Fatto sta che le consultazioni del Re, come d’uso, vengono avviate, ma la strada il sovrano la conosce già: è quella che porta Mussolini alla guida del Paese.

Il futuro Duce, intanto, a Milano trascorre la serata del 27 al Teatro Manzoni dove va in scena “Il Cigno” di Molnar. Non risponde a nessuno, incarica altri di ricevere i messaggi che giungono da Roma e ne chiede un riassunto rapido. Alle molte invocazioni di scendere nella Capitale con urgenza, Mussolini non risponde. Non si muove neppure quando è chiamato da Cittadini che per espresso incarico del Re è orientato verso la proposta di un governo Salandra-Mussolini.
Per chi conosce almeno un po’ la personalità del futuro Duce, è chiaro che una scelta che preveda compromessi non è neppure pensabile. Il suo pensiero lo scrive su Il Popolo d’Italia: “La vittoria non può essere mutilata da combinazioni dell’ultima ora”. A mezzogiorno del 29 arriva un telegramma: “S. M. il Re mi incarica di pregarla di recarsi più presto a Roma, desiderando darle l’incarico di formare il nuovo ministero”. C’è con lui Arnaldo, suo fratello: “«Se ci fuss ' a pà... Se ci fosse il babbo...» gli dice, abbracciandolo.
“Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”
Il viaggio di Benito Mussolini in treno diretto a Roma subisce numerose interruzioni: in ogni stazione ci sono fascisti che osannano il futuro Duce d’Italia. In camicia nera, Mussolini si presenta al Re: “Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”. Nella stessa giornata il primo Governo Mussolini è pronto: Oviglio, De Stefani, Giuriati, Carnazza, Rossi, Tangorra, Gavazzoni, De Capitani, Colonna di Cesarò, Federzoni, Gentile, Diaz e Thaon. È un governo di coalizione, composto di fascisti, nazionalisti, democratici, popolari, militari, indipendenti.
Il giorno successivo le camicie nere, raccolte a Monterotondo, Tivoli e Santa Marinella, entrano a Roma e sfilano per sei ore nelle strade della Capitale e sotto il Quirinale al grido di “o Roma o morte”. In realtà, la vera rivoluzione era già cominciata con la firma di Benito Mussolini che suggellava l’incarico datogli dal Re.
Il Popolo d’Italia del 29 ottobre 1922 titola: Lo Stato che noi auspichiamo va traducendosi in “fatto”. Nell’occhiello: “L’irresistibile vittoriosa riscossa fascista”. In taglio basso il proclama del Quadrumvirato: “Fascisti! Italiani! L’ora della battaglia decisiva è suonata. Quattro anni fa, l’Esercito nazionale scatenava questi giorni la suprema offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi, l’esercito delle Camicie Nere riafferra la Vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio” … “né contro gli agenti della forza pubblica marcia il Fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e di deficienti che in quattro lunghi anni non ha saputo dare un governo alla Nazione” … “Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei trasporti e dell’impiego, nulla hanno da temere dal potere fascista. I loro giusti diritti saranno lealmente tutelati” … Il Fascismo snuda la sua spada per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila Morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci raccoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza e alla grandezza della Patria. Fascisti di tutta Italia! Tendete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo”.


