sabato 28 febbraio 2015

DIETRO AL TENTATIVO GOLPE IN VENEZUELA MOSSAD E CIA...


 NOTIZIE 2015
 
Dietro al tentato Golpe in Venezuela Mossad e Cia :Arrestato Antonio Ledezma  prima del  ventiseiesimo anniversario del Caracazo
 
di Attilio Folliero
Caracas 27/02/2015
 
Il 27 febbraio è un giorno triste per il Venezuela. È L’anniversario del cosiddetto “Caracazo”, la ribellione del popolo venezuelano contro il neoliberismo, contro il Fondo Monetario Internazionale e contro il proprio governo.
 
Il 27 febbraio del 1989 scoppiò una grande protesta popolare a Caracas e nelle altre città del Venezuela. Il popolo protestava contro le misure neoliberali adottate dal Governo di Carlos Andrés Perez. Le proteste furono duramente stroncate nel sangue: migliaia furono i morti; migliaia di venezuelani, soprattutto a Caracas, furono assassinati dalla repressione della Polizia Metropolitana e dei militari agli ordini del Ministro della Difesa, l’italo-venezuelano Italo del Valle Alliegro.
 
Migliaia di uomini, donne e bambini furono trucidati. Non si è mai saputo esattamente quanti furono i morti, ma è certo che furono migliaia. Migliaia di uomini, donne e bambini che semplicemente reclamavano un tozzo di pane, una arepa, un piatto di pasta e furono uccisi, o desaparecidos.
 
La repressione non terminò con la fine delle manifestazioni di protesta, l’8 marzo del 1989. Il Caracazo fu l’occasione per la sospensione delle garanzie costituzionali e l’istituzione del coprifuoco alle sei di sera. Gli organi dell’apparato repressivo grazie al coprifuoco ed alla sospensione delle garanzie costituzionali potevano sparare a vista e abusando di questa facoltà terminarono per ammazzare impunemente tante persone considerate o semplicemente sospettate di essere guerriglieri, attivisti o simpatizzanti di sinistra. Insomma ebbero carta libera per ammazzare impunemente.
 
Nessuno dei responsabili del massacro è stato condannato; nè Carlos Andés Perez, allora Presidente della Repubblica, né il suo ministro più coinvolto, Italo del Valle Alliegro; né Antonio Ledezma, deputato, segretario personale del Presidente Perez ed uomo di spicco del partito di governo, “Acción Democrática”.
 
Per ironia della sorte, Antonio Ledezma è finito in carcere, alla vigilia del ventiseiesimo aniversario del caracazo. Ovviamente non è stato arrestato per le sue responsabilità nel Caracazo, ma perchè coinvolto in un recente tentativo di colpo di stato.
 
Antonio Ledezma è uno di quei politici maggiormanete compromessi con la repressione della Quarta Repubblica: Deputado per il Consiglio Regionale dello stato Guárico (1979-1984), Deputato (1984-1992), Governatore di Caracas (1992-1993), Senatore (1994-1996), con l’incarico di vicepresidente del Senato (1994-1995), Sindaco di Caracas (1996-2000) e Sindaco del Distretto Metropolitano di Caracas (dal 2008 ad oggi).
 
Era segretario personale del Presidente Carlos Andrés Pérez all’epoca dei fatti del Caracazo e pertanto uno dei principali responsabili della repressione del popolo (1).
Ledezma, oltre ad avere forti responsabilità negli abusi commessi dagli organi poliziali durante il Caracazo è il responsabile morale e materiale di numerosi atti di inaudita repressione (2). Quando fu nominato Governato del Distretto Federale di Caracas (1992), la sua gestione si caratterizzò appunto per la forte repressione.
 
È il responsabile del massacro occorso nel novembre del 1992 nel “Retén de Catia”, un terribile carcere chiuso con l’avvento di Hugo Chavez al governo. In quell’occasione furono assassinati dalla polizia più di 200 carcerati presumibilmente in fuga. Secondo vari testimoni dell’epoca, fu il proprio Ledezma a dare l’ordine di aprire le porte del carcere e stimolare la fuga collettiva, per poi ordinare alla polizia di aprire il fuoco contro i fuggitivi (3). Altri 63 detenuti venivano barbaramente assassinati nello stesso carcere, sempre quell’anno, per mano della Polizia Metropolitana e della Guardia Nazionale. Ledezma come Governatore di Caracas dirigeva la Polizia Metropolitana e ne era il massimo responsabile.
 
Ledezma è stato anche il responsabile della dura repressione contro gli studenti, molti dei quali sono morti, altri feriti ed arrestati. In particolare si ricorda l’azione illegale della polizia, ai suoi ordini, che entrò nel recinto della Università Centrale (UCV) e catturò 13 studenti che protestavano per l’istituzione di un prezzo ridotto per gli studenti nei trasporti pubblici. L’allora rettore della UCV, Fuenmayor, denunciò l’illegalità con cui erano entrati i poliziotti, in borghese ed incappucciati. I fatti furono conosciuti grazie alla testimonianza di un ragazzo statunitense, Mark Zuchelly, che si trovava per puro caso all’interno della UCV, quando venne catturato, assieme agli studenti, da soggetti incappucciati (4).
 
Ledezma il 3 di febbraio del 1992, il giorno anteriore la ribellione militare di Hugo Chavez, ordinò la repressione dei pensionati, inermi vecchietti che semplicemente protestavano per la mancata riscossione della pensione; molti vecchietti furono selvaggiamente pestati dalla polizia e molti finirono in carcere.
 
