sabato 25 febbraio 2017

ITALIA SOTTO DITTATURA DEI GIUDEI

Italia sotto dittatura dei Giudei: le prove 




Quando si invade un paese e lo si conquista la prima cosa che fa il conquistatore è quella di mettere la sua bandiera nei posti più rappresentativi che rappresentavano il potere della nazione conquistata. Ma se questa conquista è avvenuta in maniera silente ed occultata per non far rivoltare il popolo allora non è possibile mettere una bandiera, ma un simbolo nel posto dove risiede il parlamento per far capire a chi di dovere che comandano loro. E’ il caso del parlamento italiano, dove dopo una ristrutturazione nel 2009 è stato messo il simbolo giudeo della Menorah come potete vedere nella foto sottostante.
Ma perché parliamo di un colpo di stato silente ed occultato? Un tempo, le guerre si combattevano tra stati con armi sovvenzionate dai banchieri, che prestavano il denaro a tutti gli stati in guerra affinché si indebitassero con loro. Oggi, hanno affilato le loro armi prendendo il controllo di tutti gli stati – e quindi dei popoli – grazie al tradimento dei politici a loro asserviti. Vediamo se è vero e, in tal caso, come ci sono riusciti. Prima degli accordi di Bretton Woods, le banche degli stati dovevano avere una quantità di oro nei loro forzieri pari al denaro che stampavano. Succedeva, però, che esse stampavano più denaro rispetto al controvalore in oro che possedevano. Perciò nel 1944 si decise che solamente il dollaro dovesse avere la controvertibilità in oro e le altre monete potessero essere scambiate con il dollaro che faceva da garante. Gli USA invece stamparono quasi 90 miliardi di dollari, creando un’inflazione globale, senza avere il controvalore in oro. Così, quando la Francia restituì i dollari agli Usa chiedendo in cambio l’oro, costrinse il presidente Nixon, il 15 agosto 1971, a far cadere la convertibilità del dollaro con l’oro, facendo sì che la moneta perdesse il suo effettivo valore ed il suo reale valore diventò indotto dalla sottomissione degli stati – e quindi delle persone – ad accettarlo come moneta di scambio per i beni e i servizi che le persone producevano. 
Nel 1971, il nostro debito pubblico era di 16 miliardi e 145 milioni milioni di euro, ma quel debito, nella realtà, non esisteva, in quanto la Banca d’Italia era, come previsto dall’articolo 3 del suo statuto, un ente di diritto pubblico a maggioranza pubblica, cioè dello stato, che poteva stampare così la moneta a suo piacimento, ripagando in questo modo i debiti che contraeva. Nel 1982 il Ministro del Tesoro Andreatta ed il governatore della Banca d’Italia Ciampi tolsero l’OBBLIGO alla banca di acquistare tutti i titoli di stato che venivano emessi e quindi di finanziare il debito pubblico, che passò così in soli dieci anni da 142 miliardi (dai 16 miliardi del 1971, perché lo stato finanziava la crescita attraverso l’emissione dei titoli) a ben 850 miliardi di debito – questa volta reale, in quanto contratto verso altri istituti bancari privati. Dieci anni dopo, in barba alla costituzione italiana, inizia la cessione ad enti privati delle quote di Banca d’Italia, che verrà forzatamente legalizzata grazie al tradimento dei politici, verificatosi nel 1992 con la legge 35/1992 dal Ministro del Tesoro Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia, facendo sì che solo il 5% delle quote di Banca d’Italia era rimasto di proprietà dello stato, mentre il restante 95% era andato in mano a banche private che le avevano acquistate dai principali gruppi bancari, quali Comit, Credito Italiano e Banco di Roma, che ne garantivano la maggioranza pubblica. Gli acquirenti autorizzati a comprare i titoli di stato erano banche commerciali primarie ed istituzioni finanziarie private quali IMI, Monte dei Paschi, Unicredit, Goldman Sachs, Merryl Linch. Il gioco era fatto: in pochi anni il debito – ad oggi – ha superato i 2200 miliardi di euro, grazie al tradimento dei politici che iniziarono in maniera concertata con i banchieri a svendere il patrimonio dello stato e dei cittadini a prezzi da saldo e, non contenti ancora, legalizzarono, con l’ennesimo tradimento verso il popolo, la privatizzazione della Banca d’Italia, grazie al governo Prodi che, il 16.12.2006, modificò lo statuto della banca all’articolo 3, facendo sì che essa non fosse più un ente di diritto pubblico, come dovrebbe essere in uno stato democratico. Ma non è finita qui, in quanto in una guerra ci deve essere un vincitore – cioè le famiglie al comando delle banche centrali – ed uno sconfitto – ovvero i popoli dell’Euro-zona sotto la dittatura dell’oligarchia bancaria della BCE (banca privata) e della Commissione Europea, che ha potere decisionale sulle politiche sociali degli stati, mentre il parlamento europeo ha solo quello consultivo. Caduta la controvertibilità in oro, il denaro doveva essere non più addebitato ai cittadini, ma accreditato, in quanto esso è la misura del valore dei beni e servizi che noi cittadini produciamo e non certo dei parassiti banchieri che ci prestano la moneta a debito e che ora decidono le politiche sociali degli stati grazie al collaborazionismo dei politici loro asserviti. Questa moneta creata dal nulla viene trasferita dalla BCE alle grandi banche commerciali private che poi le prestano agli stati ad altissimi interessi, generando un debito pubblico inesigibile perché frutto di una frode poi legalizzata.
Un autentico colpo di stato grazie alla complicità dei politici che ci hanno venduto nelle mani di questi banchieri, e che non a caso non hanno nel loro programma politico la sovranità monetaria come deve essere per la costituzione. Un golpe che i banchieri sionisti dovevano festeggiare non con una vistosa bandiera, ma con il loro simbolo, la Menorah, il candelabro che Mosè collocò nel tabernacolo; candelabro realizzato seguendo le istruzioni divine impartitegli sul monte Sinai e importante, tanto sul lato storico, quanto su quello simbolico per i massoni loro asserviti.
Ma quello che in pochi sanno e che questi simboli erano egizi, e furono presi dai Giudei proprio perché i Giudei erano i sacerdoti Yahud egizi adoratori del culto di Aton espulsi dal faraone Tutankhamon. Una di questi è la Menorah (in ebraico: מְּנוֹרָה IPA [mnoː’ɾaː]), il candelabro a sette braccia la cui costruzione fu prescritta in Esodo 31-40 per diventare uno dei Tabernacolo strumenti e poi il Tempio di Gerusalemme.
Nella tradizione egizia, il Tempio raffigura il cosmo. In certe camere del Tempio c’era un candelabro a 7 rami in oro, chiamato in ebraico la menorah, collocato sul lato Sud del Tabernacolo. Rappresenta Saturno, il Sole, la Luna – due rami ciascuno – o i tre periodi dello sviluppo dell’uomo prima di incarnarsi. Il settimo ramo che ha una lampada alimentata dall’olio d’oliva pura, rappresenta la luce spirituale.
Nel libro Exodus abbiamo dimostrato che Mosè era il primogenito del faraone Amenhotep III e fratello di Akhenaton, che perse la successione al trono per colpa di un episodio descritto nella Bibbia, si rese reo dell’uccisione di un egiziano per difendere un israelita. Un episodio eclatante che costrinse il faraone a detronizzarlo ed a dargli la titolatura di viceré di Nubia e a dare la successione al fratello minore Akhenaton. Ma il tradimento di Mosè verso il suo popolo non si limitò a questo episodio, egli infatti sposò Zippora, figlia del sacerdote Ietro, un discendente di Abramo, ovvero un capo Hyksos. Gli Hyksos erano i protoebrei che invasero l’Egitto per essere infine scacciati nel 1628 a.C. dal faraone Ahmose che li scacciò nella terra di Canaan dopo oltre un secolo di dominio. Mosè si accordò con gli Hyksos espulsi per spodestare Akhenaton per poi essere infine a sua volta espulso dal faraone Tutankhamon. In questo secondo esodo furono scacciati gli Yahud, sacerdoti egizi del culto di Aton che ritroviamo nell’Adonay della Bibbia. Questi fondarono lo stato di Giuda e poi attraverso guerre con i popoli confinanti lo stato di Israele. Questo spiega il motivo per cui tantissimi simboli egizi li ritroviamo tra i Giudei, compresa la circoncisione e la Menorah. Stampe antiche in Negev mostrano che, nel momento in cui erano ancora politeisti, gli Ebrei adoravano il dio YAH (Yahweh) e la sua consorte Asherah o la dea Astarte. In queste stampe, il nome di YAH è spesso associato con un ariete o un toro, mentre Astarte è stata associata con Menorah. Astarte era conosciuta anche dai Cananei di Ugarit (Siria) sotto il nome di Athirat, rappresentato da un palo di legno, il suo nome potrebbe essere tradotto come “boschetto”, “albero” con sette rami. Asherah con sette rami potrebbe quindi avere la forma di una menorah candelabro. La descrizione del Menorah dimostra che ha un aspetto molto vegetale:
Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato. Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d’oro puro lavorata a martello. Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso1.

