sabato 30 aprile 2016

IL MASSACRO DEI VINTI -- Milazzo Angelina, 22 anni,

                                     
 
                                             REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: 

 UNA REPUBBLICA NECESSARIA

LO SCIAGURATO OTTO SETTEMBRE SANCISCE, DI FATTO, LA FINE DELLO STATO NAZIONALE: SCHIACCIANTI LE RESPONSABILITA' DEL RE E DI BADOGLIO ("L'UOMO DI CAPORETTO", NON DIMENTICHIAMOLO!) IL CUI GOVERNO E' COMPLETAMENTE DIPENDENTE DAGLI ANGLOAMERICANI CHE SONO SBARCATI IN SICILIA CON L'AIUTO DELLA MAFIA.
L'INCOSCIENTE "CAMERIERATO" VOLUTO DAL RE (CELEBRE QUANTO AVVILENTE LA FOTOGRAFIA DI CHURCHILL CHE RICEVE IN PANTOFOLE BADOGLIO E BONOMI RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO DEL SUD!) PERMETTE LA DOPPIA OCCUPAZIONE DEL TERRITORIO ITALIANO (AL NORD I TEDESCHI E AL SUD GLI "ALLEATI") E LO SCOPPIO DELLA GUERRA CIVILE FRATRICIDA SCATENATA DAI COMUNISTI. UN TRAGICO SCENARIO CHE PRENDE FORMA SOTTO LO SGUARDO COMPIACIUTO E DIVERTITO DEI "LIBERATORI" CHE, NEL FRATTEMPO, BOMBARDANO SELVAGGIAMENTE LE CITTA' ITALIANE.
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA INDICA, A BUON RAGIONE, LA VIA DELL'ONORE E DEL RISCATTO DOPO IL VILE VOLTAFACCIA BADOGLIANO: E' LA POSSIBILITA' PER MOLTISSIMI GIOVANI DI RITORNARE AD IMPUGNARE LE ARMI CONTRO LE DEMOPLUTOCRAZIE .
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA GARANTISCE LA SALVEZZA DI QUEL POCO CHE RESTA DELLE STRUTTURE STATALI DIFENDENDO GLI INTERESSI POLITICI ED ECONOMICI ITALIANI: E CIO' ANCHE NEI CONFRONTI DEI TEDESCHI FICCANASO SI', (E FORSE CON RAGIONE?), MA NON PADRONI, EVITANDO ALL'ITALIA UN TRATTAMENTO PEGGIORE DI QUELLO RISERVATO ALLA POLONIA.
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E' UN FENOMENO SOPRATTUTTO RIVOLUZIONARIO: CIO' E' DIMOSTRATO DAL PASSAGGIO DALLA FORMA DI GOVERNO MONARCHICA A QUELLA REPUBBLICANA E DALL'EVIDENTE CONNOTAZIONE ANTICAPITALISTICA (BASE DELLA SOCIALIZZAZIONE) DEL NUOVO STATO. IN PARTICOLARE, LA SOCIALIZZAZIONE SI CONTRAPPONE NETTAMENTE AL CAPITALISMO DELLE "DEMOCRAZIE DEL DENARO" CHE, NASCOSTE DIETRO I MITI DELLA "GUERRA GIUSTA" E DELLA "LIBERAZIONE", SONO SCESE IN CAMPO PER SODDISFARE - ESCLUSIVAMENTE - GLI INTERESSI DELLA GRANDE FINANZA INTERNAZIONALE: ALLORA FURONO POSTE LE FONDAMENTA DEL "MONDIALISMO" E DELL'ATTUALE "GLOBALIZZAZIONE".
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, QUINDI, E' DA RITENERSI UNA REPUBBLICA NECESSARIA ED UNA SCELTA PER LA DIGNITA' DELLA NAZIONE.
ESSENZA RIVOLUZIONARIA DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
CON LA NASCITA DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA SI HA, INNANZITUTTO, UNA ROTTURA NEI CONFRONTI DELLA TRADIZIONE MONARCHICA.
E' EVIDENTE UNA CONCEZIONE ANTICAPITALISTICA CHE SI PONE ALLA BASE DELLA SOCIETA' STATALE.
ANTIPLUTOCRAZIA E ANTICAPITALISMO SONO ELEMENTI CONCRETAMENTE ATTUATI NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.
LE INDICAZIONI DI MUSSOLINI SUL LAVORO E SULLA PROPRIETA' PRIVATA SONO ISPIRATRICI DELL'ARTICOLO 1 DEL MANIFESTO DI VERONA.
ANTIPLUTOCRAZIA, ANTICAPITALISMO E LE INDICAZIONI DI MUSSOLINI DEL 18 E 27 SETTEMBRE 1943, SONO LE FONDAMENTA DELLA SOCIALIZZAZIONE.
LA SOCIALIZZAZIONE E' ANCORA PIU' CHIARA NELLA "PREMESSA FONDAMENTALE PER LA CREAZIONE DELLA NUOVA STRUTTURA DELL'ECONOMIA ITALIANA" APPROVATA DAL GOVERNO L'11 GENNAIO 1944.
LA SOCIALIZZAZIONE SI REALIZZA IL 12 FEBBRAIO 1944 CON IL "DECRETO LEGISLATIVO SULLA SOCIALIZZAZIONE DELLE IMPRESE".
LA PREMESSA E IL DECRETO RAPPRESENTANO LA SOSTANZIALE PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ALLA GESTIONE - IN PIENA PARITA' - CON I RAPPRESENTANTI DEL CAPITALE.
L PUNTO 8 DEL MANIFESTO DI VERONA CONTIENE UN'ENUNCIAZIONE, ANCHE SE TEORICA E PROGRAMMATICA, CERTAMENTE RIVOLUZIONARIA: LA VOLONTA' DI CREARE UNA "UNIONE EUROPEA ANTIPLUTOCRATICA E ANTICAPITALISTICA" COME STRUMENTO DELLA FUTURA UNITA' POLITICA DEL CONTINENTE.
LA SOCIALIZZAZIONE E' L'INIZIO CONCRETO DI UN PROGRAMMA CHE MIRA ALLA RADICALE TRASFORMAZIONE, IN SENSO ANTICAPITALISTICO, DELLA STRUTTURA DELLA SOCIETA' ITALIANA.
E' UN PROGRAMMA CHE NON RIGUARDA SOLTANTO LA SOCIALIZZAZIONE DELLE IMPRESE, MA E' DESTINATO AD INVESTIRE TUTTO IL SISTEMA PRODUTTIVO ED ECONOMICO: NELL'AGRICOLTURA, NEL COMMERCIO E NELLA FINANZA.
IL MODELLO ECONOMICO DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA TRAE ISPIRAZIONE DAL MODELLO CORPORATIVO FASCISTA MA, SI BASA SU NUOVI PRESUPPOSTI E SUL FONDAMENTO DELL'IMPRESA SOCIALIZZATA.
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Milazzo Angelina, 22 anni, Ausiliaria R.S.I. , medaglia d'oro al v.m. morta per salvare una donna incinta