Ledezma è il responsabile della morte, all’interno della UCV nel 1993, della giornalista Maria Veronica Tessari, colpita da una bomba lacrimogena lanciata dalla polizia e deceduta dopo mesi di coma; altri tre giornalisti rimasero feriti durante quella stessa azione repressiva (5). I giornalisti coprivano le manifestazioni degli studenti che chiedevano la restituzione delle garanzie costituzionali, sospese all’indomani della ribellione militare di Hugo Chavez.
 
Decine furono le vittime della repressione della Polizia Metropolitana di Antonio Ledezma contro manifestazioni popolari e settori della popolazione; per esempio nel 1996 muore Leonarda Reyes, una venditrice ambulante vittima della repressione contro i venditori ambulanti. In un paese in forte crisi, dove la povertà era superiore all’80% (6) e la disoccupazione raggiungeva livelli altimssimi, per milioni di venezuelani l’unico modo di guadagnare qualcosa era vendendo per la strada o lavorando nel cosiddetto settore informale. Durissima fu la repressione della Polizia agli ordini di Ledezma contro questi venezuelani.
 
Il periodo di governo di Ledezma si caratterizzò anche per la dura repressione contro gli immigrati; migliaia di colombiani ed haitiani che fuggivano dalla povertà, dalla guerra civile e dalla repressione del loro paese venivano catturati per strada o nelle loro residenze ed espulsi dal paese nel giro di poche ore. Tantissimi bambini piccoli, i cui padri cadevano vittime di questa repentina deportazione, rimasero completamente abbandonati. Ledezma ha sulla coscienza anche la separazione di centinaia di famiglie.
 
Perchè è stato arrestato Antonio Ledezma? Antonio Ledezma è stato arrestato il 19 febbraio 2015 su ordine di cattura spiccato da un magistrato; subito dopo, è stato posto a disposizone del tribunale che ha convalidato l’arresto.
 
Ledezma è stato arrestato per il suo coinvolgimento nel tentato colpo di stato contro il governo costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
 
Il 12 febbraio scorso in Venezuela è stato sventato l’ennesimo colpo di stato e vari ufficiali sono stati arrestati. Sono state proprio le rivelazioni di questi militari arrestati a coinvolgere Antonio Ledezma; le rivelazioni hanno trovato conferma anche nei documenti archiviati nei computer sequestarti ai militari coinvolti in questo golpe. Inoltre, i servizi di intelligenza hanno intercettato telefonate ed email in cui appare evidente il coinvolgimento di Ledezma in questo tentativo di golpe.
 
Intercettazioni telefoniche tra Antonio Ledezma e Henry Salazar, militare statunitense
 
Ricordiamo che il piano golpista prevedeva di scatenare il caos a Caracas, attraverso il bombardamento di numerosi punti strategici: il Palazzo Presidenziale, il Ministero della Difesa, il Ministero degli Interni, il Ministero degli Esteri, il Parlamento, la sede del Consiglio Nazionale Elettorale, il canale televisivo Telesur e la sede dei servizi di intelligenza (SEBIN).
Stando alle dichiarazioni dei militari arrestati, i punti strategici da bombardare sono stati opportunamente selezionati dal deputato Julio Borges, per il quale non è ancora scattato l’arresto, in quanto gode dell’immunità parlamentare. Nelle prossime ore il parlamento dovrà pronunciarsi sulla questione ed è probabile che anche questo deputato finisca davanti ad un tribunale.
 
Come ulteriore prova del coinvolgimento di Ledezma in questo tentativo di golpe, c’è un documento-manifesto pubblicato l’11 febbraio del 2011 nel quotidiano “El Nacional”. Un documuento a firma di Antonio Ledezma, Leopoldo Lopez e Maria Corina Machado in cui si parla di una transizione dopo la rinuncia del presidente e di tutti coloro che ricoprono cariche pubbliche; si parla anche di nuove elezioni presidenziali. In tema economico, in tale documento si parla espressamente di inserire nuovamente il Venezuela nei circuiti finanziari internazionali ed ottenere appoggi economici necessari a superare le difficolta del paese. In sostanza si parla di tornare a chiedere prestiti al FMI e Banca Mondiale. Inoltre, si parla di elevare significativamente la produzione petrolífera. In pratica, in questo documento si prospetta uno sconvolgimento dell’ordine costituzionale (7). La pubblicazione di questo documento doveva rappresentare il segnale per l’inizio del colpo di stato.
 
Inoltre, è bene ricordare che lo scorso anno, in occasione delle proteste scatenate dall’opposizione che provocarono la morte di 43 persone ed il ferimento di circa un migliaio, è stato arrestato in Colombia un giovane venezuelano di nome Lorent Saleh; questi era in Colombia per coinvolgere paramilitari e narcotraficcanti di questo paese in un tentativo di colpo di stato in Venezuela o comuque in atti di violenza. Ebbene il giovane, poi estradato in Venezuela, in vari video ha candidatamente confessato la sua vicinanza ad Antonio Ledezma, oltre che ad Alvaro Uribe.
 
Occorre ancora ricordare che il famoso giornalista venezuelano, José Vicente Rangel, nel 2013 aveva denuciato l’acquisto di aerei da guerra da parte di imprenditori venezuelani, profughi della giustizia venezuelana e personaggi legati all’impresa petrolifera colombiana “Pacific Rubiales”. Tali aerei furono acquistati a San Antonio, in Texas il 27 maggio del 2013 e “parcheggiati” in una delle basi militari statunitensi in Colombia, probabilmente in quella di Malambo, nei pressi di Barranquilla (8).
 