Un’altra descrizione si trova in Zaccaria 1:2-7:

“Mi ha detto: Che cosa vedi? E io ho detto, vedo, ed ecco un candelabro tutto d’oro, e un taglio nella sua parte superiore; e le sue sette lampade di essa; sette lampade e di sette tubi per le lampade che sono in alto; e due alberi di ulivo al lato di esso, uno a destra della coppa, e l’altro alla sua sinistra … questi sono gli occhi del Signore che corrono in tutto il paese”.
Altra devastante scoperta è stata quella di un Gesù di sangue romano imperiale che, oltre a sbaraccare i tavoli di questi cambiavalute usurai dal Tempio di Gerusalemme, fu artefice della prima espulsione dei Giudei da Roma sotto l’imperatore Claudio suo cugino nel 49 d.C., e infine crocifisso proprio dai Giudei nel 68 d.C. come dimostriamo nel libro Cristo il Romano. Gesù anticipò di 2000 anni Hitler, che fu a sua volta attaccato dai banchieri sionisti che dichiararono guerra ad una Germania sull’orlo del collasso. Hitler infatti si svincolò dall’oro attraverso certificati che venivano dati agli operai in cambio di ore di lavoro e attraverso i quali potevano acquistare senza sottostare all’usura dei banchieri sionisti che così dichiararono guerra alla Germania. Nel giornale Daily Express datato Venerdì 24 Marzo 1933 leggiamo:
“La Giudea dichiara guerra alla Germania: gli ebrei di tutto il mondo uniti in azione.
L’intera Israele sparsa per il mondo si unisce per dichiarare guerra economica e finanziaria alla Germania. L’apparizione della Svastica come simbolo della nuova Germania ha dato nuova vita all’antico simbolo di guerra di Giuda. Quattordici milioni di ebrei sparsi in tutto il mondo si stringono come un sol uomo per dichiarare guerra alla Germania, persecutrice dei loro compagni di fede. Il commerciante ebreo abbandonerà la sua casa, il banchiere la sua attività di scambio economico, il mercante i suoi affari e il mendicante la sua umile baracca, al fine di unirsi nella Guerra Santa contro il popolo di Hitler!”
Il giornale ebraico Natscha Retsch rincarava la dose:
“La guerra contro la Germania sarà condotta da tutte le comunità ebraiche, dalle conferenze, dai congressi […] da ogni singolo ebreo. La guerra contro la Germania darà nuova linfa ideologica ai nostri interessi e li promuoverà, il che richiede che la Germania sia totalmente distrutta! Per noi ebrei, il pericolo è rappresentato dall’intero popolo tedesco, dalla Germania intesa sia a livello collettivo che individuale. Essa deve essere ridotta per sempre all’impotenza… A questa guerra noi ebrei dobbiamo partecipare, con tutta la forza e la potenza che abbiamo a nostra disposizione”.
Ora siamo all’atto finale della loro dittatura che ci costringerà a vedere i nostri figli schiavi nella loro patria oppure a contrastarli unendoci nella lotta di liberazione per riprenderci in mano la nostra patria. A voi la scelta, il tempo degli stupidi eroi è finito, aprite gli occhi e scendiamo tutti in campo. L’Italia la riprendiamo adesso o sarà la fine della nostra antica e gloriosa civiltà.
1es 25:31-38.

Alessandro De Angelis, scrittore, ricercatore di antropologia delle religioni
 
                                                                                                                                                  

mercoledì 22 febbraio 2017

QUANDO A MORIRE SONO GLI ITALIANI



 
 

QUANDO A MORIRE SONO GLI ITALIANI

La sinistra, complice, ha sempre chiuso gli occhi davanti ai massacri perpetrati dai suoi “liberatori”


