martedì 21 marzo 2017

ANCORA SULLA STORIA FALSIFICATA

Ancora sulla storia falsificata – Filippo Giannini                                                                   

G.C. -  Filippo Giannini
Autorizzato dal suo autore (*), riprendo questo articolo che evidenzia ancora una volta come la Storia che ci raccontano sia falsata e funzionale alla creazione di certi “miti”. Ancora una volta, insomma, è proprio il caso di dirlo: Ingannati, fin dai tempi della scuola.
(*) Filippo Giannini è nato a Roma.  Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e in Australia, vive a Cerveteri . E’ collaboratore di numerosi quotidiani e periodici.

Sempre nel ricordo di Piazzale Loreto
SOLITE INFAMIE
Questa volta ad opera di Paolo Mieli
di Filippo Giannini
   Ė vero: ho un caratteraccio! Sarà che ho ancora dentro di me lo spirito del Balilla che non sopporta le vigliaccate. Mi riferisco alla trasmissione di Ballarò del 23 aprile 2013, quando in un intervento del direttore de Il Corriere della Sera, Paolo Mieli, commentando uno dei tanti inciuci riguardanti il connubio PD/PdL, ebbe a ricordare (cito a memoria): <D’altra parte anche nel 1944, Togliatti rientrato in Italia si alleò con la Democrazia Cristiana e nel 1976 Il Partito Comunista di Berlinguer si alleò con Aldo Moro>. Poi il signor Mieli non poteva mancare di ricordare (e te pare!?) che Mussolini portò l’Italia allo sfascio della Seconda Guerra mondiale e alle infami leggi razziali. Per prima cosa osservo: non è possibile che un simile personaggio non conosca la Storia vera, e quindi la falsità di quanto asserisce.
Proviamo a dimostrare quanto sostengo.
Come e perché si giunse alla Seconda Guerra mondiale. Lo storico Rutilio Sermonti attesta (L’Italia nel XX Secolo): <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>.
Nella Conferenza di Ginevra sul disarmo (febbraio 1932), alla quale parteciparono sessantadue Nazioni, l’Italia era rappresenta­ta da Dino Grandi e da Italo Balbo. Grandi, a nome del popolo italiano, sostenne il progetto di una parificazione al livello più basso degli armamenti posseduti dalle singole Nazioni. Venne inoltre esposto il progetto mussoliniano tendente all’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole la mes­sa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra di distruzione.
Di fatto, la Conferenza non trovò sbocco alcuno per le oppo­sizioni di Francia e Germania.
Possibile che il signor Mieli non ricorda che Mussolini propose il Patto a Quattro (7 giugno 1933), proprio per integra­re, con un patto politico, l’Europa, mediante un diretto­rio delle quattro Potenze: Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Il documento propositivo di Mussolini cominciò a circolare nei tre Stati interpellati. Il documento ebbe successo di siglatura, ma fallì quando, presentato per l’approvazione ai parlamenti inglese e francese la siglatura non fu rispettata e decadde definitivamente a Stresa nel 1935. Mussolini camminava nella tradizione romana, carolingia e cattolica: aspirazione antica sempre delusa. Mussolini aveva ammonito con lungimiranza: “Fare crollare la pace in Europa significa fare crollare l’Europa”>.
Visto che ci siamo, signor Mieli, perché non ricordare che Mussolini, quale Capo del Governo italiano si fece, ancora una volta, promo­tore di un incontro che si svolse a Stresa, nei pressi del Lago Maggiore, tra l’11 e il 14 aprile 1935, con i rappresentanti delle tre Potenze alleate della prima guerra mondiale: l’Italia (Mussolini), Gran Bretagna (MacDonald, J. Simon) e Francia (Laval, Flandin).
Al termine dei lavori fu stilato un documento nel quale i tre Governi constatarono che il ripudio unilaterale posto in essere dal Governo tedesco, nei suoi obblighi per il disarmo, avrebbe potuto pregiudicare la pace in Europa e si dichiararono in perfetto accor­do di opporsi con ogni mezzo a qualsiasi ulteriore disconosci­mento unilaterale degli obblighi previsti nei Trattati e si impegna­rono per una continuazione dei negoziati per il loro riesame. Rin­novarono anche il loro impegno per la sicurezza e l’indipendenza dell’Austria. Signor Mieli, perché  decaddero quegli acordi?
I detentori della maggior parte delle ricchezze della terra, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, perché pretesero e ottennero le sanzioni contro l’Italia nel 1935? Per difendere l’Etiopia? Ma non ci faccia ridere; l’Etiopia, forse sobillata proprio da questi Paesi fu responsabile dell’attacco al consolato italiano di Gondar, l’11 novembre 1934 (dove rimase ucciso un militare di colore fedele all’Italia) e, come ricorda il giornalista e storico svizzero, Paul Gentizon (Difesa dell’Italia): <Ancora nel 1924 l’Italia che ha appoggiato lealmente l’accoglimento dell’Etiopia nella Società delle Nazioni riceve festosamente a Roma Ras Tafari, firma con lui un Patto di amicizia accompagnato dalla offerta di un aiuto finanziario. Tutto ciò non disarma la boria e la malvagità del governo abissino che respinge sistematicamente le domande di concessioni e turba il libero commercio tra Eritrea e Etiopia con una tacitamente organizzata guerriglia di rapina. Gli incidenti scoppiano a catena e non si sa più come giustificarli o come accettarne le giustificazioni. Dal maggio ’28 all’agosto ’35 si allineano 26 offese a rappresentanti diplomatici, 15 aggressioni a cittadini italiani, 51 razzie: tutto ciò avviene in territorio italiano e i morti italiani non mancano>.
