venerdì 30 ottobre 2015

INCOSCIENTI O SCEMI..??

INCOSCIENTI O SCEMI..??



Ci riferiamo a coloro, avvocati, esperti, politici e sociologhi, che negli incontri televisivi difendono le tesi contrarie rispetto a quelli che affermano essere un preciso diritto dei cittadini quello di difendersi, anche con le armi dalla ferocia e dalla cinica indifferenza per la vita di coloro che preferiscono rapinare anziché guadagnarsi la vita lavorando onestamente.
Non tengono in alcun conto che durante una rapine e specialmente se effettuata da elementi sotto l’effetto di droga come succede molto spesso, la vita delle vittime è concretamente in pericolo sia per la ferocia con cui quasi sempre essa è portata a termine e sia per lo stato di esaltazione che prende chi è sotto l’effetto di droga.
E se ne stanno li a ragionare sul sesso degli angeli, sedute in poltrona come se chi fosse invece sotto la minaccia delle armi dei malviventi potesse avere la loro stessa calma e la stessa freddezza e dovesse fare un ragionamento speculativo prima di pensare se reagire oppure no.
Patetici, ridicoli, inattendibili ed anche un poco stronzi..!
Di più, il loro atteggiamento li fa diventare, magari inconsciamente, ma non per questo meno gravemente, moralmente complici e fiancheggiatori dei malavitosi che difendono e che invece meriterebbero la condanna sociale per chi non vuole rispettare le regole del vivere civile e le leggi che la società si è data!
Facile, stando comodamente seduti nei salotti televisivi, concionare in punta di forchetta sulla liceità dei diritti alla difesa e sui limiti che essa deve avere.
Li vorrei vedere con una calibro 38 puntata alla tempia o legati a vedere lo stupro ed il massacro dei propri figli o delle loro madri, se avrebbero la freddezza di fare tanti ragionamenti o se, avendone l’opportunità non agirebbero anche loro d’istinto per difendere la vita loro e quella dei loro cari..!!
Ci pensano già i giudici e le leggi mielose a fare la difesa dei delinquenti quando ogni anno di condanna prevede tre mesi di abbuono per buona condotta, quando ogni poco si fanno indulti più o meno mascherati solo per risparmiare i soldi del mantenimento in carcere ( ed avere più soldi disponibili per gli intrallazzi ) o quando i responsabili del tentato omicidio di un benzinaio ( sei pallottole nelle gambe ) vengono condannati per semplice “lesione”..!!!
Viviamo in uno Stato miserabile che non sa garantire la sicurezza dei suoi cittadini e che, nonostante la propria manchevolezza vorrebbe anche impedire ai cittadini di surrogare questa inadeguatezza difendendosi da soli..!
Tra l’altro, come abbiamo già detto, queste tesi sono assolutamente minoritarie la pubblica opinione è di tutt’altro avviso per cui, se siamo in democrazia, la volontà del popolo dovrebbe prevalere alla faccia delle minoranze sebbene “illuminate” ..!!

Alessandro Mezzano
                                                                                                                                   


martedì 27 ottobre 2015

ARMIAMOCI

ARMIAMOCI



E’ di questi giorni la polemica che impazza su tutte le Tv circa l’opportunità o meno di armarsi per avere la possibilità di difendersi dalle rapine in casa che stanno diventando ogni giorno più numerose e pericolose per la ferocia e la determinazione con cui i delinquenti agiscono.
Le cronache ci hanno riportato i tanti casi di anziani massacrati ed  uccisi per pochi soldi in casa loro o di tabaccai, gioiellieri, farmacisti e tassisti che hanno subito rapine o che sono stati uccisi.
Non riusciamo francamente a capire i vari politici che si oppongono all’ipotesi che i cittadini si armino per la propria difesa anche perché ciò è previsto dalla legge ( detenzione di armi a scopo di difesa personale ) e soprattutto non  riusciamo a capire perché essi antepongano all’incolumità ed alla vita dei cittadini quella di delinquenti che si introducono nelle abitazioni private allo scopo di rapinare, massacrare ed uccidere..!
Se quei delinquenti se ne stessero a casa loro, non correrebbero alcun pericolo di essere uccisi ..!!
I fatti dimostrano che la tesi sostenuta che è lo Stato ad avere il compito ed il dovere della difesa dei cittadini è puramente utopistica in quanto con i mezzi a sua disposizione, la forza pubblica non è in grado di farlo ed i fattacci che si susseguono ne sono la più palese dimostrazione.
Se lo Stato, per qualsiasi motivo, non riesce a prevenire, contenere e reprimere qui delitti, il cittadino ha il diritto di premunirsi per farlo personalmente!!
Tra l’altro, quei politici dovrebbero ricordarsi che in democrazia il potere appartiene al popolo e che essi sono solamente gli incaricati di esprimere nelle leggi la volontà popolare!
Ed allora basterebbe tenere conto dei sondaggi di opinione o fare un referendum propositivo che, pur non avendo oggi il valore determinativo, sarebbe comunque uno strumento valido per conoscere la volontà popolare ed agire di conseguenza sul piano legislativo.
Invece quei politici, che pure si riempiono sempre la bocca con la parola democrazia, si sentono nei panni di “Minoranza illuminata” che deve condurre, quello che considerano il gregge dei cittadini sui pascoli che essi ed essi solamente sono in grado di vedere e di capire..!
Quanto poi alla polemica sul fatto che sempre si tenda ad addossare quei reati di rapina agli extracomunitari e che per questo si venga considerati razzisti, basterebbe confrontare la percentuale degli extracomunitari rispetto alla totalità dei cittadini e quella della popolazione carceraria e si scoprirebbe facilmente che gli extracomunitari, che sono il 5%/6% della popolazione totale in Italia, rappresentano il 30% della popolazione carceraria nonostante poi molti reati minori NON siano nemmeno perseguiti.. Vorrà pure dire qualche cosa ..!
Noi una pistola l’abbiamo e se qualcuno si introducesse con propositi criminali in casa nostra non esiteremmo ad usarla ..!!
Fatelo anche voi..!!

Alessandro Mezzano

                                                                                                                                          

venerdì 23 ottobre 2015

LA MARCIA SU ROMA 28 OTTOBRE 1922 - 2015


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La "Marcia su Roma" : quanto si è scritto,parlato,discusso e litigato su questo giorno fatidico del 1922....!
Tutto è stato passato a setaccio dagli storici (piú o meno di parte) alla ricerca del perché,per come,del..."si poteva evitare"...."no,era inevitabile,anzi necessario" ed altro.
Io,noi con quanti vogliano leggere,storici non siamo...,non abbiamo pretese di essere sapientoni,cerchiamo di commemorare una data per noi importantissima e fondamentale : 28 ottobre 1922...la Marcia su Roma !!
Anni di turbolenze politiche,frutto di un post guerra scellerato avvelenato dalle conseguenze del Trattato di Versailles,rischiavano davvero di trasformarsi in una guerra civile.


Comunisti e loro sostenitori,sfruttando la debolezza della monarchia liberale e le contingenze continentali favorevoli,avevano possibilità concreta di imporre in Italia la Repubblica dei Soviet.
Se Mussolini,questo immenso genio Italiano figlio di un umile fabbro e non "pargolo nobile borghese",non fosse stato all'altezza di opporsi con i Fasci di Combattimento alla controparte rossa oggi ne pagheremmo ancora le conseguenze.
La mobilitazione delle "camicie nere" che da tutta Italia conversero su Roma fecero comprendere a tutti che il Fascismo era piú che vivo,pronto a tutto per la difesa della Nazione e che mai e poi mai avrebbe consentito ai comunisti di determinare le sorti dell'Italia.
Mussolini ne era il Capo,ne identificava i valori e la volontà...in nessuna città italiana ci fu significativa opposizione ai preparativi di ciò che sarebbe accaduto.
Comunisti,liberali,gli stessi generali e ministri compresero che non c'era possibilità alcuna di contrastare la volontà popolare rappresentata dalle camicie nere.
Vittorio Emanuele III,non si saprà mai se per convinzione od opportunismo,fece buon viso....e Benito Mussolini divenne (due giorni dopo) Presidente del Consiglio....
Tutto il resto è conseguente....