Paul Rassinier, deportato nei campi di concentramento germanici durante la Seconda Guerra Mondiale, nel suo fondamentale libro La menzogna di Ulisse, eleva una forte condanna contro il “mondo concentrazionario”, ossia quella consuetudine diffusa in tutti gli Stati di sanzionare una “colpa collettiva” attraverso la massificazione del sistema carcerario. Una massificazione che si concretizza nella deportazione della popolazione in dei campi detti, appunto, di concentramento.
Ogni Stato, nel corso della sua storia, ha fatto uso di questi “carceri di massa” ed utilizzato politicamente l’ossimoro giuridico della “colpa collettiva”. Utilizzati per la prima volta dai Britannici, hanno trovato largo e tragico uso negli Stati a sistema comunista (i Gulag sovietici e i Laogai cinesi, solo per citare i più famosi). Tuttavia, oggi, quando si parla di campo di concentramento si pensa immediatamente ai KZ germanici, allestiti in particolar modo durante la Seconda Guerra Mondiale e dove sono stati deportati milioni di ebrei ed altre categorie di persone considerate “non desiderate” o “pericolose”. La giusta condanna di questi “carceri di massa” è stata sancita addirittura per legge. Una legge a senso unico che dimentica, incredibilmente, gli analoghi “campi della morte” allestiti anche dagli altri Stati impegnati in quella che fu definita la “guerra del sangue contro l’oro”. E ciò fa sorgere un dubbio, ossia se questa legge, invece di ricordare, vuole speculare politicamente su dei morti, trasformare cioè il giusto ricordo delle vittime, in un eterno “museo dell’odio politico”. Perché sembra molto strano vestirsi a lutto per le vittime dei crimini germanici e, poi, vestirsi a festa, per ignorare o giustificare, quando ci si trova davanti ai crimini commessi dagli altri contendenti di quella guerra, specialmente se queste vittime sono Italiane e i carnefici sono i “liberatori”, democratici o comunisti che fossero. Sì, perché nei campi di concentramento degli Alleati finirono centinaia di migliaia di Italiani, non solo prigionieri di guerra – e ricordiamo il caso emblematico dei soldati italiani in Russia, lasciati morire per volere di Togliatti e compagni –, ma anche tanti civili innocenti, la cui colpa fu quella di essere Italiani. E non vogliamo soffermarci sulle infamità commesse nei campi iugoslavi, di cui in questi giorni si è potuto, seppure a mezza bocca, parlare. Ma vogliamo ricordare quello che avveniva negli Stati “civili”, non in quelli “barbari” a sistema comunista dove certe usanze di violenza hanno ancor oggi una giustificazione. Infatti, in Francia, in Gran Bretagna e negli USA – e in tutti loro possedimenti – i cittadini dell’Asse, anche se politicamente inattivi, vennero rinchiusi in appositi campi di concentramento. Si ricorda il caso di Joe Di Maggio che, mentre vestiva la divisa dell’US Army, aveva i genitori confinati in America.
campi-francesi
In Francia – e nelle sue colonie – all’indomani della dichiarazione di guerra dell’Italia (10 Giugno 1940) scattò la “caccia all’Italiano” che vide quasi 20.000 nostri connazionali alle prese con le violenze della Polizia francese. A poche ore dallo scoppio della guerra, infatti, i gendarmi d’Oltralpe arrestarono gli Italiani più in vista, imprigionandoli nei Commissariati e negli stadi, spesso con violenze spropositate e pestaggi gratuiti che evidenziano l’astio e l’odio dei Francesi per la Grande Italia di Mussolini che aveva osato sfidarli. Per tutti si aprirono, poi, le porte dei campi di concentramento, già allestiti dalle Autorità d’Oltralpe per “gestire” il problema dei combattenti antifranchisti fuggiti dalla Spagna dopo la vittoria delle Armate di Francisco Franco.
La deportazione avvenne sui famosi “carri piombati”, in condizioni igieniche disastrose e, spesso, sotto le continue violenze dei gendarmi. Giunti ai campi, gli Italiani dovettero dormire per terra, senza servizi igienici e con un’alimentazione da fame. Molti si ammalarono, altri impazzirono, alcuni morirono. La situazione si fece di giorno in giorno drammatica. Sarebbe bastato lo scoppio di una qualche epidemia per sterminare in massa tutti coloro che erano concentrati in queste prigioni.
I campi di concentramento francesi di Saint Cyprien, di Saint Jodard, di Montech e Cascaret, di Huriel, di Courgy, di Le Blanch e di Douhet; quelli tunisini di Sbeitla e di Kasserine; quelli algerini di Kreider e di Orano; quelli marocchini di El Haideb e di Mediouna; quelli di Guadalupe e del Libano sono oggi dimenticati e mai nessuna scolaresca andrà “in gita” in questi luoghi, a ricordare le sofferenze degli Italiani. Vogliamo ricordarli noi, perché se non vi fu uno sterminio generalizzato fu solo grazie alla capitolazione della Francia, travolta in pochi giorni dalle Armate tedesche.
Fu un inferno durato 30 giorni che ebbe le sue sofferenze e i suoi morti e se non si trasformò in un’ecatombe di Italiani fu solo per la benigna sorte che soffiò sui campi di battaglia per gli Eserciti dell’Asse. Ma ciò la dice lunga sulla violenza dei Francesi e cosa sarebbe avvenuto alla fine della Seconda Guerra Mondiale nei campi di concentramento allestiti in terra di Francia per accogliere i soldati germanici sconfitti. Campi della morte, morte massificata, nei quali morirono di stenti, malattie e violenze milioni di prigionieri, come ha documentato James Bacque nel suo dimenticato – e si comprende bene il perché – libro Gli altri campi.
Quando oggi si parla di questi campi di sterminio “democratici” si è accolti con indifferenza o con un sorriso beffardo. Lo stesso sorriso che avevano i gendarmi francesi quando bastonavano a sangue gli Italiani. Non lo dimentichiamo. Mai.

 Pietro Cappellari

                                                                                                                                                                                                            




domenica 19 febbraio 2017

NOSTRE EDIZIONI ("Gli arditi"

Itinera Progetti presenta "Gli arditi" di Reginaldo Giuliani [ di ]

da TUTTO STORIA

A luglio di quest’anno ricorreranno i cent’anni dalla nascita ufficiale degli Arditi, specialità della fanteria italiana costituita da reparti d’assalto. In un secolo ne hanno parlato in molti, in tante forme, ma il volume Gli arditi di Reginaldo Giuliani è una fonte di prima mano: cappellano militare, Giuliani militò fra le loro fila e non si occupò solo di curare le loro anime ma anche di capire le loro motivazioni e raccogliere le loro storie. Anche per questo Itinera Progetti ha deciso di pubblicarne una nuova edizione, che uscirà il 15 marzo.
Nel libro, la cui prima edizione risale al 1919, Giuliani si occupa di dare una sfaccettatura al mondo di questi reparti, passando dal raccontare i pattugliamenti al parlare dei più giovani. Qui un brano che racconta la speciale disciplina a cui erano sottoposti. «L’elemento scelto delle truppe d’assalto impose una speciale forma di disciplina, più intelligente, più dolce, ma non meno efficace ad ottenere il rispetto e l’obbedienza.
La disciplina dell’esercito si informa variamente allo spirito dei diversi corpi: altra è la soggezione del fante, altra quella del bersagliere, altra quella dell’alpino, altra quella dell’ardito, del quale si deve sviluppare l’individualità. L’ardito non amava piegarsi agli ordini rigidi e senza motivazione: voleva essere illuminato sul proprio lavoro. La sua fiducia nei dirigenti dipendeva meno dal loro grado che dal loro valore personale: quando però aveva apprezzato un ufficiale lo seguiva poi ciecamente, in qualunque impresa.
Da parte loro, gli ufficiali nutrirono un sentimento paterno verso i dipendenti e nel mantenere la disciplina badarono più alla sostanza che alla parola dei regolamenti.
Questa specie di famigliarità scandalizzò qualche critico, che giudicò che fra gli arditi non vi fosse disciplina. Niente di più falso: si trascurava talvolta la forma rigida, tradizionale nelle caserme, ma nient’altro che questa forma. La gioventù intelligente, cosciente e varia, di cui si componevano i nostri reparti, fu sempre docilissima; non contano le piccole eccezioni, che, in un ambiente sì acceso avrebbero potuto provocare vasti incendi, e invece non turbarono mai la virile obbedienza della massa».
A maggio di quest’anno sarà inoltre pubblicato il romanzo storico L’Ardito di Roberto Roseano, che farà vivere dall’interno l’epopea dei Reparti d’Assalto, e a giugno l’ormai introvabile XXVII Battaglione d’Assalto del Maggiore Luigi Freguglia.
Per tutti coloro che volessero approfondire l’argomento nel catalogo di Itinera Progetti sono già presenti Arditi sul Grappa, a cura di Ruggero dal Molin, di Ermes Aurelio Rosa giunto ormai alla sua quarta ristampa. Ludovico Lommi ha invece affrontato le vicende del XXIII reparto d’assalto in Da bersagliere ad ardito, corredato da un inedito album fotografico, importante anche in Cuore bombe pugnale che ricostruisce la loro storia dei Reparti d’Assalto dalla Prima Guerra Mondiale all’Impresa fiumana attraverso le loro cartoline. Accanto alle fiamme nere e alle fiamme cremisi non vanno però dimenticate le Fiamme Verdi, protagoniste dell’omonimo volume di Paolo Morisi e provenienti dalle fila degli Alpini. Qui un video di Itinera Progetti in cui vengono ricordate anche le loro battaglie.