domenica 15 ottobre 2017

CRIMINALE COMUNISTA : Cesare Battisti

CRIMINALE COMUNISTA : Cesare Battisti

Nato a Cisterna di Latina il 18 dicembre 1954, comunista e assassino, criminale e rivoluzionario, questo personaggio già militante del gruppo “Proletari armati per il comunismo”, è responsabile della morte di ben quattro persone durante il periodo cosiddetto degli “anni di piombo” (fine anni sessanta e inizio anni ottanta).
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Il suo modus operandi è sempre stato quello di protagonista della lotta armata e del terrorismo, attraverso cui ha versato il sangue di molte vittime innocenti.
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Dopo essere stato condannato in contumacia all’ergastolo dalla Giustizia italiana, Cesare Battisti è scappato, dandosi alla latitanza e rifugiandosi prima in Messico, poi in Francia, poi in Brasile.
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La compiacenza di politici sinistroidi come Mitterand (ex Presidente francese), e di comunisti come Lula Da Siva (ex Presidente del Brasile) hanno protetto questo professionista del crimine dalle richieste di estradizione della Giustizia italiana.
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La "legge Mitterand" gli permise di diventare impunemente uno scrittore di romanzi noir, nonostante avesse la mani sporche del sangue di ben quattro vittime innocenti.
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Fin da ragazzo Battisti è stato protagonista di episodi delittuosi, come atti di teppismo e di piccola delinquenza, per passare poi nel 1972 ad una prima rapina.
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In seguito fu arrestato per un’altra rapina con sequestro di persona, ma non scontò la pena.
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A vent’anni di età venne denunciato per aver condotto con sé in albergo due minorenni, una di 16 e l’altra di 13 anni, ma anche in questo caso non fu condannato.
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La fede nel comunismo e le solide radicalizzazioni ideologiche di stampo marxista sono sempre stati il suo punto di forza nell’applicare al suo modus oprandi un modello sanguinario e feroce, in dispregio totale della vita umana.
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Battisti partecipò alle azioni più violente dei PAC (Proletari armati per il comunismo) compiendo rapine a banche e a supermercati.
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Successivamente commise alcuni omicidi di commercianti e di appartenenti alle forze dell’ordine.
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Nel 1979 uccise infatti il gioielliere Pierluigi Torregiani e fu condannato inizialmente a 13 anni e 5 mesi.
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Nel 1981 evase di prigione e si rifugiò in Francia.
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Nel 1985 fu condannato all’ergastolo in contumacia (sentenza confermata nel 1991) perché responsabile di 4 omicidi e di vari altri reati.
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Venne nuovamente condannato all’ergastolo nel 1988 (sentenza confermata dalla Cassazione nel 1993) per omicidio plurimo, oltre che per i reati di banda armata, rapina e detenzione di armi.
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Ecco l'elenco dei crimini commessi da questo terrorista comunista :
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6 giugno 1978, a Udine.
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Antonio Santoro
Omicidio di Antonio Santoro, maresciallo della Polizia penitenziaria di Udine.
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Il sottufficiale venne aggredito mentre all’uscita da casa sua si recava al lavoro, alle sette del mattino.
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Un terrorista comunista lo aspettava, fingendo di intrattenersi con la propria ragazza, evidentemente una complice criminale, e lo raggiunse colpendolo alle spalle, vigliaccamente., con tre colpi di arma da fuoco (revolver Glisenti 10.20).
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La delirante motivazione si riscontra nelle dichiarazioni dei PAC, espresse attraverso un volantino intitolato  Contro i lager di Stato”, in cui si affermava che l’Istituzione carceraria andava distrutta perché «ha una funzione di annientamento del proletariato prigioniero» e di «strumento di repressione e tortura».
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La sentenza di condanna emessa dal Tribunale indica Battisti come esecutore materiale, per aver sparato personalmente i tre colpi di revolver, e riconosce la sua finta fidanzata Enrica Migliorati, insieme a Claudio Lavazza e Pietro Mutti (reo confesso), come complici, perché rimasti in attesa sull’auto parcheggiata poco distante e usata per la fuga.
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Fu proprio Pietro Mutti, dichiarandosi pentito, che accusò Cesare Battisti.
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Inoltre sono stati condannati anche Arrigo Cavallina e Sebastiano Masala (rei confessi) concorrenti nell’omicidio con Luigi Bergamin, in quanto tutti organizzatori del delitto e gestori della fase rivendicativa presso gli organi di stampa.
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16 febbraio 1978, a Milano
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Omicidio di Pierluigi Torregiani, gioielliere.
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Alberto Torregiani
Battisti era occupato con l'omicidio Sabbadin, ma fu condannato per questo atto criminoso come co-ideatore e co-organizzatore.
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Il commando comunista attese Torregiani davanti al suo negozio e nel conflitto a fuoco che ne derivò rimasero colpiti sia il gioielliere (mortalmente ) che il figlio Alberto, che venne ferito gravemente e rimase paralizzato a vita. .
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Pierluigi Torregiani lasciò moglie e tre figli.
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Il criminale e vigliacco attacco comunista fu rivendicato alcuni giorni dopo dai PAC, i Proletari Armati per il Comunismo.
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Insieme a Battisti, vennero condannati come autori materiali :
Sebastiano Masala (reo confesso), Gabriele Grimaldi, Giuseppe Memeo, Sante Fatone
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Fatone fu catturato nel 1984 dopo una latitanza che durava dal 1979, e arrestato dopo uno scontro a fuoco con i Carabinieri, dopo essere stato fermato a un posto di blocco mentre stava cercando di raggiungere la Francia.
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In seguito Sante Fatone divenne "collaboratore di giustizia".
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Nel volantino di rivendicazione per gli assassinii di Torregiani e di Sabbadin i terroristi comunisti scrissero arrogantemente  e dispregiativamente che “era stata posta fine alla loro squallida esistenza”.
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Sia Torregiani che Sabbadin avevano già subìto rapine e nel difendersi avevano provocato la morte dei rispettivi rapinatori.
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Per questo i PAC li definirono come “bottegai poliziotti che operano per la ripresa del comando capitalistico, attraverso la pratica di forme di violenza antiproletaria”, e li condannarono a morte.
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16 febbraio 1979, a Santa Maria di Sala (Venezia)