mercoledì 21 ottobre 2015

ALLARME FANATISMI RELIGIOSI

ALLARME FANATISMI RELIGIOSI




Già in passato abbiamo scritto sulle religioni ed in particolare su quelle monoteistiche, cristianesimo, ebraismo ed islam, esprimendo la nostra opinione su come queste religioni, in nome di un presunto possesso della verità unica, siano state e siano tuttora fonte di contrasti, di intolleranze e di persecuzioni a volte fanatiche, brutali ed incivili verso coloro che non praticano la stessa fede o che comunque la pongano in dubbio.
Quando la ragione viene oscurata dall’irrazionalità di quella che, anche se chiamata fede, resta superstizione non avallata, né confermata dai fatti e dalle prove concrete, allora, sempre, si verificano quei comportamenti che hanno probabilmente origine dall’intima coscienza dell’incertezza su quanto si crede che si cerca di fugare con il fanatismo, le persecuzioni e le violenze quasi a volere zittire le obiezioni con la forza bruta.
La difesa contro i dubbi che la ragione pone all’accettazione indiscriminata di dogmi irrazionali, è il massimalismo che spegne l’interruttore della ragione respingendola nel recinto del “peccato” per fare tacere una voce intima che incrina le certezze ed alimenta le ansie!
Naturalmente, a parte le analisi che si possono fare su questo argomento, resta per ciascuno la libertà, riconosciuta dai non credenti, di credere a ciò che si vuole.
Dove invece tale libertà deve trovare il proprio limite è laddove chi crede vuole imporre a chi non crede la propria fede in nome di una verità assoluta e di un dio che non rispettano affatto la libertà dei non credenti di non credere.
Esempi in tal senso sono presenti sia nella storia per quanto riguarda il cristianesimo che, sino a quando ha avuto il potere di farlo, ha IMPOSTO il proprio credo con guerre, persecuzioni, inquisizione, torture ed amenità varie e che ha cessato di farlo non per propria scelta, ma solamente perché gli eventi storici gli hanno tolto il potere di farlo ancora e sia nelle cronache per quanto riguarda ebraismo principalmente nei riguardi dei suoi rapporti con il popolo Palestinese e con i “Goym” di tutto il mondo e soprattutto islam che avendo spesso il potere temporale a sostegno di quello religioso, lo usa per imporre, perseguitare e condannare i blasfemi.
Particolare attenzione si deve rivolgere all’islam a causa della imponente penetrazione anagrafica che esso sta avendo nel mondo occidentale a causa della massiccia immigrazione, che si può trasformare in potere politico e che rischia di trasferire anche da noi quell’integralismo e quel massimalismo che esso impone laddove ha il potere!
Le stragi di cristiani in Africa ed in Asia da parte di  estremisti mussulmani non sono casuali, ma sono la logica conseguenza della predicazione di una religione che vede come DOVERE la guerra alle altre religioni, considerate eretiche e blasfeme e la conversione anche forzosa all’islam.
Basta leggere il Corano per trovare questi comandamenti e la conferma di ciò sta anche nel fatto che, se pure ciò non avviene ancora nei nostri Paesi, non si sentono nemmeno condanne precise da parte degli Imam europei contro simili misfatti il che equivale ad una tacita approvazione!
Quanto sta avvenendo da parte dell’ISIS è la conferma di ciò che affermiamo..!
A parte le credenze religiose, l’occidente ha il dovere di difendersi da un simile attacco che mette in pericolo la sua stessa sopravvivenza e  deve sancire con forza e con determinazione attraverso le leggi che chi viene a vivere qui deve rinunciare apertamente ed ufficialmente agli aspetti violenti e vessatori dell’islam.
In caso contrario può  sempre vivere nei Paesi islamici dato che l’immigrazione qui da noi NON è obbligatoria e chi la sceglie, assieme ai vantaggi di una vita più agiata, deve anche accettare, non le nostre religioni, ma le nostre regole di convivenza civile, né siamo noi che li ospitiamo a doverci adeguare alle loro!!
La laicità assoluta degli Stati deve essere riaffermata con forza e le fedi e la libertà religiosa debbono essere e restare un fatto privato di ogni cittadino e non diventare MAI un problema sociale o politico in modo che sia preservata la reciprocità del diritto di ognuno di credere o di non credere, senza interferenze di nessun tipo!
Quando poi una organizzazione terroristica come l’ISIS si pone come NEMICA per ogni società che non sia la sua e si pone come scopo la conversione forzata o la morte, allora è DOVERE assoluto quello di combatterla militarmente e distruggerla così come si combatte e si distrugge un’infezione mortale!!

Alessandro Mezzano




lunedì 19 ottobre 2015

EROI DIMENTICATI

EROI DIMENTICATI    


 “Verso le 13 di domenica 29 aprile 1945 (non del 28 come solitamente si riporta), i polsi assicurati dietro le spalle, legati con un fil di ferro, con la pioggerella che batte insistentemente, Colombo viene portato a Ganzo di Mezzegra, località scelta perché un anno prima qui furono fucilati sei partigiani, che avevano in precedenza colpito mortalmente quattro fascisti repubblicani.

 Risponde: “Non ho niente di cui pentirmi”.

Lo sbattono con violenza contro il muro, in un angolo, vicino ad una pasticceria. I partigiani gli chiedono qual è l’ultimo pensiero che vuole esprimere. Colombo risponde in milanese: “Andate a cagare…Siete solo dei vigliacchi. Viva il DUCE !”

Il Comandante è fermo. Osserva con tranquillità negli occhi coloro che gli stanno per dare la morte. Ha le immagini dei suoi Arditi negli occhi della mente e nel cuor; sa già che molti di loro sono stati ferocemente uccisi, senza nessun rispetto della parola data…..

Ora si ritrova con le spalle appoggiate al muro, pochi istanti di vita davanti, il fil di ferro legato ai polsi dietro le spalle, i mitra piantati in faccia, la pioggia che batte senza tregua. Così muore l’ultimo squadrista.

“E’ sereno, e guardandoli negli occhi, dice: “Femmdumàprest” (Fate solamente presto).

Partono le prime scariche di mitra. Cade in ginocchio, poi un’altra raffica, si accascia definitivamente su un fianco.

Il suo berretto nero, mentre il corpo cade a terra, gli rotola sul petto; i rivoli di sangue che sgorgano, copiosi, dalle ferite, lo coprono di sangue”.

(Luca Fantini, “Gli ultimi fascisti, Franco
Colombo e gli Arditi della Muti”, Città di Castello 2007)


mercoledì 14 ottobre 2015

SIMBIOSI FRA CAPITALE E LAVORO (di Filippo Giannini)



 

SIMBIOSI FRA CAPITALE E LAVORO

Poi: La grande beffa a danno dei lavoratori

di Filippo Giannini


 

La Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge la livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella storia>. (Mussolini – 14 ottobre 1944).

 

   Il teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita <fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell’impresa a partecipe alla gestione e alla proprietà e quindi ai risultati economici della produzione>. E aggiunge: <Durante la R.S.I. fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E’ stato questo, sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E’ un messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al social-capitalismo. In quest’ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico>.

   L’idea di un “socialismo effettuabile” sorse in Mussolini già nel 1914, quando uscì dal Partito Socialista, organismo velleitario e ciarliero, e la sviluppò nell’immediato dopoguerra.

LEGGI D’AVANGUARDIA


   In questo secondo dopoguerra è stato scritto e detto che l’idea mussoliniana della Socializzazione <fu un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici>. E’ una delle tante menzogne, fra le mille e mille, di un regime corrotto e inetto terrorizzato dal dover affrontare un serio confronto con lo Stato che lo aveva preceduto.

   Tutta l’attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiara finalità sociale, all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo.

   Quelle leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi godono i privilegi, sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent’anni di governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto dai governi di quest’ultimo dopoguerra risulterebbe stridente.

   Da tutto ciò si evince il motivo per il quale i governi che seguirono nel dopoguerra, per evitare un democratico confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e contestualmente varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali le “Leggi Scelba”, “Legge Reale”, e “Legge Mancino”.

   I principi essenziali dell’ordinamento corporativo sono espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.

   In un articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su “Il Giornale d’Italia”, fra l’altro si leggeva: <La nascita dello Stato corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del cosiddetto Stato liberare e l’incubo dello Stato sovietico. Il secondo conflitto mondiale infranse l’esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell’isolamento internazionale provocato dalle sanzioni e dall’autarchia>.

   Il Diritto Corporativo tende a porre l’Uomo al centro della società postulando principi dei quali citiamo alcuni tra i più caratterizzanti:

1)      ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa;

2)      partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa;

3)      partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali, onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;

4)      intervento dello Stato attraverso suoi funzionari, immessi nei Consigli di Amministrazione, allorquando le imprese assumono interesse nazionale, a maggior difesa dei lavoratori;

5)      diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;

6)      diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste;

7)      edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la Previdenza Sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e all’infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l’assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;

8)      eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia da sé, altrettanto deve valere per i conflitti sociali; evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;

9)      abolizione dei sindacati di classe, ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano, e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;

10)   attuazione, particolarmente  nel Mezzogiorno, della bonifica integrale che togliendo ai latifondisti le terre incolte, vengano rese produttive e quindi distribuite in proprietà gratuita ai contadini poveri.

   Questi enunciati, che risalgono ai primi anni ’30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente, nel “Manifesto di Verona”.

LA SOCIALIZZAZIONE


   Una logica successione che partì dal lontano 1914 e approdò alle “Leggi sulla Socializzazione” nella Repubblica Sociale Italiana.

   Sin dalla seduta del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1943 (quindi a pochissimi giorni dalla sua liberazione), Mussolini fra l’altro dichiarava che <la Repubblica avrebbe avuto un pronunciatissimo contenuto sociale>; e il 29 settembre, ancor più esplicitamente <un carattere nettamente socialista, stabilendo una larga socializzazione delle aziende e l’autogoverno degli operai>.

La Socializzazione si poneva come strumento per una più ampia trasformazione dello Stato così come era nel pensiero fascista: socializzare l’economia per socializzare lo Stato.

   Questo disegno può risultare ancora più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione che accompagnò il “Decreto Tarchi”, (Tarchi fu Ministro dell’Economia): <(…) la civiltà tende ad un nuovo ciclo nel quale l’uomo riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità estricantesi in attività concrete sociali,  cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l’affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell’economia (…)>.

