sabato 31 maggio 2014

ARTE ITALIANA DEL '900 -- S.E. Benito Mussolini


   
ARTE  ITALIANA  DEL  '900
 Architettura  &  Arte  in  Italia  durante il Fascismo
 
S.E. Benito Mussolini






 
 






Cimitero di Predappio - Tomba di S.E. Benito Mussolini
foto Gianni Porcellini


La tomba di S.E. Benito Mussolini è visitata ogni anno da decine di migliaia di italiani e stranieri.




Cimitero di Predappio - Tomba di S.E. Benito Mussolini
foto Gianni Porcellini


Spighe in ricordo della famosa "battaglia del grano".



E' l'artefice primo della nuova Italia, della modernizzazione del paese e del rinnovato volto architettonico.
 Nel 1921 - Mussolini - non ancora al Governo -  afferma che: "con un proletariato riottoso, malarico, pellagroso, non ci può essere un elevamento dell'economia        nazionale". Comincia già da allora a prendere posizione a favore dei contadini.

Nel 1929 - Mussolini - Capo del Governo - decide che le desolate paludi dell'Agro Pontino dovranno trasformarsi in   un'area redenta dove nasceranno cinque Città Nuove. Città  che dovranno diventare l'espressione più evoluta e coerente  della cultura fascista.

L'enorme impegno ideologico e di immagine profuso nell'Agro Pontino ha reso questa zona un concentrato di  simboli, di monumenti e di atmosfere, che sono ancora oggi  leggibili, quasi intatte, come uno scampolo straordinario  della nostra storia.

Bisogna anche ricordare  le condizioni di vita primitiva dei pochi disgraziatissimi abitanti e il flagello della malaria, che era effettivamente un problema nazionale.
Negli anni Venti i nuovi malati di malaria erano circa 300.000 all'anno !!!

Mussolini invitò a più riprese gli Architetti e gli Urbanisti a creare un'arte nuova che fosse in linea con i tempi.


Le architetture firmate da Mussolini sono molto diverse tra loro, compaiono opere di architetti tradizionalisti e moderni.

Mussolini viene a contatto con centinaia di architetti e negli anni trenta diventa un interlocutore privilegiato per ampi settori della cultura architettonica. Il più assiduo e il più importante degli architetti che operano a contatto con Mussolini è Marcello Piacentini.
 Nella progettazione dell' E 42 Mussolini è accanto a Marcello Piacentini, che sovrintende all'architettura, dà le direttive e vuole che la nuova città satellite della capitale indichi lo stile definitivo dell' epoca mussoliniana. Approva le opere e modifica alcuni progetti, in particolare quelli fondamentali.
Segue direttamente anche i lavori che si stanno svolgendo a Milano: da piazza Duomo a piazza San Babila, da piazza Diaz a piazza Cavour, da piazza degli Affari a piazza San Fedele.
 Il Fascismo, per esplicita volontà del Duce, non pretese mai di imporre un’estetica di Stato, come fecero invece Stalin e Hitler, e lasciò convivere tendenze estetiche diverse, tradizionaliste e moderniste.

Racalmuto (Sicilia) "un paese da un morto al giorno" .... poi arrivò il prefetto Cesare Mori che ripulì tutto.
Il regime di Mussolini qualcosa fece.
Il popolo vide nelle gabbie delle Corti d' assise capimafia e protettori. Ricchezze nate da una quantità di delitti si dissolsero.
Nel suo "Pirandello e la Sicilia" pubblicato nel 1961, Sciascia scrisse: "Lo stesso Don Calogero Vizzini fu visto nel vagone cellulare diretto al confino.
Il mito della mafia cadde. Il termine "mafioso" acquistò sfumature di disprezzo e di scherno.
Dopo venne la seconda guerra mondiale e l'aria cambiò. Lo sbarco degli americani in Sicilia rianimò la mafia.
da "Sangue, sesso, soldi" di Giampaolo Pansa - pag. 313 - Rizzoli

giovedì 29 maggio 2014

La mafia e gli Americani -- Di Ercolina Milanesi


La mafia e gli Americani

Perché la mafia, debellata da Mussolini, è tornata a mettere radici in Italia

 

Di Ercolina Milanesi


 
Il 10 luglio 1943 i mafiosi siculi aprirono le coste ai cosiddetti liberatori e la battaglia durò 38 giorni. Gli invasori furono accolti con tutti gli onori e tre ufficiali britannici, all’inizio dell’inferno di fuoco, vennero cordialmente ricevuti dai maggiorenti della campagna tra Pachino e Siracusa.
    Gli Angloamericani, guidati dal maresciallo Harold Rupert Alexander, con sangue irlandese ed erede dei nobili di Caledon, ebbero un gran numero di perdite umane, ma anche la buona accoglienza dei Siciliani  da secoli vicini alla cultura e al patriziato inglesi e illusi di potersi staccare dallo Stivale e sedere al tavolo dei vincitori a guerra conclusa. Le truppe alleate (così venivano definite dai badogliani) prepararono il terreno facendo leva su complicate e misteriose alleanze.
    A confluire in una sorta di intesa politica furono i massoni, l’ala vaticana più vicina a Gian Battista Montini (futuro Papa), gli indipendentisti siciliani, Maria José di Savoia (la mente più illuminata della famiglia reale che frequentava intellettuali come Ugo La Malfa) e, non ultimi, i mafiosi.
    Le «coppole storte» presentavano due vantaggi: odiavano il regime fascista, ricordando ancora i colpi inferti dal prefetto Cesare Mori negli anni Venti, e un sacco di parenti importati in America. Tra questi Lucky Luciano, il cui nome vero era Salvatore Lucania, proveniente da Lercara Freddi (Palermo) che aveva il controllo dell’East Side di New York. L’uomo che sarebbe stato definito dal settimanale «Time» «il più grande fuorilegge del XX secolo» sognava di sedere al vertice di Cosa Nostra.
    I «bravi picciotti» furono molto utili in Sicilia, dove i tank angloamericani misero in scena la prova generale della nuova Europa. Furono i «carusi» con la lupara a raccogliere informazioni su postazioni e difese: lavoro essenziale visto che a Washington si erano accorti che mancavano mappe civili e militari dell’isola, studi sul profilo della costa e sulla profondità dei fondali. Coppole autorevoli come Vito Genovese, Vincent Mangano e Frank Costello si dettero da fare e utilizzarono anche i pescherecci in spola con il Nord Africa.
    Lo stesso Lucky Luciano rivelò (nel 1959) che nell’anno dello sbarco venne ingaggiato un giovane laureato in legge di Patti: si chiamava Michele Sindona.
    Nell’isola «invasa da tutti e conquistata da nessuno», gli Angloamericani approfittarono di Cosa Nostra così abile nel controllo del territorio e dei generi di prima necessità, con l’aiuto dei «paisà d’oltreoceano» e la convinzione dei Siciliani che il fascismo era ormai morto.
    I Siciliani, e non solo i capibastone o i latifondisti o gli indipendentisti sognatori, fecero a gara per acquisire benemerenze presso il nuovo dominatore. I notabili accolsero con sollievo gli ufficiali anglosassoni, facendo vedere i ritratti degli antenati e far notare che era stata la Sicilia e non l’Inghilterra ad inventare il Parlamento.
    Poco importava se il Generale Americano George Patton mostrava la boria yankee: «I Siciliani sono gente allegra, apparentemente paga del proprio disordine e sarebbe un errore cercare di elevarla al nostro tenore di vita, che non apprezzerebbe e di cui non sarebbe soddisfatta».
    A conquista terminata, si doveva gestire la parte più difficile. Nasceva il banditismo (2.000 fuorilegge in pochi mesi), mancavano punti di riferimento istituzionali e i mafiosi rialzavano il mento, avendo appreso confidenza con i mitra, dopo secoli di lupara. La mafia veniva guardata con occhio benevolo persino dagli Inglesi, prontissimi nel bere la frottola della  presunta «onorata società» e dei presunti «uomini d’onore».
    Si dette la stura a giochetti politici destinati a lasciare traccia nel futuro e non per caso nel febbraio del 1944 sulla Balilla nera che arrancava sulla strada per Montelepre c’era un uomo con i Ray-Ban e con la divisa americana. Era Vito Genovese, ben inseritosi nella corte del vice governatore della Sicilia liberata, l’Americano Charles Poletti.
    Genovese era amico di Salvatore Giuliano, il bandito numero uno e considerato un’arma da usare contro i comunisti.
    Genovese era divenuto commendatore della Corona per aver ordinato l’uccisione, a New York, di Carlo Tresca, giornalista anarchico e antifascista; poi fece affari con Poletti nell’import-export, insomma sempre alleato col potere a condizione di trarne vantaggi.
    Molte «coppole storte» divennero sindaci e Sindona riuscì ad ottenere una lettera di raccomandazione dal Vescovo di Messina presso la Curia di Milano. Era l’inizio di una carriera.
    Non solo i mafiosi accolsero a braccia aperte i «liberatori» ma anche le donne diedero il benvenuto ai militari che lasciarono loro, per ricordo, dei bambini, dalla pelle anche nera.
    Curzio Malaparte, nel suo libro La pelle ci rende edotti di quei tempi lontani, ma sempre nella memoria di chi ha assistito alla vergogna del comportamento di parte degli Italiani, sia maschi che femmine.