Fede illumina.
 Amore abita. 
Pace amministra.
 Onore adorna.
Milazzo Angelina, uccisa a 22 anni  durante un'incursione aerea  inglese. Medaglia d'oro al valor militare
La tomba di Milazzo Angelina, sepolta nel cimitero militare dei caduti della Repubblica Sociale Italiana
a Milano Musocco, Campo X

Angelina Milazzo, Medaglia d'oro al VM, era un' Ausiliaria Femminile della Repubblica Sociale Italiana. Aveva solo 22 anni quando cadde a Garbagnate facendo scudo con il proprio corpo ad una donna incinta già ferita, durante il successivo ripassaggio dell' infame "Pippo" di turno. Il gesto le valse una copertina della "Domenica del Corriere" del Febbraio 1945.
Nacque ad Aidone , un piccolo paese a pochi chilometri da Enna, in Sicilia, il 18 aprile del 1922. Il padre, Filippo Lucio, mutilato di guerra e decorato con Medaglia al Valor Militare, e la madre, Nerina Bruno, gestivano un negozio di stoffe in centro. Sin da piccola, Angelina Milazzo, guardava con fascino e ammirazione le imprese compiute, dagli eroi e patrioti italiani, nella conquista dell’Unità d’Italia e successivamente nel corso della Prima Guerra Mondiale con la vittoria sull’esercito austro – ungarico. Con la Marcia su Roma, 28 ottobre del 1922, e la presa di potere da parte del Regime Fascista di Benito Mussolini, Angelina Milazzo, formò carattere e personalità grazie alla rigida e sana disciplina culturale del fascismo. Dotata di rara intelligenza si iscrisse presso l’istituto magistrale con l’obiettivo di diventare insegnante di scuole elementari. In seguito alla mozione di Dino Grandi, il 24 luglio del 1943, che determinava la caduto del Governo Fascista, l’arresto e la liberazione di Benito Mussolini con la successiva nascita della Repubblica Sociale Italiana, Angelina Milazzo, decise di abbandonare gli studi per arruolarsi, come volontaria, nel Servizio Ausiliario Femminile e seguire così la strada dell’Onore. Prima di essere assegnate ai rispettivi Comandi, le giovani donne, dovevano partecipare e superare i sei corsi di addestramento che si tennero a Venezia, Roma e Como. Inizialmente, le ausiliarie, prestavano solo assistenza infermieristica negli ospedali militari, lavoravano negli uffici e alla propaganda, allestendo posti mobili di ristoro per le truppe, come supporto allo sforzo bellico. Nel Servizio Ausiliario Femminile affluirono giovani donne di tutte le condizioni sociali e da ogni parte dell’Italia, tante ragazze quasi maggiorenni, molte sposate e parecchie madri. Già durante il corso di addestramento, Angelina Milazzo si mise in evidenza come esempio per le sue commilitoni per fede e disciplina. Terminato il periodo di addestramento, fu assegnata al Comando del Sevizio Ausiliario Femminile di Vicenza ottenendo subito una citazione all’ordine del giorno per la capacità e lo spirito di iniziativa dimostrati nel portare a termine una difficile impresa. Intanto i cacciabombardieri angloamericani aveva il compito di mitragliare e colpire qualsiasi cosa si muovesse sul territorio. Arrivavano all’improvviso, in città e nelle campagne, attaccando treni, corrieri, autovetture e persone. L’obiettivo era di spezzare il morale alla popolazione civile italiana. Il 21 gennaio del 1945, Angelina Milazzo, durante un viaggio di servizio in treno, nei pressi di Garbagnate, pochi chilometri da Milano, i cacciabombardieri iniziarono a fare fuoco. I passeggeri del treno, prontamente fermato, cercarono riparo nei prati lungo la linea ferroviaria. Una viaggiatrice, in stato di gravidanza, cadde a terra e Angelina Milazzo, invece di cercare scampo, sprezzante del pericolo si lanciò in soccorso della donna ferita, facendo scudo con il proprio corpo. Nella scorreria dei mitragliatori, la giovane volontaria del Servizio Ausiliario Femminile, fu colpita a morte da una scarica, salvando con il suo sacrificio la vita di una madre. Il gesto le valse una copertina sul giornale della Domenica del Corriere nel febbraio del 1945. Il Comandante di Brigata del Servizio Ausiliario Femminile, Piera Gatteschi Fondelli, propose ed ottenne, il conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria di Angelina Milazzo.


“In viaggio di servizio durante un mitragliamento aereo, sacrificava coscientemente la vita per salvare una gestante già ferita. Suggellava con l’offerta suprema la fulgida vita di volontaria”.
                                                                                                                                                                 


                   

mercoledì 27 aprile 2016

OPINIONE - LUISA FERIDA


Sauro  Rosati

Riuscite a riconoscervi ? ...Il classico specchietto per le allodole che serve a distrarvi dai problemi veri in cui questo pseudopaese sta annegando ?
Inebetiti dal continuo speciale sul campionato, sugli anticipi, sui posticipi, sulla coppa ...del nonno, sui vari intrecci amorosi del signor e signorina nessuno, degli infiniti e onnipresenti dibattiti di opinionisti veditori di nebbia, che siano le trivelle, i diritti degli immigrati, la parità dei generi, i tagli di spesa pubblica inesistenti, la diminuizione dei parlamentari, la vendita delle auto blu, la riduzione delle tasse, la ripresa, le indagini su scandali e tangenti mai concluse con una condanna, ecc.....TUTTE CAZZATE !!
Nessuno vi spiegherà che le attività che chiudono o delocalizzano non possono essere sostituite dall'ennesima municipalizzata o partecipata: le prime pagano le tasse per produrre, le altre bruciano quelle che le prime pagano .....senza risultati; nessuno vi garantirà una pensione adeguata ai versamenti che durante una intera vita lavorativa vi assicura un DIRITTO, il "tecnico" imposto e politicamente corretto provvederà ad ... "ACQUISIRE" e stornare i vostri soldi sui loro vitalizi; la lotta all'evasione si ferma allo scontrino del bar o alla prestazione dell'artigiano, i movimenti che le varie ENI, FinMeccanica, ecc estero su estero rimarranno fuori dalle partite.
Nel Bel Paese restano sempre meno autoctoni, sfruttando la demagogia delle varie Coop di accoglienza si sta concretizzando la sostituzione della razza e la generazione mista sarà il futuro , dove pochi incapaci allevati a politica e inciuci governeranno su un gregge di pecore belanti che rinnegherà la nostra storia e le nostre tradizioni.
Gli specchietti per le allodole servono al cacciatore per frastornare l'animale, lo attraggono, lo confondono e lo ipnotizzano in modo che perda la ragione ..... la fine è scontata !!