Ecco, allora, prendere forma la dottrina della società come era intravista da Saint Simon, da Owen, da Mazzini: concezioni vilipese dal bolscevismo, ma ben focalizzate dal “socialismo effettuabile” di Mussolini, riportate nel “Manifesto di Verona” e ufficializzate nella dichiarazione programmatica del 13 gennaio 1944 e nel decreto legislativo dell’11 febbraio seguente.

La Borsa di Milano, che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13 gennaio, all’annuncio dei provvedimenti sulla Socializzazione, accusò il giorno dopo una caduta dell’indice generale: da 854 a 727 punti. Dopo un periodo di stasi, quando il 13 febbraio furono emanati i Decreti sulla Socializzazione, l’indice generale scese a 567 punti. Poi, però, ad iniziare da marzo, riprese a salire fino a toccare, il 6 giugno 1944, il ragguardevole livello di 1745 punti.

Certamente il Paese, che sopportava oltre quattro anni di guerra e diversi mesi di lotta intestina, ben difficilmente poteva attuare, in tempi rapidi, un così ambizioso progetto di trasformazione dello Stato. Progetto, però, che come disse Mussolini a Milano, <qualunque cosa accada, è destinato a germogliare>.

   Giustamente l’avvocato Manlio Sargenti ha osservato: <Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell’idea del Fascismo e della Repubblica Sociale>.

   Prima di concludere, è importante citare gli articoli che costituiscono la base della nostra lotta politica: articoli che, ovviamente, a tanta distanza dalla loro promulgazione possono essere ritoccati lì dove è necessario, ma il cui spirito dovrebbe rimanere inalterato.

Art. 9) Base della Repubblica Sociale Italiana e suo progetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.

Art. 10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

Art. 12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa ripartizione degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione degli utili stessi da parte dei lavoratori (…)>.

   Gli articoli non menzionati sarebbero ugualmente meritevoli di essere ricordati, ma quelli sopra richiamati alla memoria da soli caratterizzano lo spirito del “Manifesto di Verona”.

   L’attuazione della Legge sulla Socializzazione” trovò enormi difficoltà causate sia dagli industriali, per ovvi motivi; sia dai tedeschi, timorosi che la resistenza passiva da parte degli industriali danneggiasse la produzione bellica; e da parte dei comunisti, che ormai plagiavano i lavoratori, timorosi che la Socializzazione li scavalcasse a sinistra.

SE CI SEI BATTI UN COLPO


   Questa situazione di stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che Mussolini stesso aveva definito <la nostra più importante mente giornalistica>, creò un caso clamoroso. Un suo articolo del  1944 pubblicato su “La Stampa” (di cui Pettinato era direttore), con il titolo: “Se ci sei batti un colpo”, diede una sferzata e costrinse a mettere in atto quelle leggi sulla Socializzazione che, come abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa, ma rimaste inoperanti.

   Mussolini ruppe gli indugi e autorizzò l’entrata in vigore del Decreto del febbraio ’44 a partire dal giugno dello stesso anno.

   A causa della drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini ritenne opportuno attuare la Socializzazione per gradi, iniziando dalle imprese editoriali.

   La situazione stava precipitando, ma nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944 Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondatori, traendone sorpresa ed emozione.

   A seguito di ciò, inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra l’altro, scrisse: <Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione, dato che gli utili, dopo questi primi mesi è di circa 3 milioni>.

   La guerra volgeva ormai alla fine e, come ha scritto Amicucci ne “I 600 giorni di Mussolini”: <Mussolini voleva che gli anglo-americani e i monarchici trovassero il nord d’Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la R.S.I.>. Proprio a questo scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise che si procedesse entro il 21 aprile, alla Socializzazione delle imprese con almeno100 dipendenti e un milione di capitale.

   Ma il giorno precedente quella data gli eserciti invasori ruppero il fronte a Bologna e dilagarono nella pianura Padana.

   Era la fine.

   I comunisti che controllavano il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 26 aprile, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato “l’olocausto nero”, abolirono la “Legge sulla Socializzazione”. E questo per ripagare i grandi industriali che avevano finanziato la Resistenza. Fu il “capolavoro” di Mario Berlinguer, il padre di Enrico, il grande capitalista, super proprietario terriero.

   Era iniziata la grande beffa ai danni dei lavoratori.

  



lunedì 12 ottobre 2015

REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (La Costituzione)


R.S.I. IL GOVERNO
I LUOGHI DELLA R.S.I.




1. Presidente del Consiglio dei Ministri

Benito Mussolini.

1. 1. Sottosegretario alla presidenza :

Francesco Maria Barracu.


2. Ministri
2. 1. Affari Esteri



Ministro : Benito Mussolini.

Sottosegretari: Serafino Mazzolini fino al 23 febbraio 1945, Filippo Anfuso.

2. 2. Interno
Ministri : Guido Buffarini Guidi fino al 21 febbraio 1945;

Paolo Zerbino dal 22 febbraio 1945.

Sottosegretario : Giorgio Pini.

2. 3. Difesa
Ministro : Rodolfo Graziani.

Sottosegretari Marina: Antonio Legnani, Ferruccio Ferrini, Giuseppe Sparzani, Bruno Gemelli;

Sottosegratari Aeronautica: Carlo Botto, Arrigo Tessari, Manlio Molfese, Ruggero Bonomi;

Sottosegretari Esercito: Umberto Giglio, Alfonso Ollearo, Carlo Emanuele Basile.


2. 4. Finanze
Ministro : Domenico Pellegrini Giampietro.

Sottosegretario : Carlo Fabrizi con delega ai Prezzi.


2. 5. Grazia e Giustizia
Ministri : Antonino Tringali Casanova fino al 4 novembre 1943; Piero Pisenti dal 5 novembre 1943.


2. 6. Agricoltura e Foreste
Ministro : Edoardo Moroni


2. 7. Economia Corporativa
Ministri : Silvio Gai fino al 1º gennaio 1945; Angelo Tarchi dal 2 gennaio 1945.


2. 8. Educazione Nazionale
Ministro : Carlo Alberto Biggini


2. 9. Cultura Popolare
Ministro : Ferdinando Mezzasoma

Sottosegretario : Alfredo Cucco


2. 10. Lavori Pubblici
Ministro : Ruggero Romano


2. 11. Comunicazioni
Ministri : Gaetano Peverelli fino al 5 ottobre 1943;

Augusto Liverani dal 6 ottobre 1943.


2. 12. Lavoro
Ministro : Giuseppe Spinelli


2. 13. Attività Statali

ROMA 1943 




LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

Per redigere La Costituzione della Repubblica Sociale Italiana Mussolini chiamò il suo Ministro dell'Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini, uomo di cui ha assoluta stima. Costui lavorò alacremente e nel giro di 3 settimane consegnò al Duce il testo completo di 142 articoli. Sintetizza tutta la sua esperienza giuridica, il suo convincimento della validità del progetto corporativo e soprattutto riesce a permeare il tutto dello spirito più genuino della dottrina sociale della Chiesa.

Lo sforzo estremo di quelle tre settimane non approdarono purtroppo a nulla di concreto. Il Consiglio dei Ministri del 18 Dicembre 1943 infatti decide che l'Assemblea Costituente sarà convocata solo dopo la fine della guerra. Tuttavia il Duce di quel lavoro ne acquisisce il testo, complimentandosene con l'autore; sono 52 pagine e su di esse riflette, a lungo, toccando e ritoccandole più volte con la solita matita blu, come era il suo solito. In ultimo Mussolini gliele riconsegna per una eventuale stesura definitiva.



COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.

CAPO I - LA NAZIONE - LO STATO

1 - La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.

2 - Lo Stato italiano è una Repubblica sociale. Esso costituisce l'organizzazione giuridica integrale della Nazione.


3 - La Repubblica Sociale Italiana ha come scopi supremi: 1) la conquista e la conservazione della libertà dell'Italia nel mondo, perché questa possa esplicare e sviluppare tutte le sue energie e assolvere, nel consorzio internazionale fondato sulla giustizia, la missione civile affidatale da Dio, segnata dai ventisette secoli della sua storia, voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni [le parole 'voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni' sono state cancellate da Mussolini e sostituite con la congiunzione 'e'], vivente nella coscienza nazionale; 2) il benessere del popolo lavoratore, mediante la sua elevazione morale e intellettuale, l'incremento della ricchezza del paese e un'equa distribuzione di questa, in ragione del rendimento di ognuno nell'utilità [le parole 'nell'utilità' sono state cancellate da Mussolini e sostituite con le parole 'nella comunità'] nazionale.

4 - La capitale della Repubblica Sociale Italiana è Roma.

5 - La bandiera nazionale è quella tricolore: verde, bianca, rossa, col fascio repubblicano sulla punta dell'asta.

6 - La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana.

7 - La Repubblica Sociale Italiana riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo. La Repubblica Sociale Italiana riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusività ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano.

8 - I rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Sociale Italiana si svolgono nel sistema concordatario, in conformità dei Trattati e del Concordato vigenti.

9 - Gli altri culti sono ammessi, purché non professino principi e non seguano riti contrari all'ordine pubblico e al buon costume. L'esercizio anche pubblico di tali culti è libero, con le sole limitazioni e responsabilità stabilite dalla legge.