Il bombardamento delle istituzioni venezuelane doveva avvenire tramite aerei da guerra, in partenza da qualche base militare statunitense in Colombia; probabilmente si tratta degli stessi aerei di cui alla denuncia del giornalista venezuelano.
 
I militari coinvolti in questo golpe avevano ricevuto un visto d’ingresso per gli Stati Uniti; ossia il piano prevedeva che dopo il golpe questi militari avrebbero in ogni caso lasciato il venezuela. Ciò lascia suporre che l’obiettivo di questi militari non era impadronirsi del potere in se, ma scatenare il caos. A questo punto è lecito chiedersi: “Per quale ragione scatenare il caos?”. Probabilmente per dare la scusa agli Stati Uniti di intervenire militarmente. Gli USA di fronte a tale situazione di caos, crisi e violenza sarebbero intervenuti per presunti motivi umanitari e per tutelare i propri interessi petrolíferi.
 
Jorge Rodríguez, membro della direzione nazionale del Partito Socialista e Sindaco di Caracas in una intervista rilasciata al giornalista Valdimir Villegas di Globovision (9) ha denucniato i numerosi viaggi all’estero di Antonio Ledezma e le relative spese ammontanti ad oltre 600.000 dollari. Rodriguez ha reso noto che Ledezma ha viaggiato spesso negli USA, in Colombia, in Spagna ed in Israele; in Israele oltre ad incontrarsi segretamente con Benyamin Netanyahu e Avigdor Lieberman si è incontrato con membri del Mossad.
 
Il Mossad a quanto pare aveva un ruolo importante in questo colpo di stato: era incaricato di sequestrare, catturare o eliminare i principali membri della classe dirigente del Venezuela (10). Si parla ovviamente di qualche migliaio di dirigenti, fra presidente, ministri, governatori ed alti funzionari dello stato. Orbene, per catturare un migliaio di persone è necessario disporre di un vero e proprio esercito, di migliaia e migliaia di uomini presenti nel territorio, ben addestrati e totalmente a conoscenza del paese. A questo punto bisgna ritenere che nel paese ci siano migliaia di persone a disposizone del Mossad. Agenti o cittadini al servizio del Mossad che in qualsasi momento possono attivarsi. Chi sono? Questi non sono stati scoperti, per cui il pericolo continua.
 
In definitiva in questo colpo di stato erano coinvolti vari paesi, dagli USA, al Canada, ad Israele.
 
Fortunatamente il golpe è stato sventato ed oggi in questa triste ricorrenza del Carcazo, uno dei responsabili di quel massacro è finito in carcere.
 
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Note
 (1) Sulle responsabilità e gli eccidi di Antonio Ledezma, vedasi articolo in spagnolo “Conozca el prontuario de Antonio Ledezma Díaz”, Url: http://la-tabla.blogspot.com/2015/02/conozca-el-prontuario-de-antonio.html
 (2) Vedasi articolo in spagnolo: “Ministra Faría revela prontuario de violencia y represión de Ledezma”, Url: http://www.antv.gob.ve/m9/ns_noticias_antv.asp?id=58864
(3) Vedasi nota 1
(4) Vedasi libro in spagnolo “Protesta estudiantil y represión en Venezuela 1983–1993”, consultabile all’Url: http://hoyvenezuela.info/wp-content/uploads/2015/02/Leer-protesta-estudiantil-y-represi%C3%B3n-en-Venezuela-1983-1993.pdf
(5) Vedasi articolo in spagnolo “Ucevistas recuerdan a Ledezma como responsable de políticas represoras contra estudiantes”, Url: http://www.avn.info.ve/contenido/ucevistas-recuerdan-ledezma-como-responsable-pol%C3%ADticas-represoras-contra-estudiantes e “¿Quién es Antonio Ledezma?”, Url: http://www.vtv.gob.ve/articulos/2015/02/20/quien-es-antonio-ledezma-7451.html;
(6) La povertà in Venezuela fu superiore all’80% nel corso degli anni 90, secondo dati del BCV, Url: http://umbvrei.blogspot.com/2013/06/venezuela-pobres-y-pobres-extremos.html;
(7) Il testo completo del documento può leggersi all’Url: http://www.ventevenezuela.org/comunicado/; Per una analisi dettagliata del documento, vedasi articolo in spagnolo “El Acuerdo para la Transición de Machado, Ledezma y López: Lo que dice, y lo que no dice”, Url: http://albaciudad.org/wp/index.php/2015/02/lo-que-realmente-dice-el-acuerdo-para-la-transicion-de-maria-corina-machado-ledezma-y-lopez/
(8) Vedasi articolo in spagnolo “Rangel reitera denuncia de compra de aviones de guerra para agresión contra Venezuela” del 23/06/2013, Url: http://www.avn.info.ve/contenido/rangel-reitera-denuncia-compra-aviones-guerra-para-agresi%C3%B3n-contra-venezuela
(9) Le dichiarazioni di Jorge Rodriguez sono avvenute durante l’intervista rilasciata al giornalista Vladimir Villegas, nel programa Valdimir a la 1andata in onda in Globovision il 20/02/2015
(10) Vedasi sul tema articolo in spagnolo “Golpe de Estado en Venezuela: Hasta Israel está involucrado”, Url: http://losotrosjudios.com/2015/02/23/golpe-de-estado-en-venezuela-hasta-israel-esta-involucrado/
 