Documento inserito il: 13/02/2017
  • TAG: arditi, reparti assalto, bombe, pugnale, itinera progetti, fiamme verdi
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mercoledì 15 febbraio 2017

CHI HA VOLUTO LA SECONDA GUERRA MONDIALE?

Chi ha voluto la Seconda Guerra Mondiale?

Recensione/intervista a Gian Pio Mattogno

Chi ha voluto la Seconda Guerra Mondiale?

di Davide D’Amario
Il giudaismo internazionale e le origini della seconda Guerra Mondiale
  

Il nuovo libro del ricercatore-storico Gian Pio Mattogno “Il giudaismo internazionale e le origini della seconda Guerra Mondiale” edito da Effepi (1) inizia con queste forti e revisioniste righe: << … Il primo dogma storiografico imposto dai vincitori dopo il 1945 fu quello della responsabilità della Germania nazionalsocialista nello scatenamento della seconda guerra mondiale. Esso venne confezionato in quella “sinistra e macabra farsa” che fu il processo di Norimberga e ripreso poi pappagallescamente da tutti gli storici e pubblicisti inquadrati dai padroni del vapore nelle varie congreghe accademiche e mediatiche con il compito specifico di tutelare e perpetuare le verità ufficiali dei vincitori …>>, un libro da diffondere, da portar sempre nella cassetta degli attrezzi per poter comprender e far riflettere. Un libro che diviene militante perché porta alla luce informazioni e documenti occultati dalla macchina propagandistica mondialista, e conferma le verità dei “perdenti”. La guerra del sangue contro l’oro ancora non è finita … almeno per ora sul piano storiografico.

DOMANDADott. Gian Pio Mattogno la ringrazio innanzi tutto per aver dato alle stampe il suo ultimo lavoro “Il giudaismo internazionale e le origini della seconda Guerra Mondiale”. Chi sono “i veri responsabili della seconda guerra mondiale”? Dobbiamo credere ancora alla “verità” scaturita dal Processo di Norimberga? Dobbiamo continuare a credere a certa storiografia al servizio del mondialismo? Oppure …

MATTOGNO : All’inizio del mio lavoro ho scritto che la presunta responsabilità della Germania nazionalsocialista nello scatenamento della seconda guerra mondiale fu il primo dogma storiografico imposto dai vincitori in quella tragica farsa che fu il processo di Norimberga e che la pubblicistica dei vincitori non è altro che la trasposizione sul piano storiografico e giornalistico dei capi di imputazione presentati a Norimberga a carico dei vinti. In effetti, come scrive lo storico laburista A.J. Taylor, i documenti, raccolti in fretta e quasi a casaccio, furono scelti non soltanto per dimostrare la colpevolezza degli accusati, ma anche (e aggiungerei: soprattutto) per nascondere la colpevolezza delle potenze accusatrici.
Da allora, nelle scuole, al cinema, sui giornali e nelle televisioni la verità dei vincitori è diventata un dogma indiscutibile. Tutti coloro i quali hanno osato prospettare altre verità (e parlo dello stesso Taylor, di David Hoggan, di Harry Elmer Barnes, di Udo Walendy etc.) sono stati bollati come falsificatori della storia, divulgatori della propaganda nazista, ideologi in camicia bruna, le cui opere sono «prive di rilevanza scientifica». Ma le menzogne, per quanto reiterate con costanza e convinzione, non possono durare in eterno e prima o poi la verità finisce per emergere.
I documenti nascosti a Norimberga oggi sono di dominio pubblico, così come le vecchie opere degli storici e dei pubblicisti nazionalsocialisti e fascisti, nonché quelle degli storici revisionisti. Tutti questi documenti ci dicono ciò che era notorio già allora, e cioè che i veri responsabili della guerra furono le oligarchie ebraico-capitalistiche internazionali e i loro accoliti, fra i quali, in prima fila, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt. Queste oligarchie vedevano nella Germania nazionalsocialista, con le sue grandi conquiste sociali, con i suoi valori spirituali antitetici a quelli mercantili delle “democrazie”, con la nazionalizzazione della Banca centrale tedesca (2), con la sua volontà di sottrarsi ai ricatti monetari dei parassiti della finanza mondiale, l’unico vero ostacolo ai loro disegni imperialistici di dominio mondiale (oggi diremmo: ai loro disegni mondialisti).
Come ho scritto, il dogma storiografico imposto a Norimberga aveva una funzione ben precisa: attribuendo ai soli tedeschi la responsabilità del conflitto, assolveva i vincitori da ogni colpa, distoglieva lo sguardo dai veri responsabili e rendeva più digeribile il dominio mondiale delle oligarchie ebraico-capitalistiche uscite vincitrici dal conflitto. Questo e non altro spiega perché una larghissima maggioranza del popolo italiano abbia metabolizzato il dominio dei “liberatori” sul proprio territorio e perché perfino i comunisti si siano americanizzati a tal punto che quasi tutti hanno finito ingloriosamente per assimilare lo spirito della civilizzazione yankee, facendo a gara con gli altri partiti a chi è più liberale.
Ed oggi, anche i più agguerriti sedicenti antisionisti si affrettano a precisare che sì, loro sono contro la politica del governo israeliano, ma, per carità, non sono affatto contro gli ebrei. Anche questo è un retaggio di Norimberga.

DOMANDA: Lei divide il libro in 3 capitoli: “Ebraismo e plutocrazia in Gran Bretagna”; “Ebraismo e plutocrazia in Francia”; “Ebraismo e plutocrazia negli Stati Uniti”; può indicarne le linee siano esse economiche, ideologiche e sociali e le implicazioni maggiori nello scatenamento della seconda guerra mondiale? La massoneria ed in particolare quella ebraica come ha “guidato” l’intero progetto guerra alla Germania nazionalsocialista?

MATTOGNO :  L’attacco delle oligarchie ebraico-capitalistiche contro la Germania, al quale diede un contributo non trascurabile anche la massoneria internazionale, iniziò già all’indomani dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Dapprima fu scatenata una guerra economica, sotto forma di boicottaggio, allo scopo di minare le basi dell’economia tedesca, che stava uscendo dalla crisi spaventosa in cui l’avevano precipitata i governi di Weimar. Poiché questa non ebbe successo, si passò alla guerra politica, che consisteva nel denigrare con ogni mezzo propagandistico la rivoluzione nazionalsocialista e i suoi capi. Infine, nelle cancellerie degli USA, dell’Inghilterra e della Francia si decise di scatenare una guerra vera e propria. Nel libro ho descritto i tempi e i modi con cui venne preparato il casus belli di Danzica e quello di Pearl Harbor ed ho mostrato come alle spalle dei vari Churchill, Chamberlain, Churchill e Daladier agissero precisamente quelle forze ebraiche e plutocratiche che vedevano nella guerra un duplice affare: eliminare il mortale nemico fascista e lucrare colossali profitti dalle devastazioni della guerra.
Rimando il lettore ai fitti elenchi di plutocrati e parassiti finanziari, molti dei quali ebrei, che fomentarono la campagna bellicista delle “democrazie”.

DOMANDA: Il libro si completa magistralmente con un ampio apparato di documenti in appendice, ne può indicare il più “sconvolgente”?
 