Lino Sabbadin
Omicidio di Lino Sabbadin, commerciante, titolare di negozio di macelleria.
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Due giovani entrarono nel suo negozio a Santa Maria di Sala poco dopo le 18, e dopo aver accertato l’identità di Sabbadin uno dei due terroristi gli sparò quattro colpi con una pistola calibro 7,65.
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Furono condannati :
Cesare Battisti , Diego Giacomini (reo confesso e autore materiale dell’omicidio), e Paola Filippi (che attendeva i complici in auto, per fuggire insieme dopo il delitto.)
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Il Giudice di Milano Pietro Forno ipotizzò il coinvolgimento di Sebastiano Masala, già coinvolto nella stessa giornata nell’uccisione di Torregiani (reo confesso), e lo condannò in quanto “ufficiale di collegamento” nella gestione contestuale dei due omicidi.
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19 aprile 1979, a Milano
Andrea Campagna
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Omicidio di Andrea Campagna, venticinquenne agente di Pubblica Sicurezza, in servizio presso la Digos milanese.
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Nacque a S. Andrea Apostolo dello Ionio il 18 agosto 1954.
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Al termine del suo turno di servizio fu avvicinato da uno sconosciuto in via Modica, mentre si accingeva a salire sulla propria autovettura.
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Il commando comunista lo colpì con ben cinque colpi di pistola calibro 357 magnum, che lo raggiunsero al torace, in corrispondenza del cuore.
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Anche questo omicidio fu rivendicato dai PAC.
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Oltre a Cesare Battisti furono arrestati e condannati all’ergastolo : Claudio Lavazza, Paola Filippi, Luigi Bergamin, Gabriele Grimaldi.
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Nella rivendicazione i PAC definirono Campagna come “torturatore di proletari”, anche se in realtà l’agente svolgeva presso la DIGOS solo le mansioni di autista.
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La pericolosità sociale, la ferocia, e il dispregio per le Istituzioni, costituivano l’elemento comune e identificativo dei componenti dei PAC, che arrivarono anche ad assalire il carcere di Frosinone in cui era rinchiuso Cesare Battisti da due anni.
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Infatti nell’ottobre del 1981 Battisti fu liberato da un commando armato che fece irruzione nella struttura di sicurezza, riacquistando quella libertà da latitante di cui gode ancora oggi.
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Nel commando era presente anche una donna, che si rivelò poi essere la fidanzata di Battisti .
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Gli intellettuali della sinistra che si rifanno all’ideologia marxista, continuano intanto il loro lavoro decennale di professionisti della disinformazione, ventilando ipotesi di soluzioni politiche e non punitive per Battisti, come se non si trattasse di un volgare criminale comunista, sporco del sangue delle sue vittime, ma di un “esule” politico da tutelare.
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Nel 1997 l’Associazione “XXI° secolo” ha chiesto all’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di emanare un provvedimento di indulto o di amnistia che riguardasse, appunto, gli esuli politici.
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Una subdola manovra, in perfetto stile comunista, già vista nel passato della Repubblica, come nel caso dei provvedimenti di “grazia” concessi da Presidenti italiani a criminali comunisti.
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Alcuni nomi ?
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SANDRO PERTINI , graziò i seguenti criminali comunisti (1978) :
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GIULIO PAGGIO (Assassino comunista della famigerata “volante rossa”).
9 omicidi, associazione a delinquere, detenzione di armi, sequestro di persona.
ERGASTOLO   -  graziato
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MARIO TOFFANIN (Assassino partigiano comunista della brigata “Osoppo”).