                                                                                                                                             

Luisa Ferida (Luigia Manfrini Farné), attrice, 31 anni, fucilata incinta dai partigiani, dopo un processo farsa, il 30 aprile 1945 a Milano

"Hai detto che volevi seguirmi ovunque, questo è il momento"
Osvaldo Valenti a Luisa Ferida un momento prima della loro fucilazione.
Luisa Ferida, nata a Castel San Pietro Terme il 18 marzo 1914, fucilata a Milano, dopo un processo farsa, insieme a suo marito Osvaldo Valenti, il 30 aprile 1945. Aspettava un bambino. L'ordine di fucilazione fu impartito dall'allora capo dei partigiani e poi presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini. Pochi giorni dopo tutti i suoi averi furono rubati. In seguito, fu stabilita la sua completa innocenza e fu riabilitata. Alla madre di Luisa fu assegnata pertanto, come di diritto,  una pensione di guerra, Nel 2008, il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, non permise la collocazione di una targa in sua memoria. Anche l'ANPI si oppose.

Tomba di Luisa Ferida (Luigia Manfrini Farné)
Campo X, Campo dell'Onore - Musocco, Milano


Luisa Ferida, l'attrice fucilata dai partigiani
La responsabilità morale di Sandro Pertini nell'assassinio della giovane attrice
Rimozione della targa in memoria di Luisa Ferida
Lettera di Carlo Smuraglia (ANPI) contro la targa in memoria di Luisa Ferida
Il Giornale d'Italia: Luisa Ferida assassinata a sangue freddo
La targa commemorativa non voluta da Pisapia


Milano, Campo X, Campo dell'Onore, dove è sepolta Luisa Ferida e una piccola parte dei caduti della Repubblica di Salò. Questo Campo è la Nostra Casa della Memoria. Onoriamo i nostri caduti. Riposino in pace.
                                                                                                                                             