CAPO II - STRUTTURA DELLO STATO
10 - La sovranità promana [da] tutta la Nazione.

11 - Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica.

§ I - Il popolo - La rappresentanza.

12 - Il popolo partecipa integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato e concorre alla determinazione delle direttive, degli istituti e degli atti idonei al raggiungimento dei fini della Nazione, col suo lavoro, con la sua attività politica e sociale, mediante gli organismi che si formano nel suo seno per esprimere gli interessi morali, politici ed economici delle categorie di cui si compone, e attraverso l'Assemblea costituente e la Camera dei rappresentanti del lavoro.

13 - Nell'esplicazione delle sue funzioni sociali lo Stato, secondo i principi del decentramento, si avvale, oltre che dei propri organi diretti, di tutte le forze della Nazione, organizzandole giuridicamente in enti ausiliari territoriali e istituzionali, ai quali concede una sfera di autonomia ai fini dello svolgimento dei compiti loro assegnati nel modo più efficace e più utile per la Nazione.

SEZIONE I - L'Assemblea Costituente.
14 - L'Assemblea Costituente è composta da un numero di membri pari a 1 ogni 50.000 cittadini. Deve essere l'espressione di tutte le forze vive della Nazione e pertanto debbono farne parte: 1) per ragione delle loro funzioni: coloro che, al momento della riunione della Costituente, fanno parte del Governo della Repubblica e ricoprono determinate cariche nell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, nella magistratura, nell'ordine scolastico, in enti locali territoriali e istituzionali, in organismi politici e culturali ai quali lo Stato abbia riconosciuti o assegnati compiti di alto interesse nazionale. La legge stabilisce le cariche che importano in chi le ricopre appartenenza alla Costituente. I membri di diritto non possono superare un terzo dei componenti della Costituente; 2) per elezione popolare, coloro che siano designati a far parte della Costituente dagli appartenenti alle organizzazioni riconosciute dallo Stato quali rappresentanti: dei lavoratori (imprenditori, operai, impiegati, tecnici, dirigenti) dell'industria, dell'agricoltura, del commercio, del credito e dell'assicurazione, delle professioni e arti, dell'artigianato e della cooperazione; dei dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici; degli ex-combattenti per la causa nazionale, e, in particolare, dei decorati e dei volontari; delle famiglie dei caduti per la causa nazionale; delle famiglie numerose; degli italiani all'estero; delle altre categorie che in dati momenti della vita nazionale siano riconosciute, per legge, espressione di importanti interessi pubblici. La legge stabilisce i requisiti e le forme per il riconoscimento di tali organizzazioni, nonché, per ciascuna di esse, il numero e i modi dell'elezione dei rappresentanti nella Costituente.

15 - La Costituente elegge il Duce della Repubblica Sociale Italiana. Delibera: 1) sulla riforma della Carta costituzionale o sulle deroghe eccezionali alle norme della stessa; 2) sugli argomenti di supremo interesse nazionale che il Duce intenda sottoporle, o sui quali la decisione della Costituente sia richiesta dalla Camera dei rappresentanti del lavoro, con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi membri di [sic, al posto di 'in'] carica.

16 - La Costituente è convocata dal Duce che ne fissa l'ordine del giorno. Nel caso di richiesta della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi dell'articolo precedente, la convocazione deve aver luogo entro un mese dal voto e nell'ordine del giorno debbono essere inseriti gli argomenti indicati dalla Camera. In caso di impedimento del Duce, la Costituente è convocata dal Capo del Governo. In caso di morte del Duce la Costituente deve esser convocata per la nomina del successore, entro un mese dalla morte.

SEZIONE II - La Camera dei Rappresentanti del Lavoro.
17 - La Camera dei rappresentanti del lavoro è composta di un numero di membri pari a 1 ogni 100.000 abitanti, eletti col sistema del suffragio universale diretto da tutti i cittadini lavoratori maggiori degli anni 18. Di essa inoltre fanno parte di diritto il Capo del Governo, nonché i Ministri e Sottosegretari di Stato.

18 - Sono considerati lavoratori coloro che sono rappresentati da un'Associazione professionale riconosciuta e i dipendenti da enti eventualmente esenti dall'inquadramento. Sono, agli effetti dell'elettorato attivo, equiparati ai lavoratori: 1) coloro che hanno cessato di lavorare per ragioni di invalidità o vecchiaia; 2) coloro che seguono regolarmente un corso di studi, in istituti scolastici statali o pareggiati; 3) coloro che siano disoccupati involontari, o svolgano attività, da determinarsi per legge, fuori del campo della disciplina professionale.

19 - Possono essere eletti rappresentanti del lavoro coloro che siano in possesso di tutti i seguenti requisiti: 1) siano maggiori degli anni 25, oppure siano decorati al valor militare o civile, volontari di guerra, mutilati o feriti di guerra o comunque per la causa nazionale, maggiori degli anni 21; 2) siano elettori; 3) non abbiano subito condanne per delitti o atti incompatibili colla dignità e il prestigio di rappresentanti del lavoro. La legge determina tali delitti o atti, escludendo quelli compiuti per ragioni di convinzioni politiche.

20 - I membri della Camera rappresentano tutto il popolo lavoratore, e non gli appartenenti alle circoscrizioni territoriali o alle categorie professionali che li hanno eletti.

21 - I rappresentanti del lavoro non possono essere ammessi all'esercizio delle loro funzioni se non dopo aver prestato il giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti della patria di servire con fedeltà la Repubblica Sociale Italiana, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi, nel solo intento del bene della Nazione.

22 - I rappresentanti del lavoro hanno il dovere di esprimere le loro opinioni e di dare i loro voti secondo coscienza e per i fini della loro funzione. Sono liberi e insindacabili nell'esercizio delle loro funzioni.

23 - I rappresentanti del lavoro non possono essere arrestati, salvo il caso di flagranza di delitto, né processati, senza l'autorizzazione preventiva della Camera.

24 - I rappresentanti del lavoro restano in carica per tutta la durata della legislatura (art. 25). E sono rieleggibili. Decadono però dalla loro funzione: 1) se tradiscono il giuramento prestato; 2) se perdono alcuno dei requisiti per la loro eleggibilità; 3) se trascurano i doveri della funzione rimanendo assenti per dieci sedute consecutive della Camera, senza autorizzazione da accordarsi dal Presidente (art. 34); qualora concorrano giustificati motivi.

25 - I lavori della Camera sono divisi in legislature. Ogni legislatura dura cinque anni, ma può essere sciolta anche prima, nel caso stabilito dal presente Statuto. La fine di ciascuna legislatura è stabilita con decreto del Duce, su proposta del Capo del Governo (art. 50). Il decreto fissa anche la data di convocazione dell'Assemblea per ascoltare il discorso del Duce, col quale si inizia la legislatura successiva.

26 - La Camera dei rappresentanti del lavoro collabora col Duce e col Governo per la formazione delle leggi. Per l'esercizio dell'ordinaria funzione legislativa la Camera è periodicamente convocata dal Capo del Governo.

27 - Il potere di proposizione delle leggi spetta al Duce (art. 41) e ai rappresentanti del lavoro (art. 49).

28 - La Camera esercita le sue funzioni per mezzo dell'Assemblea plenaria, della Commissione generale del bilancio e delle Commissioni legislative.

29 - È di competenza esclusiva della Assemblea plenaria la discussione e l'approvazione: 1) dei disegni di legge concernenti: le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo; la facoltà del Governo di emanare norme giuridiche; l'ordinamento professionale; i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; i trattati internazionali che importino variazioni al territorio dello Stato e delle Colonie; l'ordinamento giudiziario, sia ordinario che amministrativo; le deleghe legislative di carattere generale; 2) dei progetti di bilancio e di rendiconto consuntivo dello Stato, delle aziende autonome statali e degli enti pubblici economici di importanza nazionale la cui gestione sia rilevante per il bilancio dello Stato; 3) dei disegni di legge per i quali tale forma di discussione sia richiesta dal Governo o dall'Assemblea, oppure proposta dalle Commissioni e autorizzata dal Capo del Governo; 4) delle proposte di sottoporre alla Costituente la decisione di argomenti di supremo interesse nazionale.

30 - Le sedute dell'Assemblea plenaria sono pubbliche. Però la riunione può esser tenuta in segreto, quando lo richiedano il Capo del Governo o almeno venti [cancellato da Mussolini e corretto con 'cinquanta'] dei rappresentanti del lavoro. Le votazioni hanno sempre luogo in modo palese.

31 - Le commissioni legislative sono costituite, in relazione a determinate attività nazionali, dal Presidente della Camera. Esse eleggono nel proprio seno il Presidente; a questo spetta convocarle.

32 - Sono [sic, al posto di 'È'] di competenza delle Commissioni la emanazione delle norme giuridiche, aventi oggetto diverso da quello indicato nell'art. 28 e che importano creazione, modifica o perdita dei diritti soggettivi dei cittadini, salvo che la legge ne attribuisca la competenza anche ad altri enti e organi. La legge determina i modi, le forme e i termini per la discussione e l'approvazione dei disegni di legge sottoposti alle Commissioni legislative.