Assassino delle “Foibe”, omicidio continuato e aggravato, sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione
ERGASTOLO - graziato

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FIORA MARIA PIRRI ARDIZZONE (“Pasionaria” comunista di “Prima Linea”)
Associazione sovversiva, attentato all’Università della Calabria, detenzione di armi.
Condannata a 9 anni e 8 mesi - Ne sconterà solo 7 grazie a Pertini che lo ha graziato.
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OSCAR LUIGI SCALFARO , graziò i seguenti criminali comunisti (1994) :
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BASCHIERI PAOLO (Brigate rosse).
Sequestro del Giudice Giovanni d’Urso.
16 anni di reclusione - graziato
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PANIZZARI GIORGIO (Brigate rosse - Nuclei Armati proletari).
Omicidio plurimo e rapina, sequestro.
ERGASTOLO - graziato dopo 26 anni.
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CERICA CLAUDIO (Brigate rosse - Autonomia Operaia).
Banda armata, associazione sovversiva, eversione.
Graziato
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GIOMMI CARLO (Brigate rosse).
Concorso in fatti di sangue.
ERGASTOLO - graziato
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MATURI PAOLA  (Brigate rosse).
Concorso in fatti di sangue, rapimento.
22 anni di reclusione - graziata
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VENTURA MARINELLA  (Brigate rosse).
Fiancheggiatrice in fatti di sangue  -  graziata
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VILLIMBURGO MANUELA (Brigate rosse)
Condannata nell'ambito del processo "Moro bis"-  graziata
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CARLO AZEGLIO CIAMPI , graziò i seguenti criminali comunisti (1999) :

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DOMENICO PITTELLA (Brigate rosse).
Associazione sovversiva, banda armata, "Moro ter".
Graziato  -  (grazia parziale di un terzo della pena)
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GIORGIO NAPOLITANO, graziò i seguenti criminali comunisti :
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OVIDIO BOMPRESSI (Lotta Continua).
Omicidio.
22 anni di reclusione  -  Graziato

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GIUSEPPE SARAGAT , graziò i seguenti criminali comunisti :
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FRANCESCO MORANINO (Assassino partigiano comunista).
Strage, omicidio plurimo continuato e aggravato, occultamento di cadavere.
ERGASTOLO  -  Graziato 


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Dopo questi esempi, e dopo che in tempi recenti alcuni pseudo intellettuali della sinistra hanno invitato il brigatista assassino e comunista Renato Curcio a tenere un discorso all’Università, non mi meraviglierei se a Battisti fosse data una patente di “verginità” in virtù della quale il criminale comunista potrebbe essere considerato alla stregua dei suoi predecessori “graziati” dai vari Presidenti.
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Una vergogna tutta all’italiana, frutto della disinformazione comunista o post tale, dell’inciucio politico e del dispregio verso le vittime del male comunista che ancora oggi continua a falsare la realtà.
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Cesare Battisti, così come gli elemti criminali sopra descritti e graziati, non sono altro che feccia dell’umanità, a prescindere dal fatto che abbiano goduto, non si sa perché, della benevolenza dei capi di Stato italiani …
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Chissà ... forse anche loro (i Presidenti) hanno rigurgiti intellettuali legati al pensiero di Marx ...
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Dissenso
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giovedì 12 ottobre 2017

I NUOVI KULAKI

 dall' avvocato Edoardo Longo.

I NUOVI KULAKI


Mentre i mentecatti scioperano per lo ius soli,  il paese è sempre più alla deriva. Non c’è bisogno di scioperare per farsi venir fame…. Ci sono milioni di Italiani che fanno già la fame …
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Le famiglie che vivono grazie ad un reddito da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà . Nel 2015, infatti, il 25,8 per cento dei nuclei familiari di questa categoria è riuscita a vivere stentatamente al di sotto della soglia di rischio povertà calcolata dall’Istat.