   La tensione nei rapporti italo-etiopici si aggravarono alla fine del 1934, quando un contingente abissino si accampò davanti al fortino di Ual-Ual difeso dai Dubat, soldati somali fedeli all’Ita­lia, al comando del capitano Roberto Cimmaruta. Lo storico Rutilio Sermonti (L’Italia nel XX Secolo, Edizioni All’Insegna del Veltro, 2001) attesta che le truppe assalitrici erano al comando del colonnello inglese Clifford.
Ual-Ual era una località posta al confine, sin da allora incerto, fra Somalia ed Etiopia, ma mai rivendicato dal Governo Abissino.
II 5 dicembre di quell’anno, dopo che i Dubat rifiutarono la richiesta abissina di sgombero, questi scatenarono l’assalto e lo scontro si concluse all’alba del giorno seguente con la vittoria ita­liana, ma le nostre truppe coloniali lasciarono sul terreno 120 morti. Si è scritto che dietro questo grave incidente ci fosse la mano di Londra e Parigi; ma questo non è provato.
Bruno Barrella su Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993, rammentando i fatti di Ual-Ual, scrive: <È l’ultimo di una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più la­bili dell’epoca>.
    Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito degli incidenti di Ual-Ual, venne istituita una commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto interna­zionale, Nicolaos Politis. La commissione, il 3 settembre 1935, emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli atteg­giamenti ostili di alcune autorità locali abissine, escludendo, di conseguenza, ogni responsabilità italiana.
L’alleanza con il nazionalsocialismo? «Ades­so che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi nell’altro campo, la Germania non era più sola» (La Seconda Guerra Mondiale, di Winston Churchill, 1° volume, pag. 209). Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, ha scritto: <E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatto con l’Austria e i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania>. E vogliamo dimenticare il più noto studioso del fascismo?  Renzo De Felice (Storia degli Ebrei sotto il Fascismo, pag. 137): <Sulla ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania>. Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime diffidenze tedesche, anche nel ricordo del “tradimento italiano del 1915” e giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle circostanze. Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della scelta del Duce.
Tanto, ma tanto ancora avrei da scrivere e condannare i veri criminali dello scorso secolo, e mi riferisco a Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill, personaggi abominevoli che galleggiano su un mare di sangue.
Passo ora a trattare l’argomento più infame: l’accusa di essere Mussolini la concausa della reale, o bugiarda accusa del massacro degli ebrei.
Signor Mieli, mi sa spiegare – e spiegarlo agli italiani – come mai negli anni 1938-1942 gli ebrei che fuggivano dai Paesi occupati dai tedeschi anziché rifugiarsi in Russia o in Inghilterra o negli Stati Uniti si rifugiavano in Italia ed erano decine di migliaia? Eppure in Italia vigevano le leggi razziali.
   Proverò a spiegarlo io, ma se sbagliassi, mi corregga. Se può.
Gli inglesi non usarono solo le parole, ma la violenza contro gli israeliti. Rosa Paini (storica ebrea, Il cammino della speranza) riferisce che nel ’41 un folto nucleo di famiglie fuggito da Bratislava, imbarcato sul piroscafo “Pendeho”, composto da 510 profughi cechi e slovacchi, dopo aver navigato sul Danubio giunse nel Mar Nero. Qui, e precisamente a Sulina, salì a bordo il console britannico e informò i malcapitati che il suo governo li considerava immigranti illegali: di conseguenza, se si fossero avvicinati alle coste della Palestina, sarebbero stati silurati. Dovettero quindi ripartire e, superati diversi incidenti, giunsero all’isola disabitata di Camillanissi dove non c’era nemmeno acqua. Sbarcati, assistettero impotenti all’affondamento del battello. Dopo cinque giorni di sofferenze sopraggiunse una nave della Croce Rossa Italiana che imbarcò i profughi per trasferirli a Rodi, dove rimasero alcuni mesi e quindi imbarcati e trasferiti in Italia. Fra i tanti vale la pena di ricordare un altro dramma: nel febbraio del 1942 lo “Struma”, una nave di profughi proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: settecentosettanta persone annegarono (Paul Johnson, Storia degli ebrei, pag. 582).
Lo storico israelita Léon Poliakov (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pag. 63) accusa apertamente il governo britannico ricordando che qualche convoglio clandestino, formato con l’aiuto di Eichmann, tentò di discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina, ma le autorità inglesi rifiutarono il passaggio di questi viaggiatori perchè sprovvisti di visto. <Così si assiste al paradosso che la “Gestapo” spinge gli ebrei verso il luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei forni crematori>.