                                                                                                                

PER LORO ERA "LIBERAZIONE"!!

martedì 27 maggio 2014

Quando la storia viene presentata come la lotta del 'bene' contro il 'male'




 

Quando la storia viene presentata come la lotta del 'bene' contro il 'male'



AUTORE: Mauro MANNO
Un recente articolo del Sunday Times ci informa che Adolf Eichmann, considerato il principale responsabile dell’olocausto, salvò 800 ebrei tenendoli segretamente al sicuro in un ospedale di Berlino Secondo l’articolo, “questi ebrei sopravvissuti erano collaboratori, spie o le mogli di tedeschi influenti sotto alta protezione nazista. Altri ebrei costituivano il personale dell’ospedale, incaricati da Eichmann di curare i malati”.

La storia della seconda guerra mondiale è presentata da USA e Israele come la lotta tra il bene e il male, tra i più crudeli carnefici di tutti i tempi, i nazisti, e le eterne vittime della violenza razzista, gli ebrei. Secondo i dogmi della religione dell’Olocausto, nella presentazione del secondo conflitto mondiale, da una parte, vengono fatte scomparire le vittime non ebraiche, ben più numerose, dall’altra, viene taciuta la documentata e continuativa collaborazione tra una parte degli ebrei, i sionisti, e tutti gli antisemiti europei, in particolare i nazisti. Questa collaborazione sembrerebbe innaturale ma non lo è affatto. Discende dal comune interesse di nazisti e sionisti di operare, in tutta Europa, per la separazione tra non ebrei ed ebrei ed il trasferimento di questi ultimi lontano dagli stati del continente europeo verso altri continenti. Possiamo illustrare questa strategia con le parole di un sionista, tra tanti, che collaborò strettamente col nazismo:

“Per molti anni ho ritenuto che la completa separazione delle attività culturali dei due popoli sia la condizione per rendere possibile una collaborazione pacifica (…) a condizione che essa si basi sul rispetto della nazione straniera [gli ebrei]. Le Leggi di Norimberga (…) mi sembrano, se si escludono le disposizioni legali, conformarsi interamente con il desiderio di una vita separata sulla base del mutuo rispetto”. [1]

Questo signore si chiamava Georg Karesky e concluse la sua vergognosa esistenza nello stato ebraico, da lui desiderato e fondato assieme ai suoi simili separatori di “razze”. I palestinesi, vittime di questa operazione congiunta di sionisti e antisemiti, rappresentavano per i colonizzatori ancora un’altra “razza” da cui essi volevano separarsi. Per questo, in concomitanza della fondazione del loro stato (1948), provvidero a cacciarli dalla Palestina con una enorme operazione di pulizia etnico-razziale.