MATTOGNO : Credo che l’intero apparato di documenti pubblicato in appendice sia molto interessante, dal saggio di Gerhart Jentsch, che ripercorre magistralmente le ultime fasi della crisi tedesco-polacca alle note storico-bibliografiche relative alla storiografia revisionista. Ma in particolare il lettore rimarrà non poco sorpreso dalla lettura dei rapporti degli ambasciatori polacchi rinvenuti dai tedeschi negli archivi di Varsavia, i quali svelano le trame guerrafondaie di Roosevelt, del suo agente Bullit e dei circoli ebraico-capitalistici americani, come pure dalla lettura di una pagina dei diari del Segretario alla Marina James Forrestal, da cui apprendiamo che, secondo Chamberlain, furono gli Stati Uniti e gli ebrei di tutto il mondo a costringere la Gran Bretagna alla guerra.

DOMANDA: Questo suo libro come gli altri è un prezioso strumento per “indagare” la storia e la “politica” dell’ebraismo in passato. Siamo nel 2013, l’ebraismo e le sue emanazioni plutocratiche come agiscono in Europa, nel mondo?

 MATTOGNO Dopo una guerra scatenata e vinta, il potere delle oligarchie ebraico-plutocratiche non poteva che accrescersi. Oggi il vecchio imperialismo ha assunto la forma del mondialismo, del quale l’internazionale giudaica costituisce la forza motrice più rilevante.
Mi piace ricordare la definizione precisa e articolata che ebbe a darne il compianto Carlo Terracciano: il mondialismo è una strategia di dominio planetario su uomini e beni, tendente ad imporre un totalitarismo omologante, definitivo, su continenti, popoli, nazioni e singoli uomini; è la quintessenza della visione del mondo cosmopolita e apòlide del Grande Capitale, nemico giurato di ogni specificità etno-culturale, nemico di ogni etnia, di ogni popolo, di ogni civiltà.
Nel 1947 James Paul Warburg fondò l’associazione United World Federalists, il cui scopo era di promuovere una Federazione Mondiale a governo unico con l’armamento nucleare a sua disposizione. Pochi anni dopo, il 17 febbraio 1950, lo stesso Warburg, in un intervento alla Commissione Esteri del Senato americano ebbe a dichiarare: «We shall have world government, whether or not we like it. The question is only whether world government will be achieved by consent or by conquest» («Lo si voglia o no, noi avremo un governo mondiale. La sola questione è sapere se questo governo sarà realizzato con il consenso o con la forza»). James Paul Warburg era un banchiere ebreo, figlio del banchiere ebreo Paul Warburg e di Nina Loeb, figlia del banchiere ebreo Salomon Loeb, della banca Kuhn, Loeb and Co.
L’ebraismo internazionale giuoca un ruolo importante nella strategia mondialista. Gli ebrei controllano una parte della finanza mondiale ed esercitano una considerevole influenza sui governi dell’occidente borghese, in particolare su quello degli Stati Uniti i quali, in quanto superpotenza capitalistica egemone, costituiscono il battistrada della cospirazione mondialista.
All’inizio degli anni ottanta del ‘900 il sociologo ebreo W.D. Rubinstein scriveva che «l’attività dei gruppi di pressione ebraici americani…è senza dubbio efficace, estremamente sofisticata e condotta da uomini di chiara abilità e profonda convinzione». Tutto ciò, aggiungeva, «ha potuto assicurare una considerevole presenza degli ebrei nei centri decisionali» (La sinistra, la destra e gli ebrei).
Una decina di anni dopo il professore di Scienze Politiche B. Ginsberg, anch’egli ebreo, ribadiva: «Dagli anni sessanta gli ebrei sono arrivati a detenere una considerevole influenza in America sull’economia, la cultura, la vita politica ed intellettuale. Gli ebrei hanno giuocato un ruolo centrale nella finanza americana durante gli anni ottanta ed essi sono stati i maggiori beneficiari di fusioni e riorganizzazioni economiche. Oggi, sebbene appena il 2 per cento della popolazione sia ebraica, quasi la metà dei suoi miliardari è ebrea. I vertici degli uffici esecutivi dei tre maggiori network televisivi e i quattro maggiori proprietari degli studios cinematografici sono ebrei, come pure i proprietari dei più influenti giornali, il New York Times…Il ruolo e l’influenza degli ebrei sulla politica americana è ugualmente significativo» (The fatal Embrace: Jews and the State). Nel 2007 la rivista Vanity Fair stilò una lista dei personaggi più potenti al mondo (banchieri, magnati dei media, editori etc.): più della metà risultavano essere ebrei. Il caporedattore del The Chicago Jewish News, Joseph Aaron, affermò che gli ebrei dovevano sentirsene particolarmente fieri ed aggiunse compiaciuto che si può ben dire che «noi ebrei deteniamo molto potere».
Il potere ebraico non è mai fine a se stesso. Come nel 1800, allorché si operò una convergenza fra gli interessi imperialistici della Gran Bretagna e gli obiettivi messianici di Israele, così al giorno d’oggi il giudaismo internazionale – influenzando pesantemente soprattutto la politica interna ed estera degli Stati Uniti – anima, asseconda e favorisce il progetto mondialista, e questo perché il mondialismo spiana la strada al dominio mondiale giudaico promesso da Jahvè fin dai più remoti tempi biblici e ribadito successivamente dalla tradizione rabbinica.
Perché solo su una umanità senza storia e senza tradizioni, solo su una poltiglia informe di uomini e popoli senza radici spirituali il potere mondialista ebraico-plutocratico può esercitare impunemente la sua sovranità assoluta. Ciò spiega la ragione per cui, soprattutto in Europa, ogni voce dissonante venga repressa.
Chi ha imposto ai governi compiacenti le leggi repressive contro la libertà di ricerca storica, in barba ai tanto declamati diritti dell’uomo?
Come a Norimberga, saranno i tribunali a stabilire se un fatto è vero o no, se è avvenuto o no, e sempre nella stessa, unica direzione?

 Note di Olodogma:
1) Disponibile presso http://www.ritteredizioni.com/index.php?page=shop.product_details&category_id=21&flypage=shop.flypage&product_id=11151&option=com_virtuemart&Itemid=1&vmcchk=1&Itemid=1
2) Al link il testo della legge che statalizzava la Banca di Germania. Anno 1939,15 Giugno: http://olo-truffa.myblog.it/archive/2011/04/02/temp-5430cdef001f754842b30a42ec9fe9c5.html
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domenica 12 febbraio 2017

LE OPINIONI ERETICHE: COS'E' DEMOGRAFIA.

 

Le opinioni eretiche: Cos’è demografia.