Oppure:   L’esperto di sondaggi Elmo Roper osservò: <Gli Stati Uniti avrebbero certamente potuto accogliere un gran numero di profughi ebrei. Invece, durante il periodo bellico, ne furono ammessi soltanto 21 mila, il 10% del numero concesso secondo la legge delle quote. La ragione di questo fatto era l’ostilità dell’opinione pubblica. Tutti i gruppi patriottici, dall’American Legion ai Veterans of Foreign Wars, invocavano un divieto totale all’immigrazione. Ci fu più antisemitismo durante il periodo della guerra che in qualsiasi altro della storia americana (…). Negli anni 1942-44, ad esempio, tutte le sinagoghe di Washington Heights, New York, furono profanate>.
Un’altra testimonianza ci viene offerta dal “Neue Zürcher Zeitung”, il quale il 18 gennaio 2000 ha pubblicato una lettera a firma di Susi Weill che, fra l’altro, ha scritto: <I miei genitori avevano tentato invano di emigrare in America, ed oggi è un fatto stabilito che le rappresentanze diplomatiche americane in Europa avevano ricevuto l’ordine di respingere tali domande>.
Quando fu necessario, il governo americano usò la forza, come ricorda Franco Monaco (op. cit., pag.175): <Allorchè a un piroscafo carico di ebrei, partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia>.
   Non è sufficiente? E allora andiamo avanti.
Ha scritto Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: <Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze>. Dello stesso parere è Klaus Voigt che in “Rifugio precario” osserva quanto fosse strana la dittatura fascista. Infatti scrisse: <Fino all’entrata in guerra dell’Italia non risulta neppure un caso di condanna o allontanamento di un emigrante per attività politica (…). Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli “emigranti” sono suoi nemici. Polizia e carabinieri ricevevano disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola parola: “Sorvegliare”. Non arrestare>. Allora, Signor Mieli, come ripeto: in Italia vigevano le leggi razziali. Tutti pazzi?
Andiamo avanti, Signor Mieli? Volentieri, fino a che lo spazio me lo concede.
<Mentre, in generale,  i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni capi del fascismo italiani manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). È significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità italiana (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)> (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220).
Andiamo avanti?
Poliakov scrive: <Mentre i Prefetti (francesi) ordinavano arresti e internamenti, allestivano convogli per la Gestapo, le autorità militari italiane, a dispetto delle minacce, ordinavano l’annullamento di tali ordini. Tra le autorità d’occupazione tedesche e il Governo di Berlino, tra il governo di Berlino e il Governo di Roma, tra le autorità di Vichy e i generali italiani vi era un continuo scambio di note nervose e impazienti. La Germania chiedeva all’Italia di agire nello spirito delle disposizioni tedesche. L’Italia rifiutava e resisteva>. Non solo, ma il Governo italiano ottenne che gli ebrei italiani residenti nelle zone occupate dall’esercito tedesco fossero esentati dall’obbligo di mostrare la stella giallaLo stesso accadeva nella Legazione di Bruxelles. Addirittura, secondo quanto scrive Martelli, che include un documento nel quale descrive come il Consolato Italiano di Bruxelles esigeva che venissero esentati dall’imporre la stella gialla e dai lavori forzati, anche gli ebrei greci perchè le truppe italiane occupavano parte del territorio greco. Questo, evidentemente era troppo, infatti un ordine del Conte Blanco Lanza d’Ajeta, del Ministero degli Esteri di Roma, con un telegramma datato agosto 1942, imponeva di <sospendere tutte le iniziative prese in merito ai cittadini ebrei greci>. http://motlc.wiesenthal.com
Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: <Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia>.
Vedo che lo spazio a mia disposizione si esaurisce, allora oso chiedere al signor Mieli: se quanto ho scritto risultasse vero, perché tanta vigliaccheria verso l’unico statista onesto e capace che l’Italia abbia avuto da secoli? Mi permetto di esporre la mia idea riferendomi a quanto ha scritto Rutilio Sermonti, e riportato all’inizio di queste pagine: <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>. E la risposta viene per bocca dello stesso Benito Mussolini; nel corso di una intervista che il Duce concesse nel suo studio presso la Prefettura di Milano a Gian Gaetano Cabella, direttore del Popolo di Alessandria, nel pomeriggio del 20 aprile 1945, cioè sei giorni prima del suo assassinio: <RICORDATEVI BENE: ABBIAMO SPAVENTATO IL MONDO DEI GRANDI AFFARISTI E DEI GRANDI SPECULATORI (…)>.
E quel mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori, oggi sono i padroni e il mondo è una loro colonia.
E l’abbiamo voluto noi, salvo pochi…e fra questi pochi, non ci sono i vari Mieli, Augias, Minoli ecc.
                                                                                                                                           


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