Praticamente una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica.

Per i nuclei in cui il capofamiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio si è attestato al 21 per cento, mentre per quelle che vivono con un stipendio/salario da lavoro dipendente il tasso si è fermato al 15,5 per cento

In buona sostanza, i dati presentati dall’Ufficio studi della CGIA ci dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva:ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad risalire la china, visto che di “ Ripresa” non si può parlare, quando il ceto medio produttore di reddito è alla fame…..

“A differenza dei lavoratori subordinati – fa notare il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – quando un autonomo chiude definitivamente l’attività  e non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero”.



Molti sono stati spinti pure al suicidio : si tenga presente che i giornali eseguono gli ordini del padrone ( assassino) e  censurano ormai da anni, come accade anche in Grecia,  le notizie dei suicidi del lavori autonomi, negozianti e piccoli imprenditori a causa della incipiente povertà.

Nessuno fa lo sciopero della fame per il loro assassinio “ bianco”…. Nessuno impone dall’ alto dei pulpiti vaticani alcun moto di solidarietà , “ misericordia” e “ accoglienza” , anzi vengono pure additati come orridi peccatori e criminali evasori fiscali, mentre – se non pagano qualcuna delle immonde centinaia di tasse imposte dal “ sistema Italia” – lo fanno per non morire di fame loro ed i loro figli.

Mi ha confidato un piccolo commerciante cattolico osservante di essersi confessato da un sacerdote cattolico ( del “ nuovo corso “ vaticano, evidentemente ) e ha  ammesso ,contrito, di aver compiuto piccole evasioni fiscali per sopravvivenza : si è sentito negare la assoluzione dal sacerdote, concessagli solo dopo la solenne promessa di non evadere più “ a costo di far patire la fame ai figli piccoli”.

Il poveretto, sotto timore di essere cacciato dal confessionale e di finire all’ inferno per questo , disse proprio così, fece proprio questo proposito  ...e il sacerdote non trovò nulla da replicare, evidentemente approvando il “ buon” proposito del reprobo evasore.

E’ quindi moralmente corretto far patire la fame ai propri  figli ( quel negoziante non incassava più di 700 – 800 euro al mese ..) per riempire le tasche ai politici corrotti del “ sistema Italia” e per far ingrassare le cooperative vaticane e sinistre con il lucroso traffico dell’ importazione di negri, la cui utilità sociale è pari a zero ?

L’ episodio è rigorosamente vero. Va soggiunto che il poveretto ha continuato ad evadere per non togliere il cibo di bocca ai figli , solo che  ora non osa più tornare in Chiesa e si sente un dannato che cammina in terra….Complimenti ! Siete riusciti a rendergli la vita in terra  un inferno e pure a togliergli la speranza del Paradiso in Cielo ! Miracoli della nuova pastorale vaticana appaiata al sinistrismo buonista e comunistoide  e del suo discernimento “ misericordioso”…
I lavoratori autonomi sono i nuovi “ kulaki”, cioè le nuove vittime di una ideologia comunista ed euro-  plutocratica, come lo furono i “kulaki”, il ceto medio che Stalin fece sterminare in Russia per imporre la collettivizzazione comunista. In questa circostanza storica non hanno neanche l’ aiuto spirituale della Chiesa, in tutt’ altre faccende affaccendata….

E i suicidi aumentano. L’ importante è pagare le tasse….



Dalla CGIA fanno notare che, al netto dei collaboratori coordinati continuativi, dal 2008 ai primi 6 mesi di quest’anno lo stock di lavoratori autonomi (ovvero, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.) è diminuito di 297.500 unità (-5,5 per cento). Sempre nello stesso arco temporale, la platea dei lavoratori dipendenti presenti in Italia è invece aumentata di quasi 303.000 unità (+1,8 per cento) .

Prosegue il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo:

“Fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol. L’opinione pubblica collocava questo neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”. (CGIA Mestre 7 ottobre 2017).

La fortuna oggi è il pubblico impiego : parassita fra i parassiti, felice, nel blu dipinto di blu,  succhiando il sangue altrui…..

E sia Rivoluzione, una buona volta, se in Italia non si è già tutti " rane bollite"....

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