La storia delle varie soluzioni territoriali per la costituzione di uno stato ebraico è ormai abbastanza nota. Gli inglesi, prima della Dichiarazione Balfour (1917), proposero a Herzl il trasferimento degli ebrei in Uganda. Alcuni sionisti, contestualmente, proponevano uno stato ebraico in Argentina. Il sionista Zangwil proponeva il trasferimento in America del Nord. I sionistiche contavano, in particolare i sionisti “socialisti”, rigettarono decisamente queste soluzioni e insistettero per la costituzione di uno stato ebraico in Palestina. Contro questa “soluzione” avevano messo in guardia due importanti personalità ebraiche vissute prima della nascita ufficiale del sionismo (primo congresso sionista di Basilea, 1896). Ahad ha-Am, avvertiva i sionisti che la Palestina era popolata dai palestinesi e che la costituzione di uno stato ebraico su quella terra avrebbe richiesto l’eliminazione del popolo palestinese. Egli proponeva quindi, la fondazione, non di uno stato, ma di un centro religioso e culturale ebraico a Gerusalemme, per la conservazione dell’ebraismo più che degli ebrei, una specie di Vaticano ebraico. Ispirati da questo centro, gli ebrei della diaspora avrebbero dovuto restare nei paesi in cui vivevano, mantenendo viva la loro religione. Il secondo personaggio, Leo Pinsker, proponeva un raggruppamento ebraico in una parte della Russia meridionale, intorno ad Odessa, dove già gli ebrei erano numerosi. Non in uno stato, ma in una comunità indipendente, all’interno dell’impero zarista.
Altra soluzione territoriale fu proposta da Stalin, il quale pressato dai sionisti col mal di mare, cioè quelli che temevano il viaggio verso la Palestina, alla fine concesse agli ebrei una terra, il Birobijan, nell’estremo Oriente russo, perché vi costruissero una repubblica ebraica all’intero dell’Unione Sovietica. Molti ebrei sovietici ed altri provenienti da diversi paesi emigrarono in Birobijan, per costituire uno stato ebraico progressista. I sionisti che non soffrivano di mal di mare e che si erano trasferiti o si stavano trasferendo in Palestina, condannarono con forza questa idea, perché il Birobijan avrebbe rappresentato una alternativa, una soluzione concorrenziale.
I nazisti tra il 1933 e il 1940 accettarono la proposta sionista di trasferire gli ebrei tedeschi in Palestina e solo in Palestina. Si stabilì quindi una proficua collaborazione tra sionisti e nazisti a questo fine. Karesky è solo un esempio di questa collaborazione. I sionisti accettarono con entusiasmo le leggi razziali di Norimberga, perché esse rappresentarono un sostanziale passo in avanti nel loro progetto di stato ebraico in Medio Oriente. Questa naturale collaborazione, fondata sull’idea della separazione degli “ariani” dagli ebrei, vide anche la firma di un patto economico, noto come Ha’avara. Secondo questo patto, i tedeschi incoraggiavano l’emigrazione degli ebrei in Palestina e gli ebrei, in cambio, acquistavano macchinari e materiale agricolo tedesco. Fu costituita una banca comune, sionistico-nazista, in cui gli emigranti tedeschi, prima di emigrare, depositavano i loro denari che i nazisti incameravano come compenso per i macchinari, i pezzi di ricambio, i concimi, ecc., esportati. A pagamento della “merce” ebraica acquistata dai sionisti dalla Palestina, i nazisti ricevevano pure agrumi e altri prodotti agricoli della colonia sionista.
Subito dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, i nazisti capirono che l’emigrazione ebraica in Palestina li danneggiava. Essa rafforzava l’Impero Britannico e rendeva impossibile una politica di apertura, in funzione anti-inglese, verso gli arabi. Interruppero quindi il patto economico Ha’avara, e l’ “esportazione” di ebrei in Palestina. Cercarono di conseguenza un’altra soluzione territoriale alla questione ebraica. In collaborazione con la Francia di Vichy, proposero agli alleati che si permettesse l’emigrazione degli ebrei europei in una colonia francese, questa volta in Africa: il Madagascar. Gli alleati rifiutarono e non se ne fece nulla. La partecipazione degli alleati a questa soluzione era indispensabile perché la flotta inglese, come quella statunitense, controllava gli oceani. L’Inghilterra controllava pure i territori africani da cui si poteva accedere al Madagascar.
Mussolini, da parte sua, dopo aver appoggiato il sionismo e favorito, con una linea marittima diretta tra Trieste e Haifa, l’emigrazione sionista in Palestina, iniziata la guerra, propose che gli ebrei costituissero una specie di stato all’interno della colonia etiopica, di recente conquista. Questo stato all’interno dello stato coloniale etiopico doveva sorgere nella regione dei Falascià, popolazione etiopica semi-ebraizzata. La solita politica del divide et impera con gli ebrei a guardia dei neri africani, “razza” ancora più in basso della “razza” ebraica. Mussolini aveva anche capito che per il controllo del Mediterraneo a cui aspirava, una politica aperta verso gli arabi era indispensabile. Anche in questo caso, comunque, i sionisti rifiutarono.
Fallita l’operazione Madagascar, per mancata collaborazione dei britannici (e dei sionisti), i nazisti, essendo ormai iniziata la guerra contro l’Unione Sovietica, pensarono ad un’altra soluzione territoriale: la Siberia. Intanto gli ebrei sottomessi ai nazisti erano diventati milioni. La maggior parte di essi infatti si trovava nei paesi baltici, in Bielorussia e nella parte di Russia conquistata. I nazisti pensarono che dopo la guerra e la sconfitta dell’Unione Sovietica, tutti gli ebrei d’Europa potevano essere trasferiti oltre gli Urali, dove potevano costruire il loro stato, sottomesso al III Reich. Ma l’Unione Sovietica non fu sconfitta e tutti gli ebrei raccolti nei campi di concentramento furono usati come forza lavoro praticamente gratuita. La stessa sorte toccò a milioni di non ebrei, i soldati polacchi e russi fatti prigionieri ma anche gli italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 e considerati disertori perché non aderivano alla Repubblica Sociale Italiana.
Verso la fine della guerra, con i bombardamenti alleati e la distruzione delle città tedesche, le condizioni dei campi peggiorarono. Né si può immaginare che ciò non accadesse, dal momento che lo stesso popolo tedesco viveva ormai nella miseria, nella fame e nella violenza. La tragica fine di tanti ebrei nei campi non può essere separata dalla morte di milioni di non ebrei e dalla stessa morte dei tedeschi nelle città rase al suolo. Solo nel bombardamento di Dresda da parte degli anglo-americani morirono 180 000 civili tedeschi, in meno di 48 ore.

A noi continuano a dirci che i nazisti volevano l’eliminazione dei soli ebrei. Non ci hanno detto nulla delle altre vittime del nazismo. Il ‘giorno della memoria’ è il giorno della memoria ebraica. Per gli altri ci sono stati decenni di oblio, di cancellazione, di silenzio. Non ci hanno detto che nella ricerca di una soluzione territoriale i nazisti trovarono la fattiva collaborazione dei sionisti. Non ci hanno detto che, perfino nei campi di concentramento, furono molti gli ebrei che collaboravano con i tedeschi. Ne fa testimonianza il libro (poco o per niente pubblicizzato) della storica ebrea Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia [2]. Nel suo racconto, riporta gran parte dei processi ai collaboratori, emigrati in Israele dopo la guerra e riconosciuti come torturatori e assassini di altri ebrei.
Nei primi anni ’50, lo stato ebraico fu costretto ad emanare una legge che permettesse, senza suscitare troppo clamore, di giudicare questi criminali.