domenica 24 aprile 2016

LA STORIA NON SI CELEBRA, SI STUDIA

LA STORIA NON SI CELEBRA, SI STUDIA
Ogni anno, con l’approssimarsi del 25 aprile, si susseguono a ritmo incalzante le rievocazioni della guerra di "liberazione". E’ un crescendo di manifestazioni, convegni e interventi per celebrare degnamente il sacrificio dei partigiani e di quanti si immolarono per riportare in Italia "libertà e democrazia". Le piazze si tingono di rosso e i ricordi della "barbarie nazifascista" riaffiorano alla mente.
Tutto bene tranne che…
 Dei "crimini" fascisti oramai sappiamo tutto o quasi, ma cosa sappiamo del lato oscuro della resistenza, quello fatto di processi sommari, fucilazioni, fosse comuni e soldati uccisi sui letti di ospedale o prelevati dalle prigioni e freddati con un colpo alla nuca, di violenze e stupri ai danni delle ausiliarie e delle donne fasciste? Poco, molto poco.
E delle motivazioni, non sempre nobili, che hanno portato i partigiani a coprirsi il volto e a imbracciare il fucile cosa ci è fatto sapere? Praticamente nulla.
Conosciamo tutti la triste vicenda dei 7 fratelli Cervi uccisi dai fascisti (è stato perfino tratto un film), ma quanti conoscono l’altrettanto dolorosa storia dei 7 fratelli Govoni, tra cui una donna, assassinati dai partigiani perché uno di essi vestiva la camicia nera?
Si ricordano giustamente le 365 vittime della strage nazista delle Fosse Ardeatine, mentre è stata rimossa dalla storia un’altra orribile strage, quella di Oderzo dove, a guerra finita, 598 tra allievi ufficiali e militi della Guardia Nazionale Repubblicana furono fucilati dai partigiani e gettati nel Piave dopo essersi arresi e aver deposto le armi.
 Di vicende come queste la storia, quella vera, ne è piena.  Non è mia intenzione fare la macabra contabilità dei morti o stabilire chi maggiormente si macchiò le mani di sangue innocente, ma solo contribuire a sollevare quel velo di omertà che copre le malefatte dei vincitori e questo non per spirito di rivalsa, ma solo per amore di verità, perché solo riconoscendo gli errori del passato possiamo evitare di ripeterli in futuro.
Messi con le spalle al muro i sostenitori della mitologia partigiana, dopo aver negato per sessant’anni i crimini della loro parte, ora ammettono, a bassa voce e con evidente imbarazzo, che “in effetti qualche errore e qualche eccesso effettivamente ci furono….però” e qui incomincia la solita tesi di comodo secondo cui da una parte, quella partigiana, c’era chi combatteva per la libertà, mentre dall’altra parte c’erano i sostenitori della tirannide nazifascista. Quindi, secondo loro, quei crimini sono pienamente giustificati dal nobile fine, esattamente come le Foibe, anch’esse nascoste per sessant’anni e poi presentate come reazione alla presunta oppressione fascista.
Se dovesse prevalere questa logica qualunque crimine, anche il più efferato, sarebbe giustificato. Dipenderebbe solo dalla potenza di comunicazione e dalla forza di persuasione di chi detiene il potere.
Per motivi anagrafici non ho conosciuto il Fascismo e anch’io, come la maggior parte degli italiani, sono cresciuto a pane e resistenza avendo appreso la storia in maniera superficiale dai libri di testo, dai programmi televisivi e attraverso la cinematografia imperniata sui soliti luoghi comuni che vede i cattivi da una parte e i buoni dall’altra. Solo che non mi sono accontentato della verità ufficiale – quella scritta dei vincitori – e ho voluto approfondire le mie conoscenze. Il risultato è stato che man mano colmavo i miei vuoti i dubbi aumentavano. Dubbi che a tutt’oggi nessuno è stato in grado di sciogliermi.
Il primo dubbio riguarda la definizione dei partigiani quali ”patrioti e combattenti per la libertà”.
Il movimento partigiano pur essendo variegato e spesso al suo interno profondamente diviso era militarmente e, soprattutto, politicamente egemonizzato dal Partito Comunista Italiano (Pci), all’epoca diretta emanazione della Russia Sovietica da cui prendeva ordine (e denari) tramite Togliatti, stretto collaboratore di Stalin, che infatti viveva in Russia.
Obiettivo dichiarato di questi partigiani era quello di fare dell’Italia, una volta sconfitto il fascismo, uno stato comunista satellite dell’Unione Sovietica e di instaurare la dittatura del proletariato.
Non si capisce quindi su quale base logica e storica i partigiani si possano definire tout court patrioti e combattenti per la libertà. Se l’Italia è oggi una Repubblica “democratica” (sul concetto di democrazia, altro grande equivoco, torneremo) non è certo per merito dei partigiani, ma in virtù della divisione del mondo in due blocchi contrapposti decretata a Yalta nel ’45, da cui scaturì la nostra collocazione nel campo occidentale e la conseguente dipendenza americana.
Il contributo dei partigiani alla sconfitta tedesca fu, infatti, del tutto marginale se lo rapportiamo all’enorme potenziale bellico messo in campo dagli alleati. Le fila partigiane s’ingrossavano man mano che l’esercito tedesco si ritirava sotto l’incalzare degli angloamericani. Gli stessi americani avevano una scarsa considerazione dei partigiani e li tolleravano solo perché facevano per loro il lavoro sporco come assassinare i gerarchi fascisti e fare attentati dinamitardi per suscitare la rappresaglia tedesca che fu quasi sempre spietata e spropositata.  
Il 25 aprile del ‘45 Mussolini era a Milano e solo dopo la sua partenza per trovare la morte a Dongo il capoluogo lombardo fu “liberato” dai partigiani che si abbandonarono ad una vera e propria orgia di sangue contro i fascisti o presunti tali, compresi i loro familiari. Come testimoniano le lapidi al Campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano che raccoglie le spoglie dei fascisti (di quelle che si riuscì a recuperare, oltre un migliaio) molti dei quali barbaramente assassinati o fucilati ben oltre il 25 aprile e dopo che ebbero deposto le armi (il canale Villoresi era rosso del sangue delle vittime, mi disse un vecchio fascista scampato alla mattanza).
Lo stesso discorso riguarda la Russia di Stalin la quale contribuì in maniera determinante alla sconfitta della Germania nazista, pagando per questo un pesante tributo di sangue, ma al solo scopo di estendere il suo dominio su tutto l’est europeo e non certo per portare in quelle sciagurate terre democrazia e libertà.
Non dimentichiamoci poi che l’Unione Sovietica fu alleata della Germania nazista fino al 1941 con la quale si spartì la Polonia due anni prima.Particolare importante che la storiografia ufficiale nasconde -  perché farebbe smontare in un sol colpo la tesi di comodo della “lotta della democrazia contro la tirannide” – riguarda la dichiarazione di guerra di Francia e Inghilterra all’indomani dell’invasione tedesca della Polonia: fu dichiarata alla Germania, ma non alla Russia pur avendo anch’essa attaccato la Polonia alcuni giorni dopo da est. Perché? Evidentemente la Polonia fu solo un pretesto per muovere guerra alla Germania, mentre Stalin, che dopo la Polonia si apprestava ad invadere la Finlandia e ad annettersi le deboli Repubbliche Baltiche con l’assenso occidentale, era considerato già da allora un prezioso alleato, ben sapendo che questi era uno spietato dittatore, che con le sue “purghe” aveva massacrato, deportato nella gelida Siberia e ridotto alla fame milioni di russi, molti dei quali ebrei, definiti “nemici della rivoluzione” (ma questo evidentemente alle democrazie occidentali, America in testa, poco importava).
 Il secondo dubbio riguarda la definizione di “guerra di liberazione”, quando invece fu una classica e tragica guerra civile. I fascisti non venivano da Marte, erano italiani come italiani erano i partigiani. In quei lunghissimi 18 mesi la guerra non risparmiò nessuno, attraversò le famiglie e divise i fratelli. La guerra è una realtà tragica e quella civile lo è ancor di più, in queste circostanze gli uomini tendono a perdere la loro dimensione umana per accostarsi a quella bestiale, per cui o stendiamo un pietoso velo e consideriamo tutti i morti uguali e rispettiamo gli ideali che animarono le loro azioni giusti o sbagliati che possano apparire, oppure la storia la raccontiamo tutta e per intero, senza reticenze e convenienze politiche.
Altro grande equivoco riguarda la presunta invasione nazista dell’Italia: tedeschi non invasero l’Italia, c’erano già. Dopo la caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943, il governo Badoglio chiese aiuto all’alleato tedesco per contrastare gli anglo americani che nel frattempo erano sbarcati in Sicilia.
I soldati italiani e tedeschi si ritrovarono, quindi, a combattere spalla a spalla contro l’invasore americano fino all’8 settembre ’43, quando il Re e Badoglio, con estrema disinvoltura e lasciando allo sbando il nostro esercito, passarono armi e bagagli dalla parte del nemico, scatenando l’ira di Hitler.
Solo la nascita della Repubblica Sociale Italiana e la ricostituzione di un esercito lealista cui aderirono, secondo uno studio di Silvio Bertoldi  e confermati dai libri matricola, in seicentomila (quanti fossero i partigiani è invece ancora oggi un mistero), frenò i propositi di Hitler che aveva previsto il totale smantellamento e trasferimento in Germania del nostro apparato industriale, la deportazione nei campi di lavoro e nelle fabbriche tedesche di tutti gli uomini che si fossero rifiutati di arruolarsi nella Wehrmacht e chissà cos’altro.
Le motivazione che spinsero tanti giovani ad entrare nel neo costituito Esercito Fascista Repubblicano furono diverse e non sempre nobili (come spesso accade in questi casi): il rischio di fucilazione per i renitenti alla leva, l’intento di molti militari deportati nei campi di concentramento in Germania di tornare in Italia per poi disertare, la paga e la voglia di protagonismo. Vi aderirono anche fior di criminali, ma la stragrande maggioranza di essi lo fece per riscattare l’onore perduto e per sottrarre l’Italia alla vendetta hitleriana.
Questi giovani, uomini e donne, potevano al pari di molti loro coetanei, aspettare in qualche luogo sicuro che la tempesta passasse, oppure andare con i partigiani le cui fila s’ingrossavano man mano che i tedeschi si ritiravano e la vittoria alleata si approssimava. Potevano, ma non lo fecero.Preferirono continuare a combattere, in divisa e a volto scoperto, per quel senso dell’onore che oggi, in epoca di consumismo e individualismo, si fatica a comprendere,  consapevoli che le sorti del conflitto erano segnate e che difficilmente ne sarebbero usciti indenni.
Furono migliaia e migliaia in tutta Italia i soldati fascisti fucilati dopo la loro resa o condannati a morte dopo processi sommari, come ampiamente documentato nei libri di Gianpaolo Pansa, di Giorgio Pisanò e di Lodovico Ellena (solo per citarne alcuni).
Un capitolo a parte lo meritano le ausiliarie, Il primo reparto al mondo di donne combattenti, addestrate senza nessuna differenza con i loro commilitoni maschi. Il loro tributo di sangue fu altissimo, catturate dai partigiani venivano spesso stuprate e uccise. A guerra finita molte di loro, rapate a zero, furono costrette a passare su carri bestiame tra ali di folla inferocita, sottoposte a insulti e angherie di ogni genere.
Il terzo dubbio riguarda la modalità di lotta dei partigiani. Mentre i fascisti come abbiamo visto combattevano in divisa e a volto scoperto, inquadrati nelle divisioni dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana o nelle varie milizie volontarie i partigiani, invece, pur potendo anch’essi vestire una divisa – essendo armati e finanziati dagli americani- e pur potendo combattere nell’esercito  italiano di Badoglio secondo le regole di guerra, preferirono il passamontagna, i soprannomi e la tecnica del mordi e fuggi a base di attentati, sabotaggi e omicidi alle spalle. Tecnica sicuramente meno rischiosa per loro, ma devastante negli effetti.
Il fine era infatti quello di scatenare la rappresaglia tedesca e creare i presupposti per quella guerra civile, poi eufemisticamente definita di “liberazione”, le cui ferite ancora oggi stentano a rimarginarsi.
Non si capisce infine l’ostinazione dei partigiani con la quale insistono nel definirsi militari nonostante una sentenza del Tribunale Supremo Militare abbia negato loro tale status, attribuendolo invece ai combattenti fascisti della Repubblica Sociale Italiana.
La sentenza del 26 aprile 1954 del Tribunale Supremo Militare Italiano afferma senza mezzi termini che:
«i combattenti delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana avevano la qualità di belligeranti perché erano comandati da persone responsabili e conosciute, indossavano uniformi e segni distintivi riconoscibili a distanza e portavano apertamente le armi.  Gli appartenenti alle formazioni partigiane, viceversa, non avevano la qualità di belligeranti perché non portavano segni distintivi riconoscibili e non portavano apertamente le armi, né erano assoggettati alla legge penale militare»   
Sono questi i dubbi su cui mi piacerebbe si sviluppasse un sereno dibattito, scevro da pregiudizi ideologici e senza reticenze, finalizzato a capire la storia e non solo a celebrarla, come purtroppo avviene da oltre sessant’anni.