33 - Le deliberazioni dell'Assemblea plenaria e delle Commissioni sono prese a maggioranza assoluta, salvo il caso dell'art. 15. Nessuna deliberazione è valida se non [è] presa con la presenza di almeno due terzi e col voto di almeno la metà dei rappresentanti del lavoro in carica.

34 - La Camera: provvede alla approvazione e modifica del suo regolamento; elegge, al principio di ogni legislatura, il proprio Presidente e i Vice-Presidenti. Il Presidente nomina alle altre cariche stabilite dal regolamento della Camera.

§ II - Il Duce della Repubblica Sociale Italiana.

35 - Il Duce della Repubblica Sociale Italiana è il Capo dello Stato. Quale supremo interprete della volontà nazionale, che è la volontà dello Stato, realizza in sé l'unità dello Stato.

36 - È eletto dall'Assemblea Costituente. Dura in carica cinque [cancellato da Mussolini e corretto con 'sette'] anni. È rieleggibile [Mussolini ha aggiunto le parole 'una volta sola'].

37 - All'atto dell'assunzione delle sue funzioni, deve prestare giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti per la Patria, di servire la Repubblica Sociale Italiana con tutte le sue forze e di ispirarsi in ogni atto del suo ufficio all'interesse supremo della Nazione e alla giustizia sociale.

38 - Il Duce non è responsabile verso alcun altro organo dello Stato per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni.

39 - Il Duce comanda tutte le forze armate, in tempo di pace a mezzo del Ministro per la Difesa Nazionale, in tempo di guerra a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale; dichiara la guerra; fa i trattati internazionali, dandone comunicazione alla Costituente o alla Camera dei rappresentanti del lavoro appena che ritenga ciò consentito dai supremi interessi dello Stato. I trattati che importino variazioni nel territorio dello Stato, limitazioni o accrescimenti della sua sovranità o oneri per le finanze, non diventano esecutivi se non dopo avere ottenuto l'approvazione della Costituente o della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi di questa Costituzione.

40 - Il Duce esercita il potere legislativo in collaborazione con il Governo e con la Camera dei rappresentanti del lavoro.

41 - Il Duce convoca ogni anno la Camera. Può prorogarne le sessioni.

42 - Qualora ravvisi il dissenso politico tra il popolo dei lavoratori e la Camera, il Duce può scioglierla, convocandone un'altra nel termine di tre mesi.

43 - Il Duce presenta alla Camera i disegni di legge per mezzo del Governo.

44 - Il Duce sanziona le leggi.

45 - Al Duce appartiene il potere esecutivo. Esso lo esercita direttamente e a mezzo del Governo. Il Duce promulga le leggi. Il Duce nomina a tutte le cariche dello Stato. Con decreto del Duce, sentito il Consiglio dei Ministri, sono emanate le norme giuridiche per disciplinare: 1) l'esecuzione delle leggi; 2) l'uso delle facoltà spettanti al potere esecutivo; 3) l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni dello Stato, e di altri enti pubblici indicati dalla legge. Con decreto del Duce, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, possono emanarsi norme aventi forza di legge: 1) quando il Governo sia a ciò delegato da una legge; 2) nei casi di urgente e assoluta necessità sulla materia di competenza dell'Assemblea generale e delle Commissioni legislative della Camera, nonché per la messa in vigore dei disegni di legge su cui le Commissioni legislative non abbiano deliberato nei termini fissati dalla legge. In questi casi il Decreto del Duce deve essere a pena di decadenza presentato alla Camera, per la conversione in legge, entro sei mesi dalla sua pubblicazione. Se la Camera non l'approvi e decorrano due anni dalla pubblicazione, senza che sia intervenuta la conversione, il decreto cessa di aver vigore.

46 - Il Duce ha il diritto di amnistia, di grazia e di indulto.

47 - Al Duce spetta di istituire ordini cavallereschi e stabilirne gli statuti.

48 - I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Al Duce spetta di conferirne di nuovi.

§ III - Il Governo.

49 - Il Governo della Repubblica è costituito dal Capo del Governo e dai Ministri.

50 - Il Capo del Governo è nominato e revocato dal Duce. È responsabile verso il Duce dell'indirizzo generale politico del Governo.

51 - Il capo del Governo dirige e coordina l'opera dei Ministri, convoca il consiglio dei Ministri, ne fissa l'ordine del giorno e lo presiede.

52 - Nessuno oggetto può esser posto all'ordine del giorno della Camera, senza il previo assenso del Capo del Governo.

53 - L'assenso del Capo del Governo è necessario per presentazione alla Camera delle proposte di legge di iniziativa dei rappresentanti del lavoro.

54 - I Ministri sono nominati e revocati dal Duce su proposta del Capo del Governo. Sono responsabili verso il Duce e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e provvedimenti dei loro Ministeri.

55 - I sottosegretari di Stato sono nominati e revocati dal Duce, su proposta del Capo del Governo, sentito il Ministro competente.

56 - A giudicare dei reati commessi da un Ministro con abuso delle sue funzioni, è competente la Camera costituita in Corte giurisdizionale. L'azione è esercita da Commissari nominati all'inizio di ogni legislatura e sostituiti in caso di vacanza, dal Presidente della Camera. Contro le sentenze pronunziate dalla Camera come Corte giurisdizionale non è dato alcun ricorso.

§ IV - Le forze armate.

57 - Le forze armate hanno lo scopo di combattere per la difesa dell'onore, della libertà e del benessere della Nazione. Esse comprendono l'Esercito, la Marina da guerra, l'Aeronautica.

58 - La bandiera di combattimento per le forze armate è il tricolore, con fregio e una frangia marginale di alloro, e ai quattro lati il fascio repubblicano, una granata, un'ancora e un'aquila.

59 - La coscrizione militare è un servizio d'onore per il popolo italiano, ed un privilegio per la parte più eletta di esso. Tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di servire in armi la Nazione, quando ne abbiano la idoneità fisica e non si trovino nelle condizioni di indegnità morale, stabilite dalla legge.

60 - Al Duce soltanto spettano nei riguardi delle forze armate i poteri di coordinamento; di nomina e di promozione, di ispezione, di dislocazione delle truppe, di mobilitazione.

§ V - La giurisdizione.

61 - La giurisdizione garantisce l'attuazione del diritto positivo nello svolgimento dei fatti e dei rapporti giuridici.

62 - Le sentenze sono emanate nel nome della Legge, della quale esse realizzano la volontà.

63 - La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici, collegiali o unici, nominati dal Duce. La loro organizzazione, la loro competenza per materia e per territorio, la procedura che debbono seguire nello svolgimento delle loro funzioni, sono regolate dalla legge.

64 - Una sola Suprema Corte di cassazione è costituita per tutta la Repubblica. Essa ha sede in Roma. Ad essa spetta di assicurare un'uniforme interpretazione e applicazione del diritto da parte dei giudici di merito, e di risolvere i conflitti di attribuzione tra l'autorità giudiziaria e quella amministrativa.


65 - Nell'esercizio delle sue funzioni è garantita piena indipendenza alla magistratura: questa è vincolata dalla legge e soltanto dalla legge.


66 - Nessuno può esser punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite, né senza un giudizio svolto con le regole da essa fissate.


67 - Nei casi che debbono essere determinati con legge approvata dall'Assemblea della Camera, possono essere istituiti tribunali straordinari per un tempo limitato, e per determinati delitti. La giurisdizione dei tribunali militari non può essere estesa a cittadini non in servizio militare se non in tempo di guerra e per i reati espressamente preveduti dalla legge.


68 - Quando lo Stato e gli altri enti pubblici agiscono nel campo del diritto privato sono pienamente soggetti al codice civile e alle altre leggi.


69 - Gli organi amministrativi dello Stato e degli altri enti pubblici debbono ispirarsi nell'esercizio delle loro funzioni alla realizzazione del principio della giustizia nell'amministrazione.


70 - Colui che sia stato leso da un atto amministrativo in suo interesse legittimo, dopo l'esperimento dei ricorsi gerarchici, in quanto ammessi, può proporre contro l'atto stesso ricorso per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Questi, oltre alla generale competenza di legittimità, hanno competenza di merito nei casi stabiliti dalla legge.


§ VI - La difesa della stirpe.

71 - La Repubblica considera l'incremento demografico come condizione per l'ascesa della Nazione e per lo sviluppo della sua potenza militare, economica, civile.

72 - La politica demografica della Repubblica si svolge con tre finalità essenziali: numero, sanità morale e fisica, purità della stirpe.

73 - Presupposto della politica demografica è la difesa della famiglia, nucleo essenziale della struttura sociale dello Stato. La Repubblica la attua proteggendo e consolidando tutti i valori religiosi e morali che cementano la famiglia, e in particolare: col favore accordato al matrimonio, considerato anche quale dovere nazionale e fonte di diritti, perché esso possa raggiungere tutte le sue alte finalità, prima: la procreazione di prole sana e numerosa; col riconoscimento degli effetti civili al sacramento del matrimonio, disciplinato nel diritto canonico; col divieto di matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica, e con la speciale disciplina del matrimonio di cittadini italiani con sudditi di altre razze o con stranieri; con la tutela della maternità; con la prestazione di aiuti e assistenza per il sostenimento degli oneri familiari. Speciali agevolazioni spettano alle famiglie numerose.