“Tutti i processati in base a questa legge, -- afferma la Zertal – sino al processo di Adolf Eichmann celebrato nel 1961, furono cittadini ebrei di recente immigrazione, individui miserabili e meschini, sopravvissuti alla Shoah, che, al loro arrivo in Israele, furono riconosciuti, talvolta casualmente, da altri sopravvissuti e denunciati alle autorità di polizia. Il sistema giuridico israeliano li processò in base alla stessa legge che, circa dieci anni dopo, sarebbe servita per perseguire l’alto ufficiale delle SS Adolf Eichmann”. [3]

Ironia della storia: sapevate che con la stessa legge sono stati perseguiti Eichmann e i tanti ebrei collaborazionisti?
Ma la vergogna non finisce qui.
Simon Wiesenthal, il ‘cacciatori dei nazisti’, è morto onorato e riverito nel suo letto. Un altro ebreo, meno noto, tale Solomon Morel, vive ancora in Israele. Questi due signori, non lo si dice mai, si sono macchiati di crimini orrendi e di crimini contro l’umanità. Wiesenthal, in un primo momento, raccontò di essere stato partigiano comunista nel 1943, di essere stato poi catturato dai nazisti ma di aver salvato la pelle. Come partigiano (ebreo) sarebbe stato immediatamente fucilato, ma si salvò ‘miracolosamente’. Successivamente, nella sua autobiografia, raccontò di aver tentato il suicidio ma di essere stato salvato dai tedeschi. Raccontò anche di aver ricevuto, nel periodo di prigionia, “doppia razione di cibo”. La verità è che egli collaborò con la Gestapo, denunciando comunisti e altre persone coinvolte nella resistenza. Morel dal suo canto è oggi ricercato dalla giustizia polacca per crimini contro l’umanità ma viene protetto dal governo di Tel Aviv, che naturalmente si guarda bene dal consegnarlo. Morel fu a capo di un campo di concentramento per tedeschi. Il campo di Schwientochlowitz funzionò dalla primavera del 1945 alla fine di quello stesso anno. I prigionieri non erano nazisti, ma semplicemente tedeschi etnici, gente i cui antenati avevano vissuto da secoli in Slesia, Prussia orientale, Pomerania e che aveva l’unica colpa di trovarsi sulle terre che i vincitori avevano assegnato alla Polonia dopo la guerra. Nel campo della morte da lui comandato, Morel con gli altri guardiani, quasi tutti ebrei polacchi, si dimostrò più crudele dei nazisti. Maltrattò, torturò e uccise con le sue mani centinaia di detenuti. Gli altri guardiani cercarono di emularlo e così migliaia di tedeschi, colpevoli solo della loro origine etnica, furono uccisi. La storia di Morel e del suo campo di sterminio è narrata nel libro Occhio per occhio del giornalista ebreo americano John Sack, il quale ha affermato che scriverlo gli è costato vergogna e dolore [4].

Adesso apprendiamo che il ‘maggiore rappresentante del male assoluto’, Eichmann, salvò 800 ebrei. Alcuni di essi erano effettivamente collaboratori e spie dei nazisti del tipo di Karesky e Wiesenthal, altri erano semplicemente medici, infermieri o donne ebree sposate con tedeschi.
La storia del II conflitto mondiale non è la storia della lotta tra il ‘bene’ e il ‘male’. Se poi la si vuole assolutamente presentare a questo modo, allora nel campo del male bisogna annoverare il sionismo e tanti ebrei che collaborarono con i nazisti o che commisero orrendi crimini contro l’umanità subito dopo la guerra. E c’entrerebbero di diritto anche i responsabili anglo-americani della distruzione di intere città tedesche, con oltre un milione di vittime civili, e di Hiroshima e Nagasaki
La religione dell’olocausto e la presentazione semplicistica e unilaterale della II Guerra Mondiale serve perfettamente, oggi, a Israele e alla lobby ebraica per giustificare e nascondere i loro crimini in Palestina e in Medio Oriente. Agli americani serve per mantenere il loro traballante impero.
Nella più recente versione della religione olocaustica, Israele e gli Stati Uniti hanno sostituito i nazisti con gli arabi o gli islamici, per la conduzione di una guerra di civiltà che sta già causando milioni di morti, in Iraq, in Palestina, in Libano.


NOTE:
[1] Georg Karesky Approves of Ghetto Laws - Interview in Dr Goebbels’ Angriff, (Georg Karesky approva le Leggi Razziali – Intervista riportata nel giornale del Dr. Goebbels, Angriff), Jewish Chronicle, 3 gennaio 1936, p. 16.
[2] Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia, Einaudi, Torino, 2002.
[3] Op. Cit, p. 63.
[4] John Sack, Occhio per occhio, Asti, Baldini Castoldi Dalai, 1995.


                                                                                                                                                   

sabato 24 maggio 2014

MUSSOLINI FU COMPLICE DI HITLER (NEL SUPPOSTO) STERMINIO DEGLI EBREI?




MUSSOLINI FU COMPLICE DI HITLER (NEL SUPPOSTO) STERMINIO DEGLI EBREI?
(Con intervento su articolo del Prof. Francesco Perfetti)
di Filippo Giannini
   Ho ricevuto una telefonata da un mio caro amico che indicherò con le sue iniziali, E.S.. Al telefono era un “tantinello” incazzato avendo letto un articolo su “Il Corriere della Sera”, articolo a firma di Roberto Marabini. E.S. mi ha inviato in seguito l’articolo in oggetto. Il titolo del pezzo è: “I vicini scomodi – essere ebrei nel 1937”. Tratta di <una famiglia che, “negli anni bui” del fascismo (proprio così ha scritto Marabini) aveva due peccati originali: possedere una villetta a Riccione,  vicino alla villa del Duce, ed essere ebrea (…)>. E giù una serie di contumelie contro il Duce, colpevole, secondo l’Autore, dello sterminio degli ebrei sterminio iniziato, sempre secondo il Signor Marabini, nel 1937. Solo questa data indicata dall’Autore ci fornisce il grado di ignoranza dello stesso. Infatti se avesse studiato la storia dovrebbe sapere che le leggi sulla razza furono varate nel 1938.

Per iniziare riporto “una lettera ricevuta dall’al di là” da il gatto:

Salve, cari posteri, 
il mio nome è Joseph Iugasvili Stalin, certamente mi conoscete o per lo meno avete sentito parlare di me, più di qualche volta …
Ho chiesto il permesso a Dio per scrivervi questa lettera, vi scrivo, dove mi trovo poco vi interessa. Può interessarvi dove si trova il vostro statista Benito Mussolini, che nella Storia è ricordato come “Il Duce”, ve lo dico, anche se non dovrei; si trova, bontà del nostro sommo Dante Alighieri (nostro, perché la Poesia, quella vera, seria, appartiene a tutto il mondo) nel Purgatorio, girone dei c … ni!
Eh sì, perché tale luogo meritava.
Come potremmo definire un uomo che in vita ha protetto i suoi avversari mantenendoli con un sussidio all’estero, e poi tutti hanno affermato che erano in esilio, come chiamereste voi un uomo che ha salvato dalla fucilazione da parte dei Tedeschi gente che si professava sua nemica, e lo ha fatto in nome della vecchia amicizia che nutriva per loro; come giudicate oggi il fatto che oggi a quest’uomo attribuiscono la responsabilità delle leggi razziali, quando proprio lui ne ha salvati tanti di quelli!!! (…).