La demografia, questa sconosciuta: mi verrebbe da dire, sentendo certa nostra sprovveduta “classe dirigente” pontificare sui più disparati argomenti senza porsi il problema delle cause e, soprattutto degli effetti, di eventi che potrebbero sembrare casuali, accidentali, isolati; ma che invece sono legati tra di loro da precisi rapporti di causa-ed-effetto, e le cui più spiacevoli (e previdibilissime) conseguenze potrebbero essere forse prevenute con un po’ di sano realismo. Un ausilio importantissimo, essenziale per lo studio (e per la soluzione) di tanti fra i problemi che oggi assillano i popoli potrebbe certamente essere fornito dalla demografia. E non – a modesto parere del sottoscritto – come fattore a sé stante, come scienza da laboratorio; bensì come preziosa suggeritrice – mi si passi il termine – di possibili rimedi alle urgenze dell’ora presente. La demografia – com’è possibile apprendere da un qualunque dizionario – è la scienza che studia le dinamiche della popolazione del mondo (o di una sua parte) sia sotto l’aspetto biologico che sotto l’aspetto sociale. La demografia come scienza è nata in pratica con il positivismo (quindi appartiene teoricamente al bagaglio culturale di una sinistra illuminata); in Italia ha avuto il suo momento di maggior fortuna durante il periodo fascista. Nel dopoguerra la demografia ha subìto un certo ostracismo, perché da taluni considerata “scienza fascista”. Nelle università fu declassata al rango di “materia complementare”, di quelle che “si davano” per alzare la media. Il suo insegnamento venne solitamente affidato – almeno in un primo tempo – a docenti che non avevano paura di apparire legati al “deprecato regime”; qui da noi – ricorderanno quelli della mia generazione – ad un siciliano illustre quale Alfredo Cucco, oculista di fama, già alto gerarca fascista e poi parlamentare del Movimento Sociale Italiano. Quali che siano gli antecedenti storici, comunque, oggi una buona ripassata ad un onesto manuale di demografia sarebbe utile a tanti; e senza neanche il timore di apparire “nostalgici”, giacché le dinamiche del popolamento sono oggi completamente diverse rispetto a quelle degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Mi permetto di suggerirne la lettura, in uno con quella di alcuni dati statistici relativi alla popolazione del mondo, dei suoi continenti e delle sue nazioni, della nostra in particolare; dati da considerare non in termini astratti, ma alla luce della realtà politica, sociale, economica e antropologica di questo momento storico. La statistica, d’altro canto, è stata da sempre una componente essenziale della demografia. Cominciamo, dunque, dal più inquietante dei dati statistici: nella prima metà dell’Ottocento tutti gli abitanti del mondo non raggiungevano il numero di un miliardo; gli europei erano circa 200 milioni, il 20% del totale. Centocinquant’anni dopo, nel 1950, la popolazione mondiale era aumentata del 150% (toccava i 2 miliardi e mezzo) e l’incremento della popolazione europea era più o meno in linea (550 milioni). Dopo poco più di mezzo secolo, nel 2011, gli abitanti del globo erano già più che raddoppiati (7 miliardi), mentre gli europei erano 700 milioni, il 10%. Nel 2050 – secondo le previsioni – la popolazione mondiale salirà a 10 miliardi, mentre quella europea scenderà a 600 milioni. Altro dato che ci interessa particolarmente: gli africani, che nell’Ottocento erano la metà degli europei, sono oggi circa un miliardo, e nel 2050 saranno più o meno due miliardi. Crescita da capogiro, che va a braccetto con quella – numericamente maggiore ma percentualmente più bassa – degli asiatici: 600 milioni nell’Ottocento, 4 miliardi oggi, saranno oltre 5 miliardi nel 2050. E, ancòra, mentre fino a poco tempo fa si riteneva che un vagheggiato “declino della fertilità” avrebbe stabilizzato la popolazione mondiale attorno ai 10 miliardi, oggi si prevede solo un “rallentamento”: nel 2100, secondo le ultime proiezioni dell’ONU, gli abitanti del globo dovrebbero essere all’incirca 11 miliardi e 200 milioni; africani e asiatici al galoppo, europei (al netto degli immigrati) sempre in calo. Ecco, questi numeri dovrebbero essere tenuti ben presente non soltanto da chi insiste ancòra sul “crescete e moltiplicatevi” in un mondo che ha sempre più fame e sete, ma anche da una classe dirigente europea (Merkel in testa e nanetti in fila per due) che teorizza una Europa “senza muri e senza barriere”, un po’ come quel capofamiglia folle che progettava di togliere porte e finestre alla propria abitazione. Hanno una pallida idea, questi signori, di quale scenario da incubo possa prefigurarsi – da qui a 35 anni – con mezzo miliardo di europei assediati da 2 miliardi di africani e da una parte almeno dei 5 miliardi di asiatici? Già, perché i migranti africani e asiatici continueranno ad avere come unica meta l’Europa, essendo l’America irraggiungibile, protetta com’è dall’immensità degli oceani. Passiamo ad altro. Qualcuno si è chiesto il perché dell’impennata delle nascite nei Paesi cosiddetti “sottosviluppati”? Due i motivi: la fine delle politiche di controllo delle nascite nei paesi poveri (avversate da quasi tutte le confessioni religiose, in primis dalla cattolica) ed il progresso medico (che ha prodotto una drastica diminuzione di aborti e morti neonatali). E perché questi medesimi meccanismi non hanno inciso anche sulla fertilità europea? Semplice: perché la popolazione europea – più evoluta rispetto ad altre realtà – ha programmato la propria prole in termini compatibili con le condizioni economiche generali. E oggi – come è evidente – il numero massimo di figli che una coppia “normale” può permettersi è di 2. Dal che deriva ciò che la statistica indica come “crescita zero”. E – si tenga presente – per “normale” intendo qualunque nucleo familiare che non sia in condizione di povertà o di abnorme agiatezza. Perché ciò? Perché la società odierna “impone” dei “lussi” di cui si potrebbe benissimo fare a meno (due o tre autovetture per famiglia, un televisore in ogni stanza, un telefonino (possibilmente di ultima generazione) per ogni membro del nucleo familiare, le ferie al mare, la discoteca al sabato, il ristorante alla domenica, eccetera). E, mentre è possibile che una famiglia faccia o sia costretta a fare i “sacrifici” che le consentano di far quadrare il bilancio, l’economia generale non può agire allo stesso modo: due o tre auto per famiglia sono necessarie per tenere a galla l’industria dell’auto; e tutti gli altri “lussi” individuali o familiari servono per alimentare le altre industrie, il commercio, il turismo, i servizi. Il progresso (tecnologico, economico, sociale, culturale) ha generato quella che si suol definire “società dei consumi”; e tale società, avendo ovviamente bisogno dei “consumatori” per poter sopravvivere, ha modificato le abitudini del pubblico, suggerendo e, anzi, quasi imponendo nuove esigenze: auto, elettrodomestici, divertimenti, eccetera. Esigenze che inevitabilmente drenano quelle risorse familiari che, in un diverso contesto sociale, sarebbero probabilmente dedicate ad accogliere e ad allevare nuova prole. Quanto sopra va necessariamente tenuto presente nell’elaborazione di una strategia per contenere il disastro che le statistiche demografiche preannunziano per l’immediato futuro. È possibile quella che taluno chiama “decrescita felice”? è possibile il ritorno ad una società protoindustriale, con poche auto, senza tv né internet e, tutt’al più, con un telefono “fisso” nelle abitazioni meno modeste? Se tutto ciò non è ipotizzabile, allora la Politica europea deve necessariamente porsi un obiettivo irrinunciabile: il miglioramento, un forte miglioramento delle condizioni economiche della popolazione, perché solamente un maggiore benessere e, soprattutto, la certezza di un futuro ragionevolmente sereno potranno indurre gli europei a fare più figli, in modo da poter meglio fronteggiare gli squilibri demografici che si prospettano. I lettori avranno notato che, citando la Politica, ho usato la “P” maiuscola. A ragion veduta. In un periodo di calma piatta, i popoli possono forse permettersi il lusso di politici con la p minuscola, di politicanti in cerca di affari e di affaristi travestiti da politicanti. Nei momenti drammatici come quello che viviamo oggi, nei momenti cruciali, è necessario che la Politica torni ad essere grande, torni ad avere grinta, volontà e genio creativo. Per esempio, via le riforme buone per un còmpito della prima classe di ragioneria, come quella che vuol mandare i nostri figli in pensione con 400 euro al mese; e largo a chi è in grado, per esempio, di pensare ad uno Stato che paghi le pensioni con denaro suo, creato da una banca di Stato, e non preso a prestito dalle banche d’affari e dai “mercati”. Cosa non facile, perché le banche d’affari ed i mercati difficilmente rinunceranno a servirsi di tanti politici con la “p” minuscola, del tipo di quelli che – magari – non sanno nemmeno che cosa sia la demografia.