74 - La protezione dell'infanzia e della giovinezza è un'elevata funzione pubblica, che la Repubblica svolge, anche a mezzo appositi istituti, con l'ingerenza nell'attività educativa familiare (art. 76), con la protezione della filiazione illegittima e con l'assistenza tutelare dei minori abbandonati.

§ VII - L'educazione e l'istruzione del popolo.

SEZIONE I - Dell'Educazione.

75 - La Repubblica pone tra i suoi principali compiti istituzionali l'educazione morale, sociale e politica del popolo.

76 - L'educazione dei figli, conforme ai principi della morale e del sentimento nazionale, è il supremo obbligo dei genitori. Lo Stato, col rispetto dei diritti e dei doveri della patria potestà, invigila perché l'educazione familiare raggiunga i suoi fini di formare l'onesto cittadino, lavoratore e soldato, e si avvale degli ordinamenti scolastici per integrare e indirizzare l'opera della famiglia. Ove quest'opera manchi, provvede a sostituirla, affidandone lo svolgimento a istituti di pubblica assistenza o a privati.

77 - Organo fondamentale dell'educazione politica del popolo è il Partito fascista repubblicano. Esso è riconosciuto come organo ausiliario dello Stato, e ha quali compiti essenziali: difendere e potenziare la rivoluzione, secondo i principi della dottrina di cui esso è assertore e depositario; suscitare e rafforzare nel popolo la coscienza, la passione, la [corretto da Mussolini in 'la passione della'] solidarietà nazionale, e il dovere di subordinare tutti gli interessi individuali e collettivi, all'interesse supremo della libertà della Nazione nel mondo; diffondere nel popolo la conoscenza dei problemi internazionali e interni che interessano l'Italia.

78 - L'iscrizione al P.F.R. non importa alcun privilegio o speciale diritto. Essa importa il dovere di votarsi fino al limite estremo delle proprie forze, con assoluto disinteresse e purità d'intenti, alla causa nazionale. Fuor del campo delle attività aventi carattere preminentemente politico, l'iscrizione al P.F.R. non è condizione né costituisce titolo di preferenza per l'assunzione o la conservazione di impieghi e cariche né per il trattamento morale ed economico dei lavoratori.

SEZIONE II - Dell'Istruzione.
79 - La scuola si propone la formazione di una cultura del popolo, inspirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà.

80 - I programmi scolastici sono fissati in vista della funzione della scuola per l'educazione delle nuove generazioni.

81 - L'accesso agli studi e la loro prosecuzione sono regolati esclusivamente col criterio delle capacità e delle attitudini dimostrate. Collegi di Stato garantiscono la continuazione degli studi ai giovani capaci non abbienti.

82 - L'istruzione elementare, da impartirsi in scuole chiare e salubri, è obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini della Repubblica.

83 - La Repubblica Sociale Italiana considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica: perciò l'insegnamento religioso è obbligatorio nelle scuole pubbliche elementari e medie. La legge può stabilire particolari casi di esenzione.

84 - La fondazione e l'esercizio di istituti privati di istruzione sono ammessi soltanto previa autorizzazione dello Stato e sotto controllo di questo sull'organizzazione, i programmi e la capacità morale e formazione scientifica degli insegnanti.

§ VIII - L'amministrazione locale.

85 - I Comuni e le Provincie sono enti ausiliari dello Stato. La loro istituzione e le loro circoscrizioni sono regolate dalla legge.

86 - I Comuni e le Provincie hanno come fine esclusivo la tutela degli interessi amministrativi dei cittadini che loro appartengono. A tal fine sono muniti dallo Stato di poteri, che debbono esercitare coordinandoli e subordinandoli agli interessi superiori della Nazione. Nello svolgimento delle loro funzioni i Comuni e le Province agiscono in modo autonomo, secondo i principi del decentramento amministrativo, ma sono sottoposti al controllo di legittimità e, nei casi stabiliti dalla legge, al controllo di merito degli organi diretti dallo Stato.

87 - Gli organi dell'amministrazione autonoma locale sono stabiliti dalla legge. I Consigli comunali e provinciali sono eletti col sistema del suffragio universale diretto dai cittadini lavoratori residenti domiciliati nel territorio del Comune o della Provincia.

88 - I Consigli eleggono nel loro seno il Podestà del Comune e il Preside della Provincia. La legge stabilisce le cause di incapacità, ineleggibilità, incompatibilità per le nomine a Podestà o a Preside. Tali nomine sono soggette all'approvazione dello Stato, da darsi con decreto del Duce.


CAPO III - DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO
89 - La cittadinanza italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge, sulla base del principio che essa è titolo d'onore da riconoscersi e concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana. In particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore.

90 - I sudditi di razza non italiana non godono del diritto di servire l'Italia in armi, né, in genere, dei diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge, secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo del diritto privato. In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri.

91 - Fondamentale dovere del cittadino è quello di collaborare con tutte le sue forze, e in ogni campo della sua attività, al raggiungimento dei fini supremi della Repubblica Sociale Italiana, accettando volenterosamente e disciplinatamente, gli oneri, le restrizioni ed i sacrifici che rispondono alle esigenze nazionali, per il principio che non può essere veramente libero se non il cittadino della Nazione libera.

92 - Tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge.

93 - I diritti civili e politici sono attribuiti a tutti i cittadini. Ogni diritto soggettivo, pubblico e privato, importa il dovere dell'esercizio in conformità del fine nazionale per cui è concesso. A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l'esercizio.

94 - La libertà personale è garantita. Nessuno può essere arrestato se non nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, può esser trattenuto oltre tre giorni senza un ordine dell'autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge.

95 - Il domicilio è inviolabile. Tranne i casi di flagranza, nessuna visita o perquisizione domiciliare è consentita senza ordine dell'autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge.

96 - A ogni cittadino deve esser assicurata la facoltà di controllo, diretto o a traverso i suoi rappresentanti, e di responsabile critica sugli atti politici e su quelli della pubblica amministrazione, nonché sulle persone che li compiono o vi sono preposte.

97 - La libertà di parola, di stampa, d'associazione, di culto è riconosciuta dalla Repubblica come attributo essenziale della personalità umana e come strumento utile per gli interessi e per lo sviluppo della Nazione. Deve esser garantita fino al limite in cui è compatibile con le preminenti esigenze dello Stato e con la libertà degli altri individui.

98 - L'organizzazione politica è libera. I partiti possono esplicare la loro attività di propaganda delle loro idee e dei loro programmi, purché non in contrasto con i fini supremi della Repubblica.

99 - L'organizzazione professionale è libera. Ma soltanto la Confederazione unitaria del lavoro della tecnica e delle arti, o le associazioni ad essa aderenti e riconosciute dallo Stato, rappresentano legalmente gli interessi di tutte le categorie produttive e sono munite di pubblici poteri per lo svolgimento delle loro funzioni.

100 - È vietata, salva la preventiva autorizzazione dello Stato nel territorio della Repubblica la costituzione di associazioni aderenti a organizzazioni sindacali o politiche straniere o internazionali, o che ne costituiscano sezioni o comunque conservino con esse collegamenti.

101 - È vietata nel territorio della Repubblica la costituzione di società segrete.

CAPO IV - STRUTTURA DELL'ECONOMIA NAZIONALE.
§ I - La produzione e il lavoro.

SEZIONE I - La Produzione.

102 - Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale. Suoi obiettivi sono il benessere dei singoli e lo sviluppo della potenza della Nazione.

103 - Nel campo della produzione la Repubblica si propone di conseguire l'indipendenza economica della Nazione, condizione e garanzia della sua libertà politica nel mondo. A tale scopo la Repubblica, oltre a promuovere in tutti i modi l'aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi, fissa, a mezzo dei suoi organi e degli enti idonei, le direttive e i piani generali della produzione nazionale o di settori di questa. All'osservanza di tali direttive e al successo di tali piani sono impegnati tutti i lavoratori, sia nella determinazione degli indirizzi, che nello svolgimento dell'attività produttiva.

104 - Nei rapporti tra le categorie dei vari rami della produzione nazionale, come nel seno di ogni singola impresa, si attua la collaborazione dei diversi fattori della produzione tra loro, il contemperamento dei loro interessi, la loro subordinazione agli interessi superiori della Nazione.

105 - La Repubblica considera la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio individuale, come completamento e mezzo di esplicazione della personalità umana, e ne riconosce la funzione sociale e nazionale, quale un mezzo efficace per sviluppare e moltiplicare la ricchezza e per porla a servizio della Nazione. A questi titoli la Repubblica rispetta e tutela il diritto di proprietà privata e ne garantisce l'esercizio e i trasferimenti sia per atto fra i vivi che per successione legittima o testamentaria, secondo le regole stabilite dal codice civile e dalle altre leggi.

106 - La Repubblica protegge con particolare cura la proprietà rurale, di interesse vitale per l'economia nazionale e per la sanità morale e fisica della stirpe. Perciò favorisce con ogni mezzo il ritorno ai campi, con la costruzione di case coloniche, con le agevolazioni all'acquisto della piccola proprietà rurale da parte del più gran numero di lavoratori, coltivatori diretti. Nei trasferimenti di terreni coltivabili o coltivati non può farsi luogo a frazionamenti che non rispettino l'unità colturale necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola o per una conveniente coltivazione.