 
Invito a leggere anche: El Carazo, la masacre de un pueblo.
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giovedì 26 febbraio 2015

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martedì 24 febbraio 2015

Italia e Islam. Dalla guerra di Libia a Nassiriya



 
Italia e Islam. Dalla guerra di Libia a Nassiriya

di Enrico Galoppini


“Italia e Islam” è il titolo di un dvd prodotto dall’Istituto Luce in collaborazione con l’ISSE (Istituto di Studi Storici Europei), mirato ad un pubblico, quello italiano, bisognoso di ricordarsi della vocazione essenzialmente mediterranea della nostra penisola, che comporta un orientamento costruttivo verso i Paesi e i popoli delle sponde meridionale ed orientale del “mare interno” a tre continenti. Ora, queste popolazioni sono a maggioranza araba-musulmana, il che, tradotto in pratica, significa una cosa sola: farla finita con la psicosi da “terrorismo islamico” inoculata da chi ha interesse a dividere realtà che devono percepirsi reciprocamente come ‘aliene’. Ma ciò presupporrebbe un’Italia libera, sovrana e ed indipendente, condizione necessaria per una politica estera autonoma e davvero nell’“interesse nazionale”, di cui tanto parlano a sproposito personaggi il cui “interesse” è solo quello meschinamente egoistico. E, in un’epoca in cui la mera dimensione nazionale si rivela insufficiente per risolvere il “problema principale” – ovvero la liberazione dell’Europa dalla sessantennale occupazione americana -, si renderebbe necessaria un’Europa libera, sovrana e indipendente, innanzitutto dagli euro-burocrati di Maastricht e di Bruxelles, appiattiti, specialmente in politica estera, sulle direttive impartite dai comandi Usa e Nato.
La storia dei rapporti tra il nostro Paese e l’Islam (con cui qui s’intende non solo una fede, ma tutta un’area caratterizzata dall’appartenenza dei suoi abitanti ad una civiltà), comincia con lo sbarco a Tripoli del 1911, quando l’Italietta” di Giolitti avviò la conquista dell’ultimo possedimento ottomano sulla costa sud del Mediterraneo in quella che sarebbe diventata la “Guerra italo-turca”. Tale denominazione non è corretta, poiché gli arabi (qui s’intende la popolazione autoctona, più esattamente arabo-berbera, e comunque musulmana, quindi nettamente arabizzata) fecero causa comune coi turchi, o meglio le truppe della Sublime Porta, sulla cui soglia, comunque, non era più seduto, dal 1908, l’ultimo grande sultano ottomano, ‘Abd el-Hamid II, scalzato dai modernisti e massoni Giovani Turchi, che governavano attraverso il Comitato d’Unione e Progresso. Fatto sta che il primo impatto dell’Italia unitaria col mondo islamico non fu esattamente pacifico (sebbene contemporaneamente venissero condotti tentativi d’avvicinamento molto interessanti: si pensi al ruolo di Enrico Insabato, in contatto con ambienti dell’esoterismo islamico sin dall’inizio del secolo), ma, al contrario s’inseriva nel quadro d’un colonialismo ‘ritardatario’ rispetto a quello, ben radicato in Africa, della Francia e della Gran Bretagna. Per certi aspetti, soprattutto a causa della tarda unità raggiunta, quello italiano ricorda il colonialismo tedesco, che però scomparve del tutto dopo la Prima guerra mondiale, col Nazionalsocialismo che successivamente ambì ad un’annessioni di territori di tipo pangermanista, ma non ad una ripresa delle imprese d’Oltremare. Inoltre, per essere precisi, popolazioni musulmane erano già state sottomesse all’autorità italiana sin dall’istituzione delle colonie d’Eritrea e di Somalia, e per dovere di completezza è da ricordare che la guerra del 1911-12 causò l’annessione delle isole del Dodecaneso, abitate anch’esse da musulmani.
Tuttavia, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo, la Libia rivestì un ruolo centrale nella “nuova visione” coloniale che s’impose grazie al Fascismo, il quale, con una “missione romana” da compiere, aveva ben chiaro in che misura una “politica islamica” a tutto tondo fosse un fattore essenziale per lo stabilirsi di una pace duratura in un Mediterraneo libero dall’influenza della talassocrazia mercantile britannica.
La prima parte di questo eccezionale documentario – presentato, tra gli altri, da Stefano Fabei e dal sottoscritto alla “Casa del cinema” di Villa Borghese, a Roma, il 17 febbraio 2006 – si sofferma perciò adeguatamente sul periodo tra le due Guerre mondiali, quando la gran parte delle popolazioni arabo-musulmane era sottoposta al dominio franco-britannico. È, questa, una realtà che andrebbe ricordata un po’ più spesso, tanto per chiarire “chi minaccia chi”, e non da oggi…
Anche l’Italia aveva i suoi sudditi musulmani, tuttavia, l’obiettivo del Governatore della Libia Italo Balbo divenne il superamento del “vecchio concetto coloniale”, oltre l’“assimilazione” alla francese e il “governo indiretto” all’inglese. Tutti, musulmani compresi, per la cui spiritualità Mussolini ebbe a dichiarare più volte il più profondo “rispetto” (v. anche il mio “Il Fascismo e L’Islam”, All’insegna del Veltro, Parma 2001, e la trilogia di Stefano Fabei edita da Mursia), erano chiamati a contribuire alla riedificazione dell’Impero di Roma, rinnovato nella forma ma immutabile nello spirito. Quanto al Vicino Oriente, è naturale che la Palestina e l’Iraq cercassero nell’Italia un appoggio contro i loro sfruttatori (si pensi al sostegno italiano fornito alla prima grande insurrezione palestinese del 1936-38, oppure alla tentata rivoluzione in Iraq, nella primavera del 1941), per cui il documentario rappresenta anche una sobria e documentata risposta ai vaneggiamenti di chi cerca una fortuna editoriale a buon mercato agitando lo spauracchio del “fascismo islamico”, fondato sul nulla, o meglio sull’eterno e mistificante equivoco dell’antifascismo diffuso dagli anglo-americani, per cui la semplice definizione di “fascista” squalificherebbe di per se stessa chi ne viene colpito.
Il dopoguerra, pur nella tragica situazione creatasi per l’Italia, tradita, distrutta ed occupata, non vede dilapidare completamente gli insegnamenti della precedente “politica islamica” (così come non era stato possibile eliminare tutto lo “Stato sociale”…), grazie a statisti assennati quali Moro e Craxi. Sembra incredibile, ma solo vent’anni fa, in Parlamento, un Presidente del Consiglio, sotto lo sguardo costernato dei più ferrei referenti del “partito americano”, con le bave alla bocca per quanto avvenuto nella “notte di Sigonella”, sfoderava con notevole arte oratoria paragoni tra ‘Arafat e Mazzini… Vedere per credere.
Ma il documentario parla anche di Enrico Mattei e della sua lungimirante politica energetica (quindi politica tout court: le guerre, oggi, si fanno per quello, non per i burqa‘ e i “diritti umani”), schiantatasi simbolicamente e di fatto quando una provvidenziale manina pensò bene di manomettere l’aereo che lo riportava al Nord dopo un comizio in Sicilia… (si veda anche il bellissimo film di F. Rosi, “Il caso Mattei” (1972), con l’ex partigiano bianco - sul quale oggi la stampa ufficiale spruzza il solito ‘zolfo’ “fascista” per far credere che il controllo dei settori strategici dell’economia da parte dello Stato sia una cosa negativa - impersonato dal grande Gian Maria Volonté).
Purtroppo, la seconda parte del dvd (dal 1945 a oggi) risente di un’eccessiva compressione degli eventi, che non riescono a stare nei limiti di tempo imposti dalla produzione. Ma quel che contava, evidentemente, era la prima parte, quella sul Fascismo, davvero istruttiva, mentre per il resto, una volta stabilito che con la sconfitta, ormai, i margini di manovra erano risicati, giustamente sono stati messi in risalto i passaggi-chiave e le figure più significative. Emerge così che dopo “Tangentopoli”, e il killeraggio progressivo di politici col senso dello Stato e della funzione geopolitica dell’Italia, la vocazione mediterranea del nostro Paese è andata sempre più tradita… Il finale del dvd rischia poi di rovinare il tutto, con il superfluo e stucchevole siparietto sui piloti italiani prigionieri in Iraq nel 1991, l’immancabile richiamo all’11 settembre (come se tutti i problemi del mondo cominciassero da lì) e la “strage di Nassiriyya”, con la presenza militare italiana in Iraq (che oggi prosegue, nell’ombra, coi “contractors”) affiancata idealmente alla missione in Libano del 1982 soprattutto per far passare il messaggio che gli italiani sanno comunque “distinguersi” e farsi voler bene.
 
DVD


Italia e Islam. Dalla conquista della Libia a Nassirya
Italia, 2005

Libri


Enrico Galoppini, Il Fascismo e l'Islam, con un'Introduzione di Franco Cardini, pp. 160, 12,91


Sui rapporti tra il regime fascista e il mondo islamico è calato il buio della storia. Eppure Mussolini ricevette persino la "Spada dell'Islam" nella primavera del 1937. Interessante quindi il libro di Enrico Galoppini, ricco di documenti e approfondimenti su uno dei capitoli più intriganti del XX secolo. Cosa spinse Mussolini a guardare con simpatia al mondo islamico, lui che era capo di un governo fermamente ancorato ai valori del cattolicesimo? Una pura questione di interesse strategico e geopolitico in funzione preminentemente antiinglese? Oppure c'era dell'altro? ("La Padania", 9 agosto 2001 )
 
16/12/2007

                                                                                                                                           

mercoledì 18 febbraio 2015

QUANDO GIOVANNI GIOLITTI mosse la “Grande Proletaria” alla volta della Libia contro il dominio turco


 
 


Quando Giovanni Giolitti mosse la “Grande Proletaria” alla volta della Libia contro il dominio turco

L’invasione della Libia fu preparata dall’Italia fin dal 1887 (Mussolini, il male assoluto, aveva quattro anni). Forti pressioni per questa impresa vennero principalmente dalle banche alla testa delle quali era il Banco di Roma che aveva investito notevoli capitali proprio in Libia, contando sulla sua trasformazione in colonia. Ma a favore della spedizione troviamo anche i socialisti, i sindacalisti rivoluzionari, nonché i cattolici. La decisione della guerra contro la Turchia, che allora dominava la Libia fu presa dal presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, nel novembre 1911 ed il 25 di quel mese il dado fu tratto, e fu guerra. Violente dimostrazioni contro quell’impresa si svolsero principalmente in Romagna, guidate, indovinate da chi? Dall’allora non ancora male assoluto. Però, evviva la democrazia, la dichiarazione di guerra, come consentiva l’art. 5 dello Statuto, fu inviata senza l’approvazione del Parlamento, il quale, in vacanza dal luglio, riaprirà solo il 22 febbraio 1912.
Il contingente italiano, dopo aspri combattimenti, occupa i principali centri costieri della Tripolitania e della Cirenaica; ma non va oltre. L’interno libico rimarrà, per almeno due decenni, in mano di bande locali, spesso in lotta fra loro.
Ma, c’è sempre un ma, anche se non ancora in Camicia nera: un attacco turco a Sciara Sciat provoca quasi 400 morti fra i bersaglieri italiani. Seguirà da parte italiana una feroce rappresaglia (fascista? Ma che pensate! Mancano ancora una dozzina di anni prima che il male assoluto prenda il potere) che colpirà anche la popolazione civile dell’oasi. Il comportamento italiano susciterà indignazione nella stampa internazionale e provocherà un’intensificazione della guerriglia araba di resistenza. E’ ovvio che i furbetti, giocando sul monopolio dell’informazione e sull’ignoranza del popolo, hanno fatto credere che quella rappresaglia fosse di “chiara marca fascista”. E non è da dimenticare che dopo la Prima Guerra Mondiale la riappropriazione della Libia fu avviata con mano di ferro da un ministro liberale che si chiamava Giovanni Amendola.
La visita del colonnello Gheddafi che ci ha onorato in questi giorni di giugno 2009, nel corso della quale ha preteso, e ottenuto le scuse da parte delle autorità italiane per le atrocità commesse dall’Italia fascista (il fascismo, come abbiamo visto, nel caso di Sciara Sciat, era ancora solo nella mente di Allah), ed i vermetti-furbetti si sono genuflessi anche dinanzi al beduino.
Chi scrive queste note non è un fanatico, quindi riconosce che nel caso specifico le scuse erano giustificate, ma (ecco un altro ma) quali scuse ha portato Gheddafi per le atrocità commesse da parte dei suoi concittadini a danno degli italiani? Circa le atrocità di cui furono vittime i soldati italiani caduti nelle mani dei turchi-libici durante la conquista di Tripoli, sono così riportate dal Journal: “Ho veduto in una sola moschea diciassette italiani crocifissi. Sono stati inchiodati al muro e morirono a fuoco lento… A un ufficiale furono cuciti gli occhi. I cadaveri erano mutilati in modo indicibile… Nel cimitero di Chari vedemmo cinque soldati sepolti sino alle spalle; le teste emergevano dalla sabbia, nera del loro sangue” E il giornalista del Matin: “Nel villaggio di Henni e nel cimitero arabo era stato operato un vero macello… Si sono loro tagliati i piedi, strappate le mani: vi sono stati crocifissi. Un bersagliere ha la bocca squarciata fino alle orecchie”. E chi porge le scuse per queste atrocità? I vermetti-furbetti non dispongono degli attributi necessari per un giusto atto d’orgoglio.
Il mai sufficientemente rimpianto Franz Maria D’Azaro, già il 10 novembre 1987 scriveva: “Ogni volta che i periodici lampi di follia accendono di furore anti-italiano i neuroni del colonnello Gheddafi, con le ridicole pretese di risarcimenti (…)>. Quello che una volta erano ridicole pretese, oggi, 2009, il colonnello Gheddafi torna a casa con un assegno che gli italiani dovranno onorare. Questa è la politica dell’italietta nata dalla Resistenza, priva di un anche minimo motivo di orgoglio.
E veniamo alle imprese di Omar al Muktar. Il film che esaltava le imprese del ribelle libico, Il Leone del deserto, costato circa cinquanta miliardi di lire nel 1980, ebbi occasione di vederlo nei primi anni del ‘90 in Australia: per quanto ricordo, non fu particolarmente acido nei confronti degli italiani. Il film non è stato mai proiettato in Italia.
Omar el Muktar era al servizio del monarca senussita, Re Idriss, detronizzato proprio da Gheddafi nel 1969.
Ora è necessario ricordare, checché ne possano dire i vermetti-furbetti, la pacificazione della Libia era una delle tante eredità negative lasciate al fascismo dai governi precedenti. Come ricorda Franz Maria D’Azaro, quando Rodolfo Graziani, inviato in Libia dal governo per tentare la pacificazione, trovandosi di fronte a Muktar, questi chiese al futuro Maresciallo d’Italia: “Perché siete venuti?” questi rispose: “Non siamo venuti, siamo tornati” accompagnando la risposta mostrando una moneta romana di Leptis Magna, così denominata la Roma d’Africa da Diocleziano. Interessante è anche quanto ricordato, sempre da Franza Maria D’Azaro, riportando un giudizio di Oliver Reed che interpretava nel film la parte di Graziani, il quale nutriva una profonda stima verso il ribelle libico, “Per questo - ricorda Reed - Graziani ha scritto nelle sue memorie che una delle cose più tristi della sua vita è stata quella di vedersi costretto dalle circostanze ad ordinare l’impiccagione di Omar el Muktar”. In altra occasione Graziani disse a Muktar: “L’Italia ha diritto di stare qui, come gli inglesi stanno in Egitto, i francesi in Tunisia ed in Algeria, gli spagnoli in Marocco”. In merito a ciò, commenta Reed: “Nessuno ha in effetti dei diritti su un altro Paese, ma la carta geografica del mondo è piena di invasioni da parte degli arabi dei mori in Spagna e in Sicilia, degli spagnoli nei Carabi, degli inglesi in ogni parte del globo. Siamo tutti nello stesso brodo. La storia ha punteggiato la carta del mondo di molte bandiere; e le atrocità delle guerre, da parte di tutti, non conosce limiti”.
Omar el Muktar nasce in un villaggio della Marmarica orientale intorno al 1862, in un ambiente fortemente influenzato dalle regole del Corano. Omar el Muktar si fa notare sia per la sua attitudine negli studi coranici, sia per il suo temperamento volitivo, ma anche per la sua volontà nel combattere prima i turchi, poi gli invasori italiani. A 40 anni è nominato capo della Zawia (convento e centro d’azione) e tornato nella natia Marmarica ha la spiacevole sorpresa di vedere le tribù sottomesse al governo italiano. Da allora in poi, sempre nel nome di Dio Altissimo e Misericordioso, punisce con spietata durezza chiunque accetti di collaborare con le autorità italiane.
A causa della guerra 1915-1918 il territorio, specialmente quello interno, vide le truppe italiane ridursi notevolmente per essere trasferite in altri fronti, così che bande sempre più numerose poterono spadroneggiare nel territorio imponendo decime alle popolazioni, accanendosi, in particolare contro coloro che mostrano una qualsiasi simpatia verso l’Italia. Omar el Muktar ha una parte preminente in queste azioni intimidatrici e punitive, precedute e seguite sempre da atti di inaudita ferocia. Fare un elenco del terrore seminato dal Leone del deserto e da altre bande simili è semplicemente impossibile. L’attività di Omar el Muktar assume connotati di assoluta preminenza nel biennio 1929-1931, di conseguenza il governo italiano ritenne indispensabile pacificare tutta la Libia. Badoglio e Graziani, incaricati allo scopo, reputarono necessario sottrarre il territorio all’influenza dei capi locali. Graziani, sempre affascinato dal modello della romanità, si richiamò alla legge “parcere subiectis et debellare superbos” e la applicò sforzandosi a persuadere i nativi che se protetti dal tricolore italiano avrebbero ottenuto un avvenire tranquillo e di prosperità. Quindi giustizia e perdono per i sottomessi, severità implacabile per i ribelli.
Mohamed el Mohesci, giornalista libico, sostenne che la tensione alimentata da Omar el Muktar stava frenando il decollo economico e sociale della Cirenaica, nonostante “la profusione di milioni di lire italiane per la costruzione di porti, ferrovie, strade, acquedotti ed opere per la valorizzazione delle strutture agricole”.
Negli anni ‘29, a seguito di una serie di contatti con alti ufficiali italiani, sembrava che un accordo sulla pacificazione fosse a portata di mano, ma a ottobre di quell’anno el Muktar ordinò l’attacco ad una pattuglia di zapié (carabinieri indigeni) comandati dal brigadiere Stefano Ramorino, accorsa per riparare la linea telefonica, appositamente sabotata in località Gars Benigden proprio per realizzare l’agguato. L’eccidio compromise qualsiasi ulteriore tentativo di accordi e ravvivò la guerriglia e la contro-guerriglia. Nei primi quattro mesi del 1931 il ritmo delle razzie e degli agguati assunsero proporzioni non più tollerabili. Fu in questo contesto che Graziani concepì e diresse la più grande e complessa operazione sahariana mai prima compiuta. Obiettivo finale della manovra: l’oasi di Kufra, nel più profondo sud desertico, conquistata, dai reparti cammellati, dopo una massacrante marcia nel deserto.
Contrariamente a quanto prevede il codice d’onore occidentale, un capo arabo ha il dovere di sottrarsi alla morte e alla cattura. Omar el Muktar, approfittando di questo diritto, non accettò la battaglia, ma ormai stanco, sfiduciato, vecchio e abbandonato dai suoi fidi, venne catturato, ai primi di settembre del 1931 nella zona di Uadi el Kuf, da una pattuglia di Sawari. Dopo la cattura, accusando di essere stato abbandonato al suo destino, stoicamente aggiunse: “Se mi avete preso è soltanto per volontà di Allah. Ora fate di me quel che volete”.
Graziani, d’accordo con Badoglio e con il ministro delle Colonie De Bono, convocò il Tribunale militare speciale.
Trascriviamo le parti essenziali del dibattimento: “L’anno millenovecentotrentuno, il giorno quindici del mese di settembre, in Bengasi nell’ufficio d’Istruzione delle Carceri Regionali (…). Si entra nel vivo della causa. Il Presidente chiede: ‘Tu hai combattuto e contro chi?’. Omar: ‘Ho combattuto contro il Governo italiano’ (…). Pres. : ‘Hai dato tu l’ordine di uccidere quelli che erano andati a riparare la linea telefonica a Gars Benighden?’. Omar: ‘Sì, ho dato l’ordine di uccidere quelli ed altri’. Pres.: ‘Anche i carabinieri di scorta?’. Omar: ‘La guerra è guerra’ (…). Pres. : ‘Hai fatto rapine, hai fatto razzie?’. Omar: ‘Sì’. Pres.: ‘Hai ordinato riscossioni di decime da parte dei sottomessi?’. Omar: ‘Prima sì, dopo no, da quando le popolazioni sono state allontanate’ (…). Dall’arringa del pubblico ministero proponiamo solo le parti più determinanti. Il pm rivolgendosi all’imputato lo accusa: “Tu hai dato l’ordine che a Gars Benigden venissero uccisi e seviziati i carabinieri di scorta ai lavori di riparazione alla linea telefonica mentre tra noi c’era la pace. Hai approfittato delle piccole guarnigioni per sorprenderle e ucciderle. Tu non sei un combattente ma un bandito che ha sempre vissuto alla macchia. Il vero combattente uccide l’avversario in guerra, ma non lo sevizia, mentre tu hai seviziato i nostri ufficiali e i nostri soldati. Hai ucciso i nostri feriti. Non uno di essi ha fatto ritorno (…). Hai dato ordine di uccidere i prigionieri (…). Tu hai effettuato rapine e razzie: di queste ancora dovrai dar conto”.
Al termine dell’udienza il Presidente chiese al giudicabile se ha altro da dire a sua discolpa, ed ottenuta risposta negativa, il Tribunale si ritirò in Camera di Consiglio. “Dopo mezz’ora rientra nell’aula ove tra un religioso silenzio il Presidente legge la sentenza con la quale, ritenuto Omar el Muktar responsabile dei reati ascritti, lo condanna alla pena di morte”. Avendo l’interprete tradotta la sentenza al giudicabile, questi dice: “Da Dio siamo venuti, a Dio dobbiamo tornare”.
Il giorno dopo, alle 9 nell’assolata piana di Soluk, l’esecuzione venne consumata in un cupo silenzio. “L’evento è triste” - ha scritto Franz Maria D’Azaro - “ma chi ha giudicato Omar el Muktar ha la certezza di averlo condannato non per aver animato la ribellione, ma per aver ordinato, incoraggiato e lasciato compiere atrocità contro gli italiani e contro le stesse popolazioni indigene (…). Un fatto è certo, scomparso Muktar – cui fece seguito la coraggiosa liberazione in massa degli ex ribelli – non un solo colpo di fucile è stato più esploso contro gli italiani, razzie e saccheggi finirono d’incanto e i remoti territori del deserto tornarono alla serenità”.
Ed ora facciamo qualche dispettuccio ai vermetti-furbetti, ricordando qualche esempio di quanta cattiveria fu animata la colonizzazione Littoria.
Il Duce si recò in Libia dal 12 al 21 marzo 1937, per inaugurare ospedali, strade, edifici pubblici, fattorie. Anziché essere preso a fucilate fu accolto dai nativi con un entusiasmo incontenibile, tanto che gli fu donata la Spada dell’Islam, intarsiata in oro massiccio e pietre preziose, alto simbolo di riconoscenza. Nel corso della sua visita nelle varie località libiche l’entusiasmo dei coloni italiani e della popolazione locale era veramente esaltante. Descrivere in queste poche righe le opere compiute dal lavoro fascista risulta impossibile, ma solo per motivi di spazio.
Un’altra iniziativa del male assoluto, accuratamente taciuta dai vermetti-furbetti, iniziativa unica del genere per i Paesi colonizzatori, fu il provvedimento con il quale grazie al R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII, N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuta “una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia”. Per essere più chiari, l’infame Regime riconosceva i cittadini libici come cittadini italiani; chiamati, allora, italiani della quarta sponda.
Spaziando ancora con qualche esempio, possiamo ricordare quanto scrisse il capo senussita Mohammed Redà: “Questo governo (italiano, ndr) è stato mandato da Dio altissimo per la rinascita di questo paese, per la sua felicità e per la felicità dei suoi figli”.
E ancora. Un autorevole insegnante libico, il prof. Mohammed ben Messuad Fusceka, in un suo libro, con il titolo La storia della Libia, edito nel 1956, fra l’altro ha scritto: “Il governo fascista, presieduto dal suo Capo Benito Mussolini, aveva intanto preso i poteri. I suoi uomini provvidero a far prosperare la Libia. Onde mettere in esecuzione le direttive del governo, gli italiani nominarono nel 1934 il Maresciallo Italo Balbo Governatore generale della Libia. In tale periodo la Libia raggiunse il più alto tenore di vita della sua storia”.
E oggi (ma quanta tristezza), cosa possono snudare e alzare verso il cielo i vari vermetti-furbetti, i vari arlecchini e pulcinella, i quali non hanno niente di meglio che indagare quanti rapporti sessuali ha uno rispetto all’altro? Li vediamo genuflessi di fronte ad un Gheddafi autore di una delle più vergognose rapine che la storia ricordi, durante le quali parlò di cancro italiano. Quando cacciò, negli anni ‘70 gli italiani dalla Libia, appropriandosi da perfetto razziatore di quattromila ettari di terreni, di 714 mila olivi, 245 mila piante di agrumi, 184 mila piante di mandorlo, un milione di tralci di uva, 4 mila ville, 765 appartamenti, 468 edifici, 727 tra veicoli industriali e trattori agricoli, 265 officine, 50 industrie, nazionalizzate le banche (un affare da quattordici miliardi in un colpo solo), un numero imprecisato di oggetti di valore confiscati nelle case degli italiani. Una sola soddisfazione, se questa fosse sufficiente: “Semplicemente che i figli della rivoluzione non erano stati in grado di sostituire i nostri connazionali cacciati: le officine e le fabbriche avevano dovuto chiudere quasi subito, i raccolti delle fattorie erano andati in malora, i villaggi dei coloni in rovina, la sabbia del deserto aveva ricominciato ad avanzare su quegli che erano stati floridi agrumeti e vigneti”. (Franz Maria D’Azaro). Ed i vari Arlecchino e Pulcinella per ricambiare e riparare la rapina da noi subita, hanno regalato al rapinatore un risarcimento (lo vogliamo chiamare così?).

Filippo Giannini