Gianfredo Ruggiero presidente del Circolo Culturale Excalibur


giovedì 21 aprile 2016

L'ANTINAZIONE CELEBRA. NOI NO!


  L'ANTINAZIONE CELEBRA. NOI NO!
71 ANNI FA NELLA MALEDETTA PRIMAVERA DEL 1945: ECCIDI INAUDITI STERMINIO, SANGUE A RIVOLI
SULLE ROVINE MORALI E MURARIE DELLA PATRIA. UN'OFFERTA MERCENARIA AI NEMICI ANGLO-RUSSI AMERICANI, NEL TRIPUDIO DI UNA"LIBERAZIONE" CHE NON HA LIBERATO ALCUNCHE'.
SOLO UN ESPEDIENTE AL FINE DI CATTURARE I CRETINI DI MENTE, STRUMENTI VALIDISSIMI PER LA
NOSTRA SCONFITTA MILITARE.
GLI OPERATORI PASSATI ED ODIERNI DEL RUOLO "LIBERATORIO" MONTANO IMPERTERRITI LA GUARDIA
DINNANZI AGLI HAREM DELLE VERITA' PROSTITUITE, DELLE MENZOGNE DISCINTE PER IL CONCUBINAGGIO
CON LA CORRUZZIONE POLITICA, LA PIU' RAFFINATA, LA PIU' PROFONDA, LA PIU' COMPLETA.
INVASATI DI LIBIDINE ANTINAZIONALE, SONO REFRATTARI AD OGNI RICHIAMO DI CIVILTA', DI SVILUPPO.


   Dino








martedì 19 aprile 2016

IL SACRIFICIO DI 13 VOLONTARI




La lapide posta a Sant'Angelo in Formis (Caserta), a ricordo dei 13 giovani volontari della RSI fucilati dagli angloamericani, porta scritte le seguenti parole:
"Nel gigantesco scontro del "sangue contro l'oro" qui, tra Gennaio e Maggio del 1944, nella visione di una più grande Italia in un'Europa unita, caddero fucilati dagli invasori angloamericani, i giovani soldati della RSI.





Il 30 aprile 1944 nella cava di pozzolana di Sant'Angelo in Formis (Caserta) con grande coraggio ed esemplare serenità affrontarono la morte:
Franco Aschieri figlio di Pietro Aschieri e Romana Conter, nato a Roma il 21 gennaio 1926, paracadutista della "X Mas"
Natale Italo Palesse figlio di Antonio Palesse e Rosa Rosa, nato a Cavalletto d'Ocre (L'Aquila) il 10 ottobre 1921
Mario Tapoli-Timperi figlio adottivo di Angelo Timperi e Caterina Bertolucci, nato a Roma il 4 giugno 1925, studente in medicina
Vincenzo Tedesco figlio di Salvatore Tedesco e Vincenza Alliviello, nato a Napoli il 14 aprile 1925
tutti e quattro andarono alla morte cantando gli inni della Patria, ciò che destò negli stessi ufficiali e soldati alleati che comandarono ed eseguirono la fucilazione.
Ultima lettera di Franco Aschieri alla madre