107 - Si può procedere all'espropriazione della proprietà privata per pubblico interesse, nei casi legalmente accertati di pubblica utilità e quando il proprietario abbandoni o trascuri l'esercizio del diritto in modo dannoso per l'economia nazionale. Si può altresì disporre il trasferimento coattivo della proprietà, quando sia di pubblico interesse assegnarne l'esercizio a persone o enti più adatti, ma solo nelle ipotesi espressamente stabilite dalla legge. Sia in caso di espropriazione che di trasferimenti coattivi nel pubblico interesse è dovuta al proprietario una congrua indennità conformemente alle leggi.

108 - La Repubblica considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più utile nell'interesse della Nazione, e pertanto la favorisce e la controlla.

109 - L'organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l'organizzatore dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte alla Repubblica. 

110 - L'intervento dello Stato nella gestione di imprese economiche ha luogo nei casi in cui siano in gioco interessi politici dello Stato, nonché per controllare l'iniziativa privata e per incoraggiarla, integrarla e, quando sia necessario, sostituirla se essa si dimostri insufficiente o manchi.

111 - La Repubblica assume direttamente la gestione delle imprese che controllino settori essenziali per la indipendenza economica e politica del Paese, nonché di imprese fornitrici di prodotti e servizi indispensabili a regolare lo svolgimento della vita economica del Paese. La determinazione delle imprese che si trovino in tale situazione è fatta per legge.

112 - In caso di assunzione della gestione di imprese private, per insufficienza della loro iniziativa, lo Stato la affida ad altro gestore privato, oppure, ma soltanto per il periodo in cui ciò non sia possibile o conveniente, a speciali enti pubblici.

SEZIONE II - Il Lavoro.

113 - I1 lavoro è il soggetto e il fondamento dell'economia produttiva.


114 - Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali è un dovere nazionale. Soltanto il cittadino che adempie il dovere del lavoro ha la pienezza della capacità giuridica, politica e civile.


115 - Come l'adempimento del dovere di svolgere l'attività lavorativa secondo le capacità e attitudini di ognuno è pari titolo di onore e di dignità, così la Repubblica assicura la piena uguaglianza giuridica di tutti i lavoratori.


116 - La Repubblica garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l'organizzazione e l'incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell'offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici dall'organizzazione professionale riconosciuta.


117 - Poiché la attuazione, rigorosa e inderogabile, delle condizioni fondamentali costituenti garanzia del lavoro è di preminente interesse pubblico, la disciplina del rapporto di lavoro è affidata alla legge o alle norme da emanarsi dall'organizzazione professionale riconosciuta. Tali norme si inseriscono automaticamente nei contratti individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltanto più favorevoli al lavoratore.


118 - La retribuzione del prestatore di lavoro deve corrispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. Oltre alla retribuzione normale saranno corrisposti al lavoratore anche nello spirito di solidarietà tra i vari elementi della produzione, assegni in relazione agli oneri familiari.



119 - L'orario ordinario di lavoro non può superare le 44 ore settimanali e le 8 ore giornaliere, salvo esigenze di ordine pubblico per periodi determinati e per settori produttivi da stabilirsi per legge. La legge o le norme emanate dalle associazioni professionali riconosciute stabiliscono i casi e i limiti di ammissibilità del lavoro straordinario e notturno e la misura della maggiorazione di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.



120 - Il lavoratore ha diritto a un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica e a un periodo annuale di ferie retribuito.



121 - Ogni lavoratore ha diritto a sciogliere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Se il licenziamento avviene senza sua colpa, il lavoratore ha diritto, oltre a un congruo preavviso, a un'indennità proporzionata agli anni di servizio.



122 - In caso di morte del lavoratore, quanto a questo spetterebbe se fosse licenziato senza sua colpa, spetta ai figli, al coniuge, ai parenti conviventi a carico o agli eredi, nei modi stabiliti dalla legge.



123 - La previdenza è un'alta manifestazione del principio di collaborazione tra tutti gli elementi della produzione, che debbono concorrere agli oneri di essa. La Repubblica coordina e integra tale azione di previdenza, a mezzo dell'organizzazione professionale, e con la costituzione di speciali Istituti per l'incremento e la maggiore estensione delle assicurazioni sociali. L'opera convergente dello Stato e delle categorie interessate deve garantire a tutti i lavoratori piena assistenza per la vecchiaia, l'invalidità, gli infortuni sul lavoro, le malattie, la gravidanza e puerperio, la disoccupazione involontaria, il richiamo alle armi.



124 - Allo scopo di dare e accrescere la capacità tecnica e produttiva e il valore morale dei lavoratori e di agevolare l'azione selettiva tra questi, la Repubblica anche a mezzo dell'associazione professionale riconosciuta, promuove e sviluppa l'istruzione professionale.



§ II - La gestione socializzata dell'impresa.



125 - La gestione dell'impresa, sia essa pubblica che privata, è socializzata. Ad essa prendono parte diretta coloro che nell'impresa svolgono, in qualunque forma, una effettiva attività produttiva.



126 - Ogni impresa ha un capo, responsabile di fronte allo Stato, politicamente e giuridicamente, dell'andamento della produzione e della disciplina del lavoro nell'impresa.



127 - Il capo dell'impresa pubblica è nominato dal Governo.



128 - Il capo dell'impresa privata è l'imprenditore. Imprenditore è colui che ha organizzato l'impresa, determinandone l'oggetto e lo scopo economico, o colui che ne ha preso posto. Nelle imprese individuali o ad amministratore unico, il capo dell'impresa è il titolare o l'amministratore unico. Nelle imprese con organo amministrativo collegiale il capo dell'impresa è stabilito, dallo statuto o dall'atto costitutivo, nella persona del Presidente del Consiglio di amministrazione o dell'Amministratore delegato o di un tecnico, che può essere estraneo al Consiglio, e a cui si conferiscono le funzioni di Direttore generale.



129 - Le aziende pubbliche sono amministrate da un Consiglio di gestione eletto dai lavoratori dell'impresa, operai, impiegati tecnici. Il Consiglio di gestione decide su tutte le questioni inerenti all'indirizzo e allo svolgimento della produzione dell'impresa nel quadro del piano unitario nazionale determinato dalla Repubblica a mezzo dei suoi competenti organi; forma il bilancio dell'impresa e delibera la ripartizione degli utili determinando la parte spettante ai lavoratori; decide sulle questioni inerenti alla disciplina e alla tutela del lavoro.



130 - Nelle imprese private, degli organi collegiali di amministrazione, formati secondo la legge, gli atti costitutivi e gli statuti fanno parte i rappresentanti degli operai, impiegati e tecnici dell'impresa in numero non inferiore a quello dei rappresentati eletti dall'assemblea dei portatori del capitale sociale, e uno o più rappresentanti dello Stato qualora esso partecipi alla formazione del capitale.



131 - Nelle imprese individuali e in quelle per le quali l'atto costitutivo e gli statuti prevedano un amministratore unico, qualora esse impieghino complessivamente almeno cinquanta lavoratori, verrà costituito un consiglio di operai, impiegati e tecnici dell'impresa di almeno tre membri. Il Consiglio collabora col titolare dell'impresa e con l'amministratore unico alla gestione dell'impresa. Deve esser sentito per la formazione del bilancio e per le decisioni che importino trasformazione della struttura, della forma giuridica e dell'oggetto dell'impresa.



132 - In ogni impresa, che occupi più di dieci lavoratori, si costituisce il consiglio di fabbrica, eletto da tutti gli operai, impiegati e tecnici, il quale partecipa alla formazione dei regolamenti interni e alla risoluzione delle questioni che possano sorgere nella loro applicazione. Nelle imprese in cui non vi sia un organo collegiale, di amministrazione né il consiglio dei lavoratori, il capo dell'impresa deve sentire il parere del consiglio di fabbrica nelle questioni riguardanti la disciplina del lavoro, e può sentirlo nelle altre questioni che egli intenda di sottoporgli.



133 - La legge, in relazione alla situazione economica, stabilisce i limiti massimi e i modi con cui può esser determinato il compenso al capitale impiegato nell'impresa, in generale o per i vari tipi di esse. Entro questi limiti e nei modi consentiti la determinazione del compenso è stabilita convenzionalmente.



134 - Gli utili dell'impresa, dopo la deduzione del compenso dovuto al capitale, sono distribuiti tra il capo, gli amministratori e gli operai, impiegati e tecnici dell'impresa, nelle proporzioni fissate per legge, per norma collettiva o, in mancanza degli atti costitutivi, dagli statuti e dalle deliberazioni degli organi di gestione. La parte degli utili non distribuita, è assegnata alla riserva nei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge, e se vi sia ancora un'eccedenza, questa è devoluta allo Stato che l'amministra o la impiega per scopi di carattere sociale.



§ III - L'organizzazione professionale.



135 - Tutte le categorie di prestatori d'opera e di lavoratori, operai, impiegati, dirigenti, di artigiani, di imprenditori, di professionisti e gli artisti sono organizzati in un'organizzazione professionale nazionale. Nel seno dell'organizzazione unica possono formarsi sezioni per le varie branche della produzione e per le varie categorie professionali.