 da RINASCITA Sinistra Nazionale
                                                                                                                                                  

lunedì 6 febbraio 2017

LA GRANDE MASCALZONATA

LA GRANDE MASCALZONATA
di Filippo Giannini

 
Dopo le riprovevoli e ripetute rappresentazioni su tutti i “mass-media” avvenute in occasione della
ricorrenza della “Giornata della Memoria” del 27 gennaio, leggo su “Il Messaggero” del giorno successivo:
“Nasce il museo dello Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo
periodo, la residenza di Benito Mussolini, con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità
del Duce nelle malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.
Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano
Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce,
ordinò: <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi
storiche>.
A distanza di oltre sessant’anni ancora si parla di questo argomento. Perché?
Per avere una visione più chiara della infinita serie di mascalzonate che vengono quotidianamente
“scaricate” su quell’uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947 (indicarlo come
“iniquo” è riduttivo) ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali): <L’Italia, la
quale, in conformità dell’art. 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le
organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili
organizzazioni>. E i “politici” italiani che si sono succeduti dal 1945 ad oggi, si sono piegati
vergognosamente a questo “diktat”, inventando, manipolizando e storpiando la storia, non curandosi
minimamente, per giungere allo scopo prefisso, di infangare la memoria di un morto che operò in modo
completamente difforme dalle accuse di cui è stato fatto carico.
Una qualsiasi persona di media intelligenza si dovrebbe chiedere: “cosa può interessare ad una grande
democrazia (sic), come quella americana se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la
dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per
“il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la
necessità delle grandi menzogne, delle mascalzonate.
“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppato su diversi tentacoli; leggiamo, sempre su “Il
Messaggero”, stessa data, pag, 41: <A scuola. Lezioni, mostre e percorsi virtuali nei campo di
sterminio>. In pratica dei nostri ragazzi “il sistema” ne fa degli automi, il cui carburante è la menzogna. E
allora facciamo un po’ di storia, quella documentata e documentabile.
Per costruire il mostro (e i mostri) si è costruita un’accusa che riteniamo la più infamante e la più
menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I
detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”, termine
dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo sulle atrocità commesse
da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi
sostengono.
Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi,
citiamo un’osservazione di Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88): <Fra fascismo italiano e
nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che
somiglianze>. Infatti, e lo dobbiamo ricordare, anche se l’ebraismo internazionale si era schierato contro il
Fascismo, sia nella guerra civile di Spagna che nel decretare le sanzioni, per continuare poi negli anni
successivi. Mussolini impose per il problema ebraico le leggi razziali (certamente odiose e inique), ma con
l’ordine “discriminare, non perseguire”. Stabilito ciò, e stabilito che <il fascismo fece propria la dottrina
razziale più per opportunità politica – evitare una difformità così stridente all’interno dell’Asse – che
per interna necessità della sua ideologia e della sua vita politica> (ibidem, pag. 102).
Trattare l’argomento “fascismo – ebrei” è stato (e lo vediamo, lo è ancora) un cozzare contro un muro
eretto dall’antifascismo internazionale, muro costruito e cementato da falsità che con la Storia non hanno
nulla a che vedere. Vediamo, allora, di cercare un varco che possa dipanare le nebbie artatamente montate e
avvicinarci a qualche sprazzo di verità.
Un attento studioso dell’”Olocausto ebraico” (specifichiamo “ebraico”, perché di “Olocausti” se ne
dovrebbero ricordare ben altri, dei quali i “nazifascisti” o non ne erano responsabili o, addirittura, ne furono
le vittime), Mondekay Poldiel, scrive: <L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e
quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi
rimanessero lettera morta>. Per i “duri d’orecchi” Poldiel scrive che TUTTI (anche i fascisti, come sarà
rimarcato anche più avanti) non solo non “perseguirono”, ma neanche “discriminarono”, questo almeno
fino a quando… ma andiamo con ordine.
Per dimostrare quanto fosse lontana dal pensiero mussoliniano la “questione ebraica” è da ricordare che
nel 1934, in occasione dell’incontro con Weizmann , Mussolini concesse tremila visti a tecnici e scienziati
ebrei che desideravano stabilirsi in Italia. Nel 1939 (attenzione alla data) vennero aperte le aziende di
addestramento agricolo, le “haksharoth” (tecniche poi trasferite in Israele) che entrarono in funzione ad
Airuno (Como), Alano (Belluno), Orciano e Cevoli (Pisa). Così, sempre in quegli anni, nei locali della
Capitaneria di Porto, la scuola marinara di Civitavecchia ospitava una cinquantina di allievi che poi
diverranno i futuri ufficiali della marina da guerra israeliana.
Tutto ciò – e tanto altro ancora – può essere un sufficiente esempio per illustrare il criterio delle
applicazioni delle “Leggi Razziali” in Italia.
Quanto sin qui scritto è solo l’inizio della lunga storia che riguarda i rapporti fra fascismo e gli ebrei. La
documentazione più completa è contenuta nel mio libro di prossima pubblicazione, ma desidero porre alcune
domande ai detrattori, ai dispensatori di ingiurie maramaldesche scagliate un po’ per ignoranza e molto per
un bieco, ignobile, servile tornaconto contro un uomo che tutto il mondo ci invidiava:
1) perché non spiegate alle scolaresche e ai telespettatori cos’era la DELASEM? Da chi fu autorizzata?
Che funzioni svolgeva? E, soprattutto, in quali anni operò?
2) Perché gli ebrei tedeschi, austriaci e quelli che vivevano nei Paesi occupati dalle truppe germaniche si
rifugiavano nell’Italia fascista? Eppure, sapete bene che nell’Italia fascista vigevano le leggi razziali?
3) Perché quegli stessi ebrei non chiedevano asilo ai “Paesi democratici” o, meglio ancora, nel
“paradiso sovietico”.
4) Perché non ricordate quanto hanno scritto su questo argomento storici ebrei come Mondekay Poldiel,
Rosa Paini, George L. Mosse, Menachem Shelah, Emil Ludwig? E questo è solo un frammento di
quanto c’è da raccontare e da scrivere, solo se si anelasse alla verità.
5) Perché non parlare sempre di personalità ebraiche come Ludwig Gumplowicz, Cesare Goldman,
Duilio Sinigaglia, Aldo Finzi, Dante Almasi, Guido Jung, Margherita Malfatti e mille altri ancora?
6) Perché non ricordare gli ordini che dette Mussolini al generale Robotti dopo la visita di Ribbentrop?
7) Perché non far presente quando e in quale occasione i tedeschi misero le mani su tanti infelici sino a
quel giorno al sicuro dietro ad uno “scudo protettore”?
8) Quindi, e di conseguenza, sarebbe fuori luogo asserire che gli ebrei furono consegnati alle camere a
gas (sempre che siano esistite realmente) dal primo governo antifascista?
9) Sì, perché, perché. Perché?
10) Ma un altro perché, e non è male ricordarlo, è doveroso porlo, anche se è drammatico e frustrante.
Perché i discendenti del Duce (a parte Donna Rachele) mai nessuno si erse, o si erge a difenderne la
memoria? Eppure le possibilità non erano, e non sono ancora mancate.
E allora: maestri, genitori, per contrastare almeno parzialmente questi vili attacchi, cercate la verità e
parlatene con i vostri scolari, i vostri studenti, i vostri figli.
“Quell’uomo” non merita davvero quanto questo infido sistema, per sopravvivere a sé stesso, opera per
infangarne la memoria.
P.S. Dato che intendo andare avanti su questa strada, saputa la persecuzione cui sono stati oggetto David
Irving, René-Louis Berclaz, Ernst Zündel e altri, prendo a spunto una frase che avrebbe detto “qualcuno”
a la faccio mia: <Ora preparate la mia orazione funebre>.