«Cara mamma, con l'animo pienamente sereno mi preparo a lasciare questa vita che per me è stata così breve e nello stesso tempo così piena e densa di esperienze e sensazioni. In questi ultimi momenti l'unico dolore per me è costituito dal pensiero di coloro che lascio e delle cose che non ho potuto portare a compimento. Ti prego, mamma, fai che il mio distacco da questa vita non sia accompagnato da lagrime, ma sia allietato dalla gioia serena di quegli animi eletti che sono consapevoli del significato di questo trapasso. Ieri, dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto ed ho provato una sensazione che avevo già conosciuta da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio, che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Sappi mamma che non resti sola, perchè io resterò vicino a te per sostenerti ed aiutarti finché non verrai a raggiungermi; perché sono certo che i nostri spiriti continueranno insieme il loro cammino di redenzione, dato che il legame che ci univa su questa terra, più di quello che esiste tra madre e figlio, è stato quello che unisce due spiriti affini e giunti allo stesso grado di evoluzione. Sono certo che accoglierai la notizia con coraggio e voglio che tu sappia che in momenti difficili io ti aiuterò come tu hai aiutato me durante questa vita. In questo momento sono lì da te e ti bacio per l'ultima volta, e con te papà e tutti gli altri cari che lascio. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il Fascismo. Viva l'Europa. Franco».
tratto da "Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 101-102
Straordinariamente interessante è la relazione che ne ha fatto Don Giuseppe Ferrieri parroco di San Pietro di Santa Maria Capua Vetere che ebbe ad assisterli:
«Li trovai che cantavano. Appena mi videro stettero zitti, e quando il cancello di ferro si aprì, mi si strinsero intorno. Io stavo in mezzo ad essi col solito sorriso. E sono quattro: un milanese, un romano, un napoletano, uno di Aquila. Il milanese e il romano erano biondi, quello di Aquila bruno, robusto, con un'aquila sul petto; il napoletano bassotto con i calzoni da ufficiale. Mi dissero che si erano già confessati. Feci recitare l'atto di dolore e dopo poche e semplici parole li comunicai. Stavano a mani giunte, guardando fissi l'Ostia Santa, che si posò viatico per l'estremo viaggio. Un breve ringraziamento. Due pose per fotografia, io in mezzo a loro nella prima, Gesù crocifisso tra loro e me nella seconda. Un militare della M.P. mi disse che avevo altri due minuti di tempo. - Siamo già pronti! - fu la risposta. Li volli accompagnare sul luogo del supplizio. Uscii con due di loro fra quattro M.P. americani armati. Il pianto dei carcerati ci accolse alla uscita del corridoio: Figli miei, figli miei! Erano le undici antimeridiane Fuori del portone del carcere ci accolse un grido di dolore. Un po' di gente venuta ad assistere al macabro spettacolo. I due, il romano Tapoli Giorgio studente in medicina, e il napoletano Tedesco Vincenzo, risposero inneggiando all'Italia fascista. salii con loro sulla Gip, tra il napoletano e un M.P., facemmo un buon tratto allegramente in quella macchina da ridolini, come disse il romano, il quale mi descrisse tutte le fasi della sua morte. Alcuni credettero e dissero che anch'io ero stato condannato. Arrivammo. Due pali in una partita di grano verde, dietro una cava di pozzolana. Parecchi ufficiali erano commossi, così pure il colonnello che, dopo la prima esecuzione, si disse increscioso di dover agire in tale modo. Eccoli vicino al palo, il romano si toglie la camicia. Mi dice che non vuol farsela bucare. Gli legano le mani: io lo conforto ricordandogli Gesù morto in croce. E’ sorridente. Gli dico che pregherò per lui e che lui deve pregare per i miei giovani. Due altre funi, una sul petto, l'altra sul ventre. Passo al napoletano, sorridente, bruno. Ha sul capo una bustina bianca con l'aquila hitleriana. Mi raccomandano le lettere che hanno scritto ai loro cari; io prometto di parlare agli ufficiali, i quali mi dicono che li accontenteranno. Altri pochi istanti; bacio il napoletano, bacio il romano, incoraggio ambedue, i quali rifiutano di essere bendati. Due soldati caricano i dodici moschetti. Quel chiudere ed aprirsi mi fa il cuore a pezzi. I due eroi hanno ancora delle parole: "Il tenente di Aversa (un certo Tonini, oriundo italiano che li aveva giudicati) sa che noi siamo innocenti". In lontananza una terrazza è affollata di gente che guarda piangendo. Un comando secco: sei dei dodici poliziotti si inginocchiano; un altro comando: puntano il fucile; un terzo comando ancora.. una detonazione. Abbasso gli occhi, un colpo solo. Vidi cadere i cari giovani, mi avvicinai a loro recitando tre Requiem e un De Profundis per ciascuno. Mi raccomandai alla loro intercessione. Quattro soldati americani e due cantonieri fanno da becchini. Fotografie a non finire durante tutta l'esecuzione ed il primo atto tragico termina. Si vanno a rilevare gli altri due, che arrivano alle 11,45. Appena mi vedono mi sorridono; hanno trovato una faccia, un viso amico che è lì per confortarli. Quello di Aquila si toglie anche lui la camicia. Lo legano, desidera una sigaretta. Un capitano gliela da', accendendola; lo stesso fa per l'altro, il milanese, simpatica figura di giovane buono. Fo' loro coraggio. Mentre lo legano, il milanese grida tre volte: "Heil Hitler", e l'altro risponde: "Heil". "Noi siamo innocenti. Dio stramaledica gli inglesi!". Io lo guardo, mi capisce: avevo detto loro di non odiare il nemico. Mi guarda e canta: "Vivere sempre vivere, senza malinconia!" Li bacio sorridente tra i sorridenti, mi scosto pochi metri; i tre soliti comandi secchi... Vi vidi abbassare pian piano, o giovani. Ascoltai il vostro rantolo: i colpi non furono precisi come la prima volta; l'anima vostra stentava ad uscire dal vostro corpo. Che strazio al mio cuore! Vi assolsi l'ultima volta "Sub conditione" , Tre requiem e un De profundis per ciascuno. Una macchina di corsa mi condusse a celebrare la Santa Messa. Il popolo mi aspettava da pochi minuti impaziente. Là si ignorava tutto. Era una bella giornata primaverile si pensava a goderla. Celebrai la Santa Messa ancora commosso e pregai per le Vostre anime benedette, per le Vostre mamme adorate. Anche Voi dal cielo pregate per me, per i miei giovani, per il mio apostolato, per l'Italia divisa in tanti partiti che la rovineranno.
Sacerdote Ferrieri Giuseppe tratto da "Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 54-55
Italo Palesse nacque a Cavalletto d'Ocre (L'Aquila) il 10 Ottobre 1921. Dopo gli studi d'obbligo trovò, un lavoro come operaio edile. Scoppiò la guerra e fu richiamato. Il suo reparto era in Sicilia quando gli angloamericani sbarcarono nell’isola e, a seguito delle vicende belliche, rimase tagliato fuori per l'avanzata degli alleati. Anziché darsi prigioniero, decise, con altri commilitoni, di tentare di passare le linee (e il braccio di mare) e rientrare in continente. L'8 Settembre si trovava nel suo paese natale e, come altre migliaia di giovani d'allora, rifiutò la resa e partì volontario nella RSI entrando nei ”Nuclei Speciali” e molto probabilmente, nel “Gruppo Vega”, della X^ MAS. Questi giovani insieme ad altri”Gruppi” (il loro numero raggiungeva circa 5000 volontari), avevano il compito di entrare in territorio occupato alleati sia traversando direttamente le linee, oppure imbarcati su un sommergibile, o paracadutati per svolgere quelle azioni sopra accennate. Operavano in abiti borghesi e, quindi, per le Convenzioni dell'Aja e di Ginevra, se catturati, erano passibili di fucilazione. Tra i 70 e i 100 furono i “sabotatori” catturati e tutti passati per le armi, salvo uno. I primi a cadere furono Mauro Bertoli e Gino Cancellieri entrambi diciottenni, fuggiti insieme il 1° ottobre 1943 da Bari, ove risiedevano, per raggiungere il territorio della RSI. Con loro si trovava Rico Covella di 17 anni, di San Severo. I tre militi erano già alla quinta missione quando il 3 Dicembre 1943 furono catturati dagli inglesi e rinchiusi nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere. Furono torturati ma non rivelarono l'organigramma del loro “Gruppo” e la prova di questo comportamento è che nessun componente del loro Gruppo fu catturato. Mauro Bertoli e Gino Cancellieri furono giudicati e condannati a morte il 7 Gennaio 1944, aprendo con il loro sacrificio quello di tanti altri che poi seguirono. Rico Covella fu quell'unico che si salvò dal plotone perché, all’epoca, appena diciassettenne. A guerra finita, scrisse un libro: “Madre Lotta” - La Guiscardi Editrice - in cui lascia una testimonianza precisa. Rico Covella attesta che "Idolo" da l'Aquila, cella n°` 8° (Italo Palesse, ndr) da almeno il 21 gennaio 1944 era effettivamente nella cella n° 8 della IV Sezione del Carcere di Santa Maria Capua Vetere. L'alterazione del nome (Idolo per Italo) è giustificata dal fatto che i prigionieri erano scrupolosamente tenuti in segregazione e potevano comunicare fra loro solo attraverso una piccolissima apertura nella porta di ferro e quindi il nome poteva essere facilmente travisato. Italo Palesse fu fucilato il 30 Aprile 1944. 