   Per confutare, ancora una volta, le malignità scritte su questo argomento dai vari Marabini, mi rifaccio ad un mio precedente articolo, che riporto qui di seguito. E qualcuno mi smentisca.
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    Nel contempo ho ricevuto dal Signor X una mail che riporto di seguito.
   <Caro Giannini, grazie per il suo impegno a ristabilire una verità storica tanto orrenda che pochi hanno il coraggio di approfondire. Grazie per il suo appassionato e ingrato lavoro, ma nulla fra le innumerevoli stragi precedenti (Caino in un solo colpo, uccidendo Abele, sterminò un quarto dell’umanità dell’epoca) e per citarne qualcuna  sotto l’imp. Tito nel ’70 d.c. furono eliminati 600 mila dei 900 mila ebrei di Palestina…
   Quanto tempo avrebbe impiegato l’apparato di Himmler a scoprire che la mia bisnonna era ebrea e quindi io, con la mia famiglia, essere destinato ai campi di concentramento ed ai forni crematori? Il fatto di non essere ariano – e neppure Himmler lo era – giustifica tanto orribile accanimento? Se Tamerlano, per fare un solo esempio, ha passato a fil di spada 18 milioni di persone in dieci anni, anche se erano suoi nemici irriducibili, si giustifica per questo? Un conto, caro Giannini, è essere storico e un altro essere politico. Cerchi, se possibile, di rimanere imparziale. Nel nome della verità storica. Grazie. XX>
   Forse mi sbaglio, ma se ho ben capito, il Signor X vorrebbe che i miei scritti convalidassero quanto la “vulgata resistenziale” da oltre sette decenni va sostenendo, e cioè che <Mussolini faceva parte della macchina della soluzione finale>. Se questo è quanto il Signor X pretende, mi obbligherebbe a scrivere non solo una falsità, ma addirittura una cosa esattamente contraria alla verità.
   Per una volta sola mi voglio avvalere del giudizio di una personalità dichiaratamente fascista, Giorgio Pisanò. Questi nel suo libro “Noi fascisti e gli Ebrei” ha scritto: <Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il  controllo delle forze armate tedesche>. Giorgio Pisanò: un pazzo? un mentitore fascista? No, Signor X, Giorgio Pisanò ha scritto il vero: non Hitler (è ovvio), né Stalin (per lo stesso motivo, è altrettanto ovvio), non Roosevelt, né Churchill, né Pétain, nessuno di questi ultimi, pur avendo le possibilità di farlo, si adoperarono per mettere in salvo gli ebrei: solo Mussolini lo fece, è assurdo sostenere questa tesi? Allora leggete e, ripeto: smentitemi.
   Chi scrive queste note ha un difetto: prima di scrivere si documenta e solo su documenti scrive.
   Nel mio libro sull’argomento “Gli Ebrei nel Ventennio Fascista” riporto una frase dello storico israeliano Léon Poliakov, autore de “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”. Se il Signor X andasse a pag. 219-220, potrebbe leggere: <Mentre in generale i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una sistematica deportazione, i capi del fascismo italiani manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Appena giunte sul luogo di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei>.
   Prima di addentarci nell’argomento è bene ricordare che i calunniatori di Mussolini e dei suoi, per rendere le accuse più plausibili hanno coniato il sostantivo “nazifascista”, termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo nelle atrocità commesse da quest’ultimo, sia che esse fossero reali, esagerate o immaginarie.
    Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono state evidenziate da diversi studiosi e tra questi Renzo De Felice: <Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che somiglianze> (“Intervista sul fascismo”, pag. 88). Se questo è vero e se è vero che la spina dorsale della dottrina nazionalsocialista era costituita dal principio della superiorità della razza, anche biologica e dall’antisemitismo, il Signor X mi potrebbe chiedere: perché, allora, le “leggi razziali” del 1938? Per dare una risposta a questo interrogativo dovremmo riportarci alla situazione politica internazionale degli anni ’30, il che ci condurrebbe troppo lontano. Accontentiamoci, al momento, di citare di nuovo De Felice (ibidem, pagg. 101-102): <Il fascismo fece propria la dottrina razziale più per opportunità politica – evitare una difformità così stridente all’interno dell’Asse – che interna necessità della sua ideologia e della sua vita politica>. Oppure, sempre dello stesso autore: <Una volta che Mussolini fu gettato nelle braccia (attenzione alle parole, nda) della Germania di Hitler, era impensabile che anche l’Italia non avesse le sue leggi razziali>.
   Trattare l’argomento “fascismo-ebrei” è stato (e lo è tuttora) come accendere un fiammifero in una polveriera. La verità è che anche intorno a quei drammi è stata costruita una cortina di falsità i cui scopi sono facilmente intuibili, per chi vuol capire.
   Mordekay Poldiel (storico ebreo) ha scritto: <L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta>.
   Nel 1934, in occasione dell’incontro con Weizmann, Mussolini concesse tremila visti a tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi in Italia. Nel 1938 (!) vennero aperte alcune aziende di addestramento agricolo, le “haksharoth” (tecniche poi trasferite in Israele) che entrarono in funzione ad Airuno (Como), Alano (Belluno), Orciano (Pisa) e Cavoli (Sardegna). Così, sempre in quegli anni la scuola marinara di Civitavecchia ospitò una cinquantina di allievi ebrei che diverranno poi i futuri ufficiali della Marina da guerra israeliana.
   Il Signor X ha mai sentito parlare della Delasem e delle sue funzioni?
   Dato, e ne sono certo, che pochi conoscono questo “miracolo all’italiana”, proverò a tracciarne le linee principali e i suoi scopi, avvalendomi dello scritto della storica ebrea Rosa Paini (“I sentieri della speranza”, pag. 28): <Era la fine del 1939 (quindi la Germania aveva già invaso la Polonia e l’Italia era alleata del Terzo Reich, nda) e nasceva in Italia la Delegazione Assistenza Emigrati (DELASEM), un’organizzazione ebraica che avrebbe salvato migliaia di israeliti profughi dai Paesi dell’Est europeo e, in particolare, dalla Germania e dai territori che i nazisti andavano occupando>.
   Una domanda pongo al Signor X: perché gli ebrei che fuggivano dai territori occupati dai tedeschi anziché rifugiarsi nei Paesi democratici, a migliaia venivano in Italia, dove, ripeto, erano in vigore le leggi razziali? Erano tutti poveri bischeri? Oppure…?
   Osserva Daniele Vicini (“L’Indipendente” del 26 luglio 1993): <Meno schizzinosa, l’Italia accoglie tutti, dall’operaio comunista…Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze>. E di seguito il giornalista elenca una lunghissima sequenza di nomi. Conoscendo i fatti e quindi la storia, quella vera (non quella propinataci da sette decenni), la risposta è semplice: i Paesi democratici respingevano i fuggiaschi, Roosevelt fece intervenire la Usa Navy per impedire con la forza l’approdo alle coste statunitensi di piroscafi carichi di ebrei: ebrei che, come ha scritto il giornalista Franco Monaco <vennero accolti in Italia (…)>. A Solina, nel Mar Nero salì a bordo di un piroscafo il Console britannico informando gli infelici che il suo governo li considerava immigrati illegali: se si fossero avvicinati alle coste della Palestina sarebbero stati silurati. In Francia, nel settembre 1940, nel solo Dipartimento della Senna, la Sureté consegnò ai tedeschi lo schedario di circa 150 mila ebrei (François Feijto, da “Un’intervista allo storico Serge”). Sempre in Francia 4.500 gendarmi furono sguinzagliati alla caccia dell’ebreo: 12.884 persone vennero catturate, delle quali 5.802 donne e 4051 bambini; tutti consegnati ai tedeschi. Tutto ciò (e tanto, tanto altro ancora) fa concludere a Daniele Vicini: <Strana dittatura quella fascista. Strana democrazia quella americana>.
     Voglio anche ricordare, in queste succinte note, un esempio di come sia stata condotta la storia nell’interminabile dopoguerra. Nel gennaio 1998 il giornalista della televisione italiana Paolo Frajese, conduttore di un servizio sulla vita degli ebrei nelle zone occupate dalle truppe italiane durante l’ultimo conflitto, ricordando il “Nulla Osta” concesso da Mussolini alla richiesta di Ribbentrop e commentando il fatto, con voce di rimprovero e condanna, disse all’incirca. <Così il Duce dette l’ordine di consegnare gli ebrei ai nazisti>. Frajese, evidentemente per rimanere entro i limiti del politicamente corretto, trascurò un piccolo particolare, ricordato da De Felice e da altri studiosi seri con queste parole: <Ma subito dopo il Duce – parlando con il generale Robotti – confessò il suo disappunto: “E’ stato a Roma per tre giorni e mi ha tediato in tutti i modi il Ministro Ribbentrop che vuole a tutti i costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho tergiversato, ma poiché non si decideva ad andarsene, per levarmelo davanti, ho dovuto acconsentire. Ma voi inventate tutte le scuse che volete per non consegnare neppure un ebreo”> (Renzo De Felice, “Rosso e Nero”, pag. 160-161).    
   Così fu. sino a quando Mussolini rimase Capo del Governo non un ebreo fu consegnato ai tedeschi, né agli ustascia.
   E’ opportuno ricordare che in Italia, sino all’8 settembre 1943, giorno dell’annuncio della capitolazione, non esistevano campi di concentramento per ebrei, ma campi di internamento per cittadini appartenenti a quei Paesi con i quali l’Italia era in guerra. Uno di questi campi, forse il più noto, era quello di Ferramenti: qui fu internato il dottor Salim Diamand, ebreo, autore del libro “Internment in Italy (1940-1945), nel quale è scritto: <Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia (…). Nel campo controllato dai Carabinieri e dalle Camicie Nere (!) gli ebrei stavano come a casa loro>. Il dottor Diamand  attesta che il Governo fascista concedeva 8 lire al giorno agli internati i quali potevano spenderle come desideravano.
   C’è un altro grande storico, sempre israeliano, George L. Mosse dell’Università ebraica di Gerusalemme, che conferma quanto sostenuto da Giorgio Pisanò e, modestamente dal sottoscritto; infatti a pag. 245 del suo libro “Il Razzismo in Europa” si legge: < Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio: discriminare non perseguire. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini>.
   Ma la storia riguardante il binomio Ebrei-Fascismo è ben più ricca di quanto, per motivi di spazio, sono costretto qui ad esporre. Desidero, comunque, terminare con una domanda che il Signor X mi potrebbe porre. <E allora i mille e più ebrei razziati dai tedeschi nel ghetto di Roma?>. Non si possono ricordare solo quelli razziati nel Ghetto di Roma, ma anche quelli residenti nei territori occupati dalle nostre truppe, cioè quelli che, grazie alla caduta del Governo Mussolini vennero catturati dai tedeschi, e furono decine di migliaia. Signor X, guardi la data: 16 ottobre 1943. E indovini chi trovarono le SS a difendere gli ebrei del Ghetto? Non gli eroici partigiani, ma un fascista, in camicia Nera, Ferdinando Natoni, che con energia pretese la liberazione, poi ottenuta, di alcuni ebrei e fece passare per sue figlie due ragazze ebree, Mirella e Marina Limentani.
   Se tutto ciò è vero, non è azzardato sostenere che gli ebrei, sino a quei giorni tenuti dietro “Lo schermo protettore”, furono poi consegnati allo sterminio dall’ignominia del primo Governo antifascista?
   Perché questo morto che non vuol morire viene ucciso mille volte al giorno tutti i giorni? Lo lasciò scritto lui stesso: <Perché le nostre idee hanno spaventato tutto il mondo>. Ovviamente si riferiva al mondo della grande Finanza e del grande Capitale: quelli, cioè che ci costrinsero alla guerra per poter abbattere quelle “idee” che si stavano espandendo in tutto il mondo e che, di conseguenza, avrebbero messo in dubbio lo status quo instaurato dai padroni delle casseforti  mondiali.
   Mi creda, Signor X, le traversie di Sua bisnonna addolorano tutte le persone civili, ma non per questo si debbono addossare le colpe ad un uomo che fece l’impossibile per evitargliele.