                                                                                                                                         

mercoledì 1 febbraio 2017

FOIBE


Una vergognosa verità nascosta a   NOI ITALIANI

Introduzione
Sicuramente tutti avrete sentito parlare di "làger", di "campi di sterminio", di "campi di concentramento" e di "Auschwitz"; parole che, a priori, senza spiegazioni, sono etichettate come orribili accadimenti avvenuti durante il fascismo ed il nazismo. Poche persone però conoscono le foibe, oppure città come Bassovizza, Opicina, Borovnica, Maribor, Aidussina e tanti altri paesi della Jugoslavia. Non sono località di campeggiatura o di vacanza ma sono stati luoghi di tortura e di sterminio che hanno visto vittime, tra il ’43 ed il ’46, moltissimi soldati fascisti e nazisti, da parte dei partigiani slavi e italiani ( ..e questa è una grande vergogna!!) e dei titini. Le vittime sono state migliaia ed il numero preciso non si è saputo in passato e mai si saprà, neanche in futuro poiché questo evento è stato nascosto a NOI ITALIANI per oltre 50 anni, periodo in cui venivano fuori “gli orrori” dei campi di concentramento nazisti, orrori che erano “adornati” di menzogne e bugie collettive. Ma che cosa sono le foibe?

Le foibe
 
“Foiba” deriva dal latino “fovea” che significa “fossa”. La foiba è un tipo di dolina costituita da un avvallamento imbutiforme sul fondo del quale si trova comunemente un inghiottitoio. Proprio in queste fosse, in Istria inizialmente e successivamente in Jugoslavia, avvenivano le stragi. I titini, in collaborazione con i partigiani, si recavano casa per casa, con le liste di proscrizione, a prelevare fascisti e nazisti per torturarli e seviziarli. Alla fine di queste barbarie i corpi martoriati e alcuni ancora agonizzanti, venivano gettati in queste fosse, profonde a volte anche due o trecento metri, e venivano abbandonati indegnamente. Il numero dei morti, come si è detto, è sconosciuto ma sicuramente sono state migliaia le vittime di questa infamia e molte le persone che, sopravvissute, vivono con il ricordo di questo bruttissima esperienza.

Chi era Tito? (uno sprazzo di storia)

Tito è lo Pseudonimo di Josip Broz (Kumrovec, Croazia 1892 - Lubiana 1980), uomo politico di origine croata, presidente della Iugoslavia (1953-1980). Costui dopo la seconda guerra mondiale costituì uno stato comunista indipendente dall'URSS, divenendo il leader delle nazioni non allineate.
Durante la prima guerra mondiale prestò servizio come sottufficiale nell'esercito austriaco. Ferito e fatto prigioniero dai russi, all'epoca della Rivoluzione del 1917 simpatizzò per i bolscevichi, abbracciandone la causa. Tornato in Croazia (divenuta parte del Regno di Serbia, Croazia e Slovenia, in seguito Regno di Iugoslavia), partecipò all'organizzazione clandestina del Partito comunista. Dopo aver scontato una condanna in carcere (1928-1934) e avere assunto lo pseudonimo di Tito, andò a Mosca a lavorare per il Comintern, il futuro Cominform (vedi Internazionale socialista). Rimandato nel 1937 in Iugoslavia per epurare la locale Lega dei comunisti, Tito fu in quel periodo fedele sostenitore della politica del Comintern e criticò la dominazione serba sulle altre etnie iugoslave. Nel 1941 creò una forza di Resistenza partigiana interamente iugoslava, che si batté contro gli occupanti nazisti e i loro alleati fascisti della Croazia, gli ustascia di Ante Pavelic. Nel 1942 istituì un governo provvisorio a maggioranza comunista, che lo portò a scontrarsi con i cetnici, un movimento di resistenza serba che lottava per la restaurazione della monarchia. Dopo alcuni vani tentativi per riconciliare i gruppi rivali, nel 1944 gli Alleati diedero il proprio appoggio a Tito, che riuscì a respingere le forze nemiche fino in Austria e a occupare l'Istria.
Alla fine della guerra, Tito riunì sotto il proprio governo tutto il paese (pur riconoscendo le etnie regionali), senza indire un referendum che scegliesse tra la restaurazione della monarchia o la costituzione della repubblica, instaurando così una dittatura fondata sul partito unico.
Agli inizi fedele seguace di Stalin, quando il leader sovietico criticò alcune sue decisioni Tito respinse qualsiasi ingerenza nella sua linea politica. Come conseguenza, nel 1948, la Lega dei comunisti iugoslavi venne espulsa dal Cominform; Tito allora, invece di adeguarsi, scelse la resistenza, propugnando una "via nazionale al socialismo" che si fondava su forme di autogestione nelle industrie, nuovi programmi economici più liberisti e un parziale decentramento del potere governativo.
Tito è stato elogiato, e ancora oggi lo è, per il suo impegno politico nei paesi slavi, ma non viene giudicato per la persona che rappresenta veramente… Una persona senza ritegno… Un assassino!!

Perché “una verità nascosta”?

 
Vi chiederete come mai nei libri di storia delle scuole medie, superiori e università non sono citati questi avvenimenti e queste stragi, ma la risposta è tanto facile quanto incomprensibile. Di fatti il periodo seguente alla seconda guerra mondiale è stato un periodo prevalentemente anti-fascista e anti-nazista, che era mirato soprattutto a denunciare ciò che era accaduto nei campi di concentramento in Germania ed in Italia, colpevolizzando quindi tutta l’attività fascista e nazista avvenuta precedentemente. E’ “ovvio”, quindi, che non potevano essere messi in evidenza, o ricordati, quei fatti che potevano essere sconvenienti a tutti i comunisti, socialisti o comunque a tutte quelle persone che avevano ideali anti-fascisti, e proprio per questo si è preferito tacere e nascondere tutta la verità con grande vigliaccheria per più di cinquanta anni.
Molte persone attendono ancora che venga fatta giustizia e tra queste, oltre a NOI ITALIANI di buon senso, anche moltissimi familiari degli “infoibati” che vedono ancora oggi l’indifferenza più assoluta delle autorità competenti. Come se non bastasse l’INPS eroga 29.149 pensioni nell' ex Jugoslavia spendendo circa 200miliardi l'anno. Fra questi vecchietti che hanno diritto alla "minima" si annidano alcuni " presunti" responsabili della pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito contro gli italiani alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Crimini di guerra che hanno fatto sparire per sempre, nelle foibe, migliaia di persone e hanno provocato un esodo di 350 mila istriani, fiumani e dalmati. Una tragedia che ha segnato la storia del nostro Paese. Fino ad oggi abbiamo sborsato oltre 5mila miliardi e non sono servite denunce, interrogazioni parlamentari e inchieste della magistratura a bloccare questa vergogna.
Le più sentite condoglianze..
IlRas porge le sue più sentite condoglianze a tutti i familiari delle vittime che in quegli anni di guerra e lotte interne hanno sacrificato la loro vita per il bene della patria. E' proprio il ricordo che manterrà vive queste persone valorose nei nostri cuori... senza il ricordo, tutto è perduto!



   DA IL RAS BLOG





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