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sabato 16 aprile 2016

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA PARTIGIANA

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA PARTIGIANA

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA PARTIGIANA
Sorpresi nel sonno, avvelenati, torturati ed infine tagliati a pezzi. Fu questo il tragico destino di ben dodici giovani Carabinieri, catturati dai partigiani alle Cave dei Predil, nell’alto Friuli.
I Carabinieri costituivano un presidio a difesa della centrale idroelettrica di Bretto. Il 23 Marzo 1945 i partigiani presero in ostaggio il Vicebrigadiere Dino PERPIGNANO, comandate dei presidio che stava rientrando negli alloggiamenti, sotto la minaccia delle armi, lo costrinsero a pronunciare la parola d’ordine e, con facilita’, una volta entrati nel presidio, catturarono tutti i Carabinieri, gia in parte addormentati.
Dopo il saccheggio, i dodici militari furono deportati nella Valle Bausizza e rinchiusi in un fienile dove fu loro servito un pasto nel quale era stata inglobata soda caustica e sale nero. Affamati, inconsciamente mangiarono quanto gli era stato servito, ma, dopo poco, le urla e le implorazioni furono raccapriccianti e tremende. Erano stati avvelenati e la loro agonia si protrasse fra atroci dolori per ore ed ore.
Stremati e consumati dalla febbre, Pasquale RUGGIERO, Domenico DEL VECCHIO, Lino BERTOGLI, Antonio FERRO, Adelmino ZILIO, Fernando FERRETTI, Ridolfo CALZI, Pietro TOGNAZZO, Michele CASTELLANO, Primo AMENICI, Attilio FRANZON, quasi tutti ventenni (e mai impiegati in altri servizi tranne quello a guardia della centrale, cui erano stati sempre preposti), furono costretti a marciare fra inesorabili ed inenarrabili sofferenze ed insopportabili sacrifici fino a Malga Bala ove li attendeva una fine orribile.
Il Vicebrigadiere PERPIGNANO fu preso e spogliato; gli venne conficcato un legno ad uncino nel nervo posteriore dei calcagno ed issato a testa in giu’, legato ad una trave; poi furono incaprettati. A quel punto, i macellai partigiani, cominciarono a colpire tutti con i picconi: a qualcuno vennero asportati i genitali e conficcati in bocca, a qualche altro fu aperto a picconate il cuore o frantumati gli occhi. All’AMICI venne conficcata nel cuore la fotografia dei suoi cinque figli mentre il PERPIGNANO veniva finito a pedate in faccia ed in testa. La “mattanza” terminava con i corpi dei malcapitati legati col fai di ferro e trascinati, a mo’ di bestie, sotto un grosso masso.
Ora le misere spoglie di questi Carabinieri Martiri/Eroi riposano, dimenticati dagli uomini, dalla storia e dalle Istituzioni, in una torre medievale di Tarvisio le cui chiavi sono pietosamente conservate da alcune suore di un vicino convento.
Si scopri’ in seguito, che l’eccidio fu consumato dalle bande partigiane filo-slave a Malga Bala, sulle montagne del Friuli.

giovedì 14 aprile 2016

LA DOTTRINA DEL FASCISMO.