136 - L'associazione professionale unica si ispira ai principi della Repubblica Sociale Italiana e ne cura l'attuazione nel campo dell'economia nazionale: essa costituisce l'organizzazione giuridica a traverso la quale si opera la trasformazione di tutte le forze della produzione in forze nazionali, e si realizza la loro partecipazione stabile alla costituzione e alla vita dello Stato.



137 - L'organizzazione professionale unica ha l'esclusiva integrale rappresentanza degli interessi delle categorie in essa organizzate. In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi delle categorie produttive, considerate nella loro funzione nazionale, di supremo interesse statale, essa è giuridicamente riconosciuta come ente ausiliario dello Stato.



138 - L'associazione professionale unica ha come precisi compiti istituzionali, che essa può assolvere anche a traverso le associazioni che si formino nel suo seno: tutelare gli interessi delle categorie rappresentate, contemperandoli tra loro e subordinandoli ai fini superiori della Nazione; promuovere in tutti i modi l'incremento qualitativo e quantitativo della produzione, e la riduzione dei costi e dei prezzi di beni e servizi, nell'interesse dei produttori e dei consumatori; curare che gli appartenenti alle categorie produttive si uniformino, nell'esercizio della loro attività, ai principi dell'ordinamento sociale nazionale e agli obblighi che vi derivano; assicurare l'uguaglianza giuridica tra i vari elementi della produzione, suscitarne e rafforzarne la solidarietà tra loro e verso la Nazione; promuovere ed attuare provvedimenti e istituti di previdenza sociale fra i produttori; coltivare l'istruzione, specialmente professionale, e l'educazione morale, politica e religiosa degli appartenenti alle categorie; prestare assistenza ai produttori rappresentati; in genere svolgere tutte le altre funzioni utili al mantenimento della disciplina della produzione e del lavoro.



139 - All'associazione professionale unica, per l'assolvimento dei suoi compiti lo Stato affida l'esercizio di poteri: a) normativo, per cui, nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge, essa detta norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro e può dettare, ove se ne verifichi la necessità, norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi economici ai fini del coordinamento della produzione; b) fiscale, per cui, onde sostenere le spese obbligatorie facoltative connesse alle sue funzioni, può imporre contributi a tutti i lavoratori rappresentati nella misura massima stabilita dalla legge procedendo all'esazione colle procedure e i privilegi per la riscossione delle imposte; c) conciliativo, per cui deve esperire il tentativo di conciliazione nelle controversie individuali e collettive relative ai rapporti di lavoro e all'applicazione delle norme collettive economiche da esso emanate: tale tentativo di conciliazione costituisce un presupposto necessario per la proposizione delle relative controversie giudiziarie; d) disciplinare, per cui può infliggere ai rappresentati sanzioni disciplinari determinate nello Statuto dell'associazione, per inosservanza ai doveri nascenti dall'ordinamento sociale nazionale; al fine di accertare tali eventuali inosservanze essa può disporre gli opportuni controlli, a mezzo di propri organi e dei fiduciari di fabbrica, ove siano istituiti; e) consultivo, per cui il suo parere deve esser sentito dalle amministrazioni dello Stato, nelle materie interessanti la disciplina della produzione e del lavoro.



140 - Nello svolgimento delle sue funzioni la Confederazione unica gode di piena autonomia. I suoi atti sono solamente sottoposti al controllo di legittimità, e le persone al controllo politico dello Stato, a mezzo degli organi designati dalla legge.



141 - Per la risoluzione delle controversie collettive relative alla formazione, alla revisione o alla interpretazione delle norme collettive di lavoro o alla interpretazione delle norme collettive economiche, emanate dall'organizzazione professionale riconosciuta è istituita la Magistratura del Lavoro, organo della Magistratura ordinaria. La Magistratura del Lavoro è costituita da tre giudici dell'ordine giudiziario e da due giudici esperti, da scegliere in appositi albi da tenersi nei modi stabiliti dalla legge. Alla proposizione delle azioni per la risoluzione delle controversie collettive è legittimata soltanto l'Associazione professionale riconosciuta o, previa autorizzazione, le associazioni ad essa aderenti. In mancanza, l'azione può essere proposta dal Pubblico Ministero, il cui ricorso deve esser notificato alla Associazione professionale riconosciuta, che può intervenire nel giudizio. Nelle controversie collettive promosse dalla Associazione professionale, l'intervento del Pubblico Ministero è obbligatorio a pena di nullità. Le decisioni della Magistratura del Lavoro in sede di controversie collettive hanno la stessa efficacia delle norme collettive emanate dalla organizzazione professionale riconosciuta. Tali decisioni non possono essere impugnate se non per errori di procedura dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.



142 - Poiché l'ordinamento giuridico della Repubblica fornisce tutti i mezzi per la composizione equa e pacifica di ogni controversia collettiva nel campo del lavoro e della produzione, lo sciopero, la serrata, l'inosservanza delle norme collettive ed economiche e delle sentenze della Magistratura del Lavoro, e in genere tutti gli altri atti di lotta sociale, sono puniti quali delitti contro l'economia nazionale.



Tra parentesi sono riportate le modifiche apportate da Mussolini di suo pugno.





Domenico Pellegrini Giampietro (Brienza, 30 agosto 1899 – Montevideo, 18 giugno 1970) è stato un politico, accademico,economista e scrittore italiano che negli ultimi anni della sua vita si dedicò anche al giornalismo.
Giovanissimo si trasferisce a Caserta dove fonda la legione nazionalista "Sempre pronti". Prende parte alla prima guerra mondiale insieme ad altri ragazzi del '99 come tenente di fanteria e viene decorato con la medaglia d'argento al valor militare. Nel 1922 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista e partecipò alla marcia su Roma, che partì da Napoli, legandosi ad alcuni gruppi massonici.
Figura di spicco del fascismo campano (insieme ad Alfredo Rocco, Bruno Spampanato e l'economista Alberto Beneduce), nel1926 si laureò in giurisprudenza ed esercitò per otto anni la professione di avvocato. Nel 1934 divenne professore universitario di diritto pubblico comparato e di storia e dottrina del Fascismo a Napoli, e nel corso degli anni trenta ricevette numerosi incarichi di rilievo: fu ad esempio segretario dell'Unione interprovinciale credito e assicurazioni dal 1937 al 1943 e membro della Corporazione previdenza e credito dal 1934 al 1943.
Volontario nella guerra civile spagnola come capitano di fanteria, nel conflitto viene ferito e decorato con due medaglie d'argento al valor militare. Rientrato in Italia è nominato membro del direttorio federale di Napoli e del direttorio nazionale nel 1943, segretario federale di Napoli, consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni e sottosegretario al ministero delle Finanze nel 1943, fino al 25 luglio.
Successivamente aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, di cui Ministro per le Finanze: in questa veste egli costituì nel 1944 la "Brigata Nera", di cui fu anche comandante. Al termine della Seconda guerra mondiale fu arrestato ed assolto dall'accusa di collaborazionismo col regime nazista. Nel 1949 si trasferisce prima in Brasile, poi in Argentina e in Uruguay dove fa svolge la professione di banchiere e di direttore della rivista Sintesi.

Tra i suoi scritti, oltre agli Aspetti spirituali del fascismo del 1941 (che si basano su quello che venne definito "misticismo fascista"), ha una notevole importanza L'oro di Salò nel quale Pellegrini Giampietro non solo spiegò il modo con cui diresse l'economia della RSI (ad esempio nei primi mesi del 1945 fece stampare solo 10,881 milioni di carta moneta rispetto ai 137,840 autorizzati).





IL TESTAMENTO DI MUSSOLINI


Non è la fede che mira nell'ora del crepuscolo quella che mi sostiene, è la fede della mia infanzia e della mia vita che mi impone di dover credere, anche quando avrei forse il diritto di dubitare.

Non so se questi miei appunti saranno mai letti dal popolo italiano; vorrei che così fosse, per dargli la possibilità di raccogliere in confessione di fede il mio ultimo pensiero.
Non so nemmeno se gli uomini mi concederanno il tempo sufficiente per scriverli.


Ventidue anni di governo non mi rendono probabilmente degno a giudizio unano di vivere altre ventiquattro ore.
Ho creduto nella vittoria delle nostre armi, come credo in Dio, Nostro Signore, ma più ancora credo nell'Eterno, adesso che la mia sconfitta ha costituito il banco di prova del quale dovranno venire mostrate al mondo intero, la forza e la grandezza dei nostri cuori.


E' ormai un fatto che la guerra è perduta, ma è anche certo che non si è vinti finchè non ci si dichiara vinti.

Questo dovranno ricordare gli italiani se, sotto la dominazione straniera, arriveranno a sentire l' insoffocante risveglio della loro coscienza e dei loro spiriti.

Oggi io perdono a quanti non mi perdonano e mi condannano, condannano se stessi.

Penso a coloro ai quali sarà negato per anni di amare e soffrire per la Patria e vorrei che essi si sentissero non solo testimoni di una disfatta, ma anche alfieri della rivincita.

All'odio smisurato e alle vendette subentrerà il tempo della ragione.

Così riacquistato il senso della dignità e dell'onore, son certo che gli Italiani di domani sapranno serenamente valutare i coefficenti della tragica ora che vivo.

Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha tradito, vada il mio perdono, come allora perdonai al Savoia la sua debolezza.

Germasino, 27 Aprile notte


Benito Mussolini