P.S.
    Mussolini aveva una notevole considerazione degli ebrei (come è noto), e da questi era ampiamente ripagato, tanto che la stragrande maggioranza degli ebrei italiani era di fede fascista. Fra l’altro aveva loro concesso, con le leggi del 1930 e 1931, riconoscimenti unici al mondo. E allora, perché le leggi razziali? Ne La Seconda Guerra Mondiale di Winston Churchill, Vol. 2°, pag. 209, si legge: <Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall’altra parte, la Germania non era più sola>. Più o meno con le stesse parole lo storico inglese George Trevelyan condanna la politica inglese nei confronti di Mussolini. Il sopra citato Franco Monaco ha scritto: <Le leggi razziali del 1938 furono, comunque una conseguenza diretta ed esclusiva del nefasto Asse Roma-Berlino di cui eravamo stati costretti a gravarci come di una croce>. L’“aver forzato”, l’essere “stati costretti” sono affermazioni che convalidano, a loro volta, quanto già sopra esposto da Renzo De Felice. E, del resto, il giornalista svizzero Paul Gentizon nel 1945 scrisse: <Solo Mussolini si levò non soltanto a parole ma a fatti contro Hitler, il nazionalsocialismo, il pangermanesimo. Se le democrazie occidentali lo avessero ascoltato, il destino del mondo sarebbe stato ben differente>. Ma le democrazie occidentali non vollero ascoltarlo, non potevano!
   Per terminare:  il mio amico E.S. ha sccompagnato l’articolo di Roberto Marabini con una lettera dalla quale estrapolo la parte finale: <Come d’accordo ti invio il pezzo di giornale ritagliato dalla pagina 8 del Corriere della Sera. Come anche tu sai, te lo dico da testimone 82enne che abitava in piazza Risorgimento, dove negli anni 42/43 fino e oltre l’8 settembre, tutti gli ebrei che avevano negozi in Via Ottaviano, Via Cola di Rienzo e dintorni erano tranquillamente attivi, i Calò, i Sabatello, i Piattelli ed altri, con figli che andavano a scuola regolarmente (…)>. A questa testimonianza dell’amico E.S. faccio seguito ad una mia personale: negli anni indicati da E.S. (42/43), abitavo a Via Po a Roma e posso testimoniare che gli ebrei che avevano un’attività commerciale in quella località non hanno mai subito molestie si sorta. I loro nomi? Piperno, Astrologo, Ginori, ma ce ne erano altri di cui ora non ricordo i nomi.
   Tutto questo perché? È necessario infangare ogni giorno la memoria di quell’uomo perché le sue idee sarebbero ancora applicabili tuttora. Ma se ciò avvenisse tanti manigoldi che oggi siedono su poltrone dorate, sarebbero costretti a lasciarle.
   Mi sono spiegato Signor Marabini?
      
           FILIPPO GIANNINI



      
  

venerdì 23 maggio 2014

IL MITICO NINO BUTTAZZONI! BATT. N.P.


Il mitico Nino Buttazzoni

Il motto del battaglione Nuotatori Paracadutisti: 'Più buio di mezzanotte non viene'. 
In breve, la storia.
Agli ordini: Cap. G.N. Nino Buttazzoni
Costituito il 27 ottobre 1943 a La Spezia.
Si componeva:
- Comando e Comp. Comando
- 1a, 2a, 3a, 4a, 5a Comp.
- Comp. Sabotaggi - NESGAP “ Ceccacci”. I Nuotatori, Esploratori, Sabotatori, Arditi, Guastatori e Paracadutisti furono un gruppo a sé stante autonomo, in contatto e distribuiti negli altri reparti N.P.
Si decentrò a Jesolo per l'addestramento ed operò in funzione antipartigiana (solo ed unicamente quando veniva attaccato) sino ad Asiago. Si spostò in agosto in Val d'Intelvi (insieme al Vega) e quindi in momentaneamente Piemonte ove venne inquadrato nella 'Divisione Xa'. Rientrato nel Veneto (a Palmanova per continuare l’addestramento) ed in Venezia Giulia, il battaglione 'N.P.' operò contro gli Slavi. Nel marzo del 1945 entrò in linea sul fronte in Romagna (per la testa di ponte necessaria per la ritirata dell’esercito tedesco) ripiegando a fine aprile per Goro fino a Venezia ove si arrese il 2 maggio, con l'onore delle armi da parte del nemico inglese.
 Prima dell'(ignobil) 8 settembre 1943
In vista della preparazione all’Operazione C3, ovvero il progettato sbarco sull’isola di Malta la Regia Marina predispone reparti di nuotatori e paracadutisti sabotatori il cui compito è quello di attaccare, giungendo dal mare o dal cielo, le infrastrutture portuali dell’isola, le installazioni difensive costiere e il naviglio nemico alla fonda.
Il primo reparto a nascere è il battaglione “N” (nuotatori). Il reparto ha sede a Villa Letizia, presso Livorno. Si prevede che i nuotatori vengano trasportati in prossimità dell’isola da un mezzo avvicinatore (mas o sommergibile) e il loro compito primario, dopo essere stati avvicinati, è quello di nuotare fino agli obiettivi assegnati e di minarli con cariche esplosive subacquee magnetiche o fissabili meccanicamente agli scafi nemici.
Oltre alle cariche di sabotaggio la dotazione di questi uomini prevede: bussola, apparecchio per la respirazione subacquea, cinghia in gomma con anelli per l’aggancio della dotazione di esplosivi contenuta in custodie impermeabili, pinne per mani e piedi e un battellino gonfiabile, detto tacchino, che può essere per quattro operatori, oppure del tipo a materassino, capace quest’ultimo di tenere a galla un solo “N”. Il vestiario comprende una muta con pantalone e camisaccio a mezza manica in gomma che viene indossata sopra un maglione di lana antiassideramento.
L’addestramento tende a portare gli uomini ai limiti delle loro possibilità fisiche e morali. Sono previste prove di sbarco, uso degli esplosivi e soprattutto lunghe ed estenuanti nuotate. L’addestramento al nuoto, oltre che dalla fatica, viene reso ancor più impossibile dal fatto che il materiale di vestiario non è quanto di meglio si possa desiderare. Infatti, la muta in dotazione lascia filtrare l’acqua e dopo poco il maglione indossato sotto diviene zuppo. Ottime si dimostrano, invece, le pinne che, all’epoca, costituiscono una vera e propria dotazione segreta della Regia Marina. Di buona qualità si dimostrano gli ordigni esplosivi a disposizione per attaccare le navi che sono chiamati in gergo “mignatte” o “cimici ”. Questi aderiscono alla carena a mezzo di una ventosa, contengono una carica esplosiva di circa 2 kg ed hanno una spoletta ad orologeria. Oltre alle mignatte, la Regia Marina impiegherà anche i “bauletti esplosivi” che sono di maggiori dimensioni delle “cimici”, e quindi portano una carica di maggior potenza e vengono applicati dal guastatore subacqueo con due morse all’aletta di rollio della nave.
Successivamente al reparto di nuotatori verrà costituito il battaglione “P” (Paracadutisti della Regia Marina), i cui uomini, addestrati alla Scuola di Paracadutismo di Tarquinia, troveranno alloggio in una colonia marina della Gioventù Italiana del Littorio a Porto Clementino, località distante da Tarquinia circa due chilometri.
Lo scopo dei Paracadutisti di Marina non è solo quello di effettuare attacchi alle installazioni e alle difese portuali nemiche ma costoro hanno tra i propri obiettivi anche i bacini idrici, le dighe, le centrali elettriche, le chiuse, i ponti ed, inoltre, se ne prevede l’impiego per la costituzione di teste di ponte.
I primi ad arrivare alla Scuola di Tarquinia, nell’ottobre ’41, sono una ventina tra marinai e sottufficiali comandati dal Ten. M. Bisanti. Il numero dei primi arrivati è piuttosto modesto in quanto nell’intendimento di Supermarina ci sarebbe di costituire un’unica compagnia di Paracadutisti. Solo in seguito, a fronte dell’elevato numero di domande per accedere al reparto, l’organico sarà portato a quello di un battaglione che viene messo al comando del tenente di Vascello Giulio Cesare Conti. Se Conti è il comandante, è da dire che il vero motore del reparto è invece il vice comandante che ne è anche il comandate operativo, ovvero il capitano del Genio Navale Nino Buttazzoni.
Gli uomini hanno un equipaggiamento piuttosto ricco. Oltre all’elmetto con paranaso, stivaletti di lancio, ginocchiere, guanti di lancio, pistola, pugnale bombe a mano, vari tipi di esplosivo, micce e detonatori, si deve considerare che, come arma lunga, viene dato in dotazione il MAB (Moschetto Automatico Beretta) della Beretta mod 38A., dotato di più caricatori che vengono custoditi in un corpetto a gilè denominato “samurai”.
L’addestramento dei Paracadutisti, alla pari di quello dei Nuotatori, è ostico in quanto sono previsti lanci a terra, diurni e notturni, ma soprattutto lanci in acqua. La durezza della preparazione è dettata dal fatto che bisogna preparare uomini che siano in grado, una volta arrivati in acqua, di liberarsi del paracadute, gonfiare il “tacchino”, montare su questo e raggiungere la riva. Una volta a terra, si è appena all’inizio dell’opera. Necessita raggiungere a piedi l’obiettivo, che può distare anche decine di chilometri dalla costa, e una volta eseguito il sabotaggio, c’è da fare rifare a piedi il percorso a ritroso sino alla costa per attendere il sottomarino o il MAS che dovranno riportarli a casa. Gli “N” ed i “P” confluiscono nel Reggimento San Marco che è gerarchicamente dipendente da GENERALMAS che, comandata dall’ammiraglio Aimone di Savoia Aosta, ha alle dipendenze anche la X° MAS e le Motosiluranti. Nel marzo del 1942, unità del “San Marco”, quale prova generale dell’efficacia operativa raggiunta, effettuano una articolata esercitazione a fuoco alla presenza del generale Ramke.
MA l’Operazione C3 non verrà mai effettuata e gli splendidi reparti saranno impiegati come ordinaria fanteria. Annullata l’operazione su Malta, nel novembre 1942, I paracadutisti di Marina e gli uomini del battaglione Nuotatori, verranno impiegati come truppa presidiaria a Tolone, in seguito all’occupazione italiana di parte del sud della Francia e della Corsica.
Alla base di Tolone, con tre treni provenienti da Livorno, giungeranno quindi, oltre a altri reparti, anche il battaglione Paracadutisti del S. Marco costituito circa da 500 uomini ed il reparto Nuotatori Guastatori composto da circa 300 elementi.
I battaglioni Paracadutisti e Nuotatori del S. Marco saranno poi ritirati dalla Provenza nel febbraio 1943 e ridestinati in Italia.
All’inizio del 1943, le due specialità, “N” e ”P”, verranno fuse in modo tale da poter impiegare squadre miste, comandate da un ufficiale e composte 13/15 uomini che provengono sia dai Nuotatori che dai Paracadutisti. Purtroppo, benché l’idea sia buona giungerà piuttosto in ritardo e le squadre, così composte, troveranno impiego per modeste operazioni di sabotaggio nel Nord Africa oramai completamente in mano agli anglo americani. In vista di un oramai certo sbarco sulla penisola, saranno destinate alcune squadre di NP in Sardegna e in Sicilia. Queste hanno il compito di svolgere attività antiparacadutista ma, soprattutto, a sbarco avvenuto devono farsi sorpassare dal nemico avanzante per poi effettuare azioni di disturbo attaccandolo alle spalle. In queste azioni gli NP dovrebbero rifornirsi in depositi occultati precedentemente predisposti. Mentre le squadre di NP stanziate in Sardegna non entreranno in azione, differentemente, quelle predisposte in Sicilia effettueranno attacchi ai convogli angloamericani sbarcati sull’isola.
Gli N.P. dopo l’(ignobil) 8 si settembre
(Nella foto la Bandiera di combattimento degli NP dopo l'8 settembre)
Fonte: Associazione Decima Mas- Milano
 
                                                                                                     

mercoledì 21 maggio 2014

R.S.I. : ECONOMIA E FINANZA



Economia e finanza
 
   
 

                                                  

Fin dai primi giorni dopo la sua costituzione, il Governo della R.S.I. si preoccupò di riprendere saldamente il controllo dell’economia, per salvaguardare il potere d’acquisto della moneta ed evitare fenomeni inflazionistici.
 Il Ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro condusse una politica economica e monetaria di assoluto rigore.
 Appena insediato dovette occuparsi di un serio problema. I tedeschi, nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre, avevano messo in circolazione dei marchi di occupazione. Ciò avrebbe potuto innescare dei processi inflattivi, per cui il problema andava rapidamente risolto. Ci furono immediatamente delle trattative che, alla fine, lo risolsero.
In data 25 ottobre 1943 viene stipulato l’accordo monetario italo-tedesco, in forza del quale i “ReichskreditKassencheine” (marchi di occupazione) non hanno più valore e vengono ritirati.
 Ma la difesa della moneta fu una preoccupazione costante del Governo della R.S.I.
 Il 16.11.1944 il Consiglio dei Ministri dirama un appello per la difesa della moneta.
 Il 7.7.1944 viene istituito il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
 L’8.1.1945 vengono emanati provvedimenti sulla alimentazione e il lavoro, nell’ottica della difesa della lira e del suo potere di acquisto.
 Il 19.1.1945 il Consiglio dei Ministri, insieme ad altri provvedimenti di natura economica, decreta la riduzione della circolazione monetaria per la difesa dall’inflazione.
 Costantemente fu esercitato un rigoroso controllo dei prezzi.
 E nessun aspetto della vita economica della Nazione fu trascurato.
  Il 26 marzo 1944 viene costituito l’Istituto Nazionale per le Attività Commerciali.
 E il 19.4.1944 il Consiglio dei Ministri esamina uno schema di decreto per la istituzione di Consulte Comunali Elettive.
  I provvedimenti a sostegno dell’attività agricola furono numerosi ed efficaci. Non è un caso se il raccolto del grano dell’anno 1945 fu uno dei maggiori dell’Italia.
 E che il paese avesse conservato fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni lo dimostra questo fatto :
 Il 2 aprile 1944 il Comune di Milano lanciò un prestito da un miliardo. Il prestito fu coperto in pochissimi giorni e il Comune di Milano incassò 1.056.000.000.
  Anche i rapporti sindacali erano all’insegna della collaborazione. Le grandi aperture sociali della R.S.I. avevano favorito rapporti positivi con le classi lavoratrici, che dal 20.12.1943 erano organizzate in un’unica grande confederazione : la Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti.
  E, fatto clamoroso, il 15 gennaio 1945 era stato nominato Ministro del Lavoro Giuseppe Spinelli, operaio tipografo.