"La Dottrina del fascismo,"Giovanni Gentile - Benito Mussolini
  Giovanna Testa


  Dottrina politica e sociale

Idee fondamentali

1. Come ogni salda concezione politica, il fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina, e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro. Ha quindi una forma correlativa alle contingenze di spazio luogo e di tempo, ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formula di verità nella storia superiore del pensiero. Non si agisce spiritualmente nel mondo come volontà umana dominatrice di volontà senza un concetto della realtà transeunte e particolare su cui bisogna agire, e della realtà permanente e universale in cui la prima ha il suo essere e la sua vita. Per conoscere gli uomini bisogna conoscere l'uomo; e per conoscere l'uomo bisogna conoscere la realtà e le sue leggi. Non c'è concetto dello Stato che non sia fondamentalmente concetto della vita: filosofia o intuizione, sistema di idee che si svolge in una costruzione logica o si raccoglie in una visione o in una fede, ma è sempre, almeno virtualmente, una concezione organica del mondo.
2. Così il fascismo non si intenderebbe in molti dei suoi atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come sistema di educazione, come disciplina, se non si guardasse alla luce del suo modo generale di concepire la vita. Mondo spiritualistico. Il mondo per il fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui l'uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L'uomo del fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l'istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l'abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell'esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo.
3. Dunque concezione spiritualistica, sorta anche essa dalla generale reazione del secolo contro il fiacco e materialistico positivismo dell'Ottocento. Antipositivistica, ma positiva: non scettica, agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come sono in generale le dottrine (tutte negative) che pongono il centro della vita fuori dell'uomo, che con la sua libera volontà può e deve crearsi il suo mondo. Il fascismo vuole l'uomo attivo e impegnato nell'azione con tutte le sue energie. Lo vuole virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono, e pronto ad affrontarle. Concepisce la vita come lotta pensando che spetti all'uomo conquistarsi quella che sia veramente degna di lui, creando prima di tutto in sé stesso lo strumento (fisico, morale, intellettuale) per edificarla. Così per l'individuo singolo, così per la nazione, così per l'umanità. Quindi l'alto valore della cultura in tutte le sue forme - arte, religione, scienza - e l'importanza grandissima dell'educazione. Quindi anche il valore essenziale del lavoro, con cui l'uomo vince la natura e crea il mondo umano (economico, politico, morale, intellettuale).
4. Questa concezione positiva della vita è evidentemente una concezione etica. E investe tutta la realtà, nonché l'attività umana che la signoreggia. Nessuna azione sottratta al giudizio morale; niente al mondo che si possa spogliare del valore che a tutto compete in ordine ai fini morali. La vita perciò quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. Il fascista disdegna la vita «comoda».
5. Il fascismo è una concezione religiosa, in cui l'uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l'individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Chi nella politica religiosa del regime fascista si è fermato a considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il fascismo, oltre a essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di pensiero.
6. Il fascismo è una concezione storica, nella quale l'uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre, nel gruppo familiare e sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni collaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del vivere sociale. Fuori della storia l'uomo è nulla. Perciò il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la «felicità» sulla terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un certo periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del genere umano. Questo significa mettersi fuori della storia e della vita che è continuo fluire e divenire. Il fascismo politicamente vuol essere una dottrina realistica; praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che si pongono storicamente da sé e che da sé trovano o suggeriscono la propria soluzione. Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto.
7. Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l'individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell'uomo nella sua esistenza storica. È contro il liberalismo classico,che sorse dal bisogno di reagire all'assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare. Il liberalismo negava lo Stato nell'interesse dell'individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell'individuo. E se la libertà dev'essere l'attributo dell'uomo reale, e non di quell'astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell'individuo nello Stato. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.
8. Né individui fuori dello Stato, né gruppi (partiti politici, associazioni, sindacati, classi). Perciò il fascismo è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l'unità statale che le classi fonde in una sola realtà economica e morale; e analogamente, è contro il sindacalismo classista. Ma nell'orbita dello Stato ordinatore, le reali esigenze da cui trasse origine il movimento socialista e sindacalista, il fascismo le vuole riconosciute e le fa valere nel sistema corporativo degli interessi conciliati nell'unità dello Stato.
9. Gli individui sono classi secondo le categorie degli interessi; sono sindacati secondo le differenziate attività economiche cointeressate; ma sono prima di tutto e soprattutto Stato. Il quale non è numero, come somma d'individui formanti la maggioranza di un popolo. E perciò il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev'essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l'idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti. Di tutti coloro che dalla natura e dalla storia, etnicamente,traggono ragione di formare una nazione, avviati sopra la stessa linea di sviluppo e formazione spirituale, come una coscienza e una volontà sola. Non razza, nè regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da un'idea, che è volontà di esistenza e di potenza: coscienza di sé, personalità.
10. Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vecchio concetto naturalistico che servì di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un'effettiva esistenza. Il diritto di una nazione all'indipendenza deriva non da una letteraria e ideale coscienza del proprio essere, e tanto meno da una situazione di fatto più o meno inconsapevole e inerte, ma da una coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto: cioè, da una sorta di Stato già in fieri. Lo Stato infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto.
11. La nazione come Stato è una realtà etica che esiste e vive in quanto si sviluppa. Il suo arresto è la sua morte. Perciò lo Stato non solo è autorità che governa e dà forma di legge e valore di vita spirituale alle volontà individuali, ma è anche potenza che fa valere la sua volontà all'esterno, facendola riconoscere e rispettare, ossia dimostrandone col fatto l'universalità in tutte le determinazioni necessarie del suo svolgimento. E perciò organizzazione ed espansione, almeno virtuale. Cosi può adeguarsi alla natura dell'umana volontà, che nel suo sviluppo non conosce barriere, e che si realizza provando la propria infinità.
12. Lo Stato fascista, forma più alta e potente della personalità, è forza, ma spirituale. La quale riassume tutte le forme della vita morale e intellettuale dell'uomo. Non si può quindi limitare a semplici funzioni di ordine e tutela, come voleva il liberalismo. Non è un semplice meccanismo che limiti la sfera delle presunte libertà individuali. È forma e norma interiore, e disciplina di tutta la persona; penetra la volontà come l'intelligenza. Il suo principio, ispirazione centrale dell'umana personalità vivente nella comunità civile, scende nel profondo e si annida nel cuore dell'uomo d'azione come del pensatore, dell'artista come dello scienziato: anima dell'anima.
13. Il fascismo insomma non è soltanto datore di leggi e fondatore d'istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l'uomo, il carattere, la fede. E a questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata. La sua insegna perciò è il fascio littorio, simbolo dell'unità, della forza e